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Il G8 di Genova visto da una (ex) bambina

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Giulia Zennaro

«Vieni a vedere cosa sta succedendo in tv». È durante l’assolata estate del 2001 che avviene lo spartiacque tra l’infanzia e l’età adulta: il momento in cui un “grande”, tua madre, ti invita a vedere con lei il telegiornale, autorizzando il tuo sguardo ancora di bambina ad assistere a ciò che sta accadendo «in tv». Il G8 di Genova, infatti, non sta avvenendo, per l’appunto, a Genova: si consuma nel tempo di un servizio giornalistico sul campo, di un’edizione straordinaria.

Tu stai facendo i compiti per le vacanze o, più probabilmente, stai giocando: sai per certo che quella è stata anche la prima estate in cui hai fatto un altro pensiero “da grandi”. Andando a prendere una rivista per ragazzi, al tabaccaio sotto casa, cinquecento metri sotto l’implacabile martello del sole cocente di luglio, hai sudato tantissimo nei tuoi abiti di cotone. Una volta a casa hai acceso l’aria condizionata, ti sei seduta sotto il getto fresco e hai pensato: «Questa è l’estate più calda che io ricordi».

Non ne ricordi molte e non puoi ancora sapere che quello che hai appena fatto diventerà il pensiero ricorrente di ogni estate, che ogni anno ti porterà a sudare sempre di più e a riflettere sempre più attentamente sulla comparazione con quella passata, arrivando a chiederti se ce ne saranno davvero, di estati sempre più calde di quella precedente, e quanto calde diventeranno in futuro.

Fonte: Wikipedia

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Ma ora sei lì, al fresco dell’aria condizionata rumorosissima e ingombrante dei primi anni Duemila, nel salotto di casa tua, e tua madre ha appena sancito, con una semplice frase, che non sei più una bambina e che puoi, anzi devi, assistere a ciò che stanno trasmettendo in tv.

È venerdì 20 luglio 2001 e tu sai, perché l’hai sentito mormorare distrattamente in qualche edizione serale del telegiornale, che da ieri sta succedendo qualcosa di importante a Genova. Gli adulti che rispondono alle tue domande ti dicono, sbrigativamente, che un mucchio di persone molto importanti si è radunato a Genova per parlare di economia e globalizzazione.

Gli fai due domande: che cos’è l’economia? Ti rispondono che è il processo che consente al mondo di produrre, consumare e produrre di nuovo altre cose che verranno consumate in un ciclo infinito.

Chiedi ancora: che cos’è la globalizzazione? Te ne hanno parlato a scuola, te lo ricordi, e ti hanno detto che la globalizzazione è una cosa bella e positiva perché consente alle merci di circolare per tutto il pianeta, e che riesce a connettere persone e Paesi molto lontani.

Ora che sei davanti alla televisione con tua madre, vedi alcune scene che non riesci a spiegarti. I giornalisti sul campo raccontano, alcuni nervosamente, che sta succedendo qualcosa: non tutti sono d’accordo con il fatto che le persone più importanti del pianeta si incontrino a Genova per il G8 e discutano di come migliorare l’economia globale. Gli adulti che parlano da dentro il televisore dicono che ci sono alcune persone cattive, i Black Bloc, che si sono infiltrati nelle manifestazioni pacifiche contro il G8 e che stanno seminando il panico.

Fonte: Fondazione Nenni.

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Il tuo pomeriggio prende tutta un’altra piega: la diretta da Genova continua e ti prepari ad assistervi come se fossi al cinema e stessi vedendo un film di guerra. Non ci sono più i compiti, non ci sono più i palleggi e le partite a calcio con le vicine di casa: ti accoccoli sul divano perché vuoi capire.

Quella frase, «vieni a vedere», ha risvegliato qualcosa in te, qualcosa che, anni più tardi ti porterà a muoverti, ad accendere la tv, ad andare sul posto per vedere cosa sta accadendo in quell’angolo di terra, che esiste e continua a esistere anche se giri la testa dall’altra parte, spegni la tv e pensi: «Sono cose che succedono dall’altra parte del mondo».

Quel pomeriggio, mentre guardi le cariche della polizia, mentre arrivano le prime notizie di un morto appartenente alle forze dell’ordine, no, di due morti, un carabiniere e un manifestante, anzi no, di un manifestante che stava lanciando un estintore, ti nasce dentro l’impulso di raccontare, oltre che di osservare, quelle storie di caos e confusione.

Anche se non ti sai spiegare perché qualcuno dovrebbe mettere a ferro e fuoco una città perché non è d’accordo con il fatto che alcune “”ersone importanti” si incontrino per parlare di una cosa importante, l’economia, al servizio di una cosa bella, la globalizzazione, intuisci che c’è qualcosa che ti spinge a interrogarti per saperne di più.

Vedi il sangue per terra, le auto incendiate, ragazzi che gridano contro “le guardie” e le guardie che marciano impassibili contro i ragazzi che, nel panico, lanciano quello che possono contro l’avvicinarsi implacabile dei manganelli, delle pistole e delle camionette che hanno già calpestato per due volte il corpo esanime del ragazzo morto.

Il giorno dopo è sabato e sei andata al mare: verrai a sapere dei massacri alla scuola Diaz e dell’orrore di Bolzaneto grazie a notizie che arriveranno a sprazzi, nei giorni successivi. I telegiornali si riempiranno di teste spaccate, nasi sfracellati ed echi di azioni che ti suonano sconosciute come “stupri”, “apologia del fascismo”, “macelleria messicana”.

Ma non ti siederai più sul divano a guardare: i tuoi genitori ci hanno riflettuto e sono giunti alla conclusione che mettere una bambina di undici anni di fronte al televisore ad assistere a pestaggi non è una buona cosa.

L’anno successivo ti ritroverai tra le mani il DVD del film Diaz: Don’t clean up this blood, “spacciato” da una tua compagna delle medie, e lo vedrai di nascosto. Ti sconvolgerà così tanto che, negli anni successivi, quando i tuoi compagni di scuola scenderanno in strada per manifestare tu preferirai stare a casa. Da quell’estate la visione di una divisa, qualunque essa sia, e il suono di una sirena, nonostante non siano immagini e suoni cuciti sotto la tua pelle ma solo spiati sulla pelle di qualcun altro, non ti daranno sensazioni positive e non ti faranno sentire al sicuro.

L’estate finirà e arriverà un altro momento in cui tua madre ti chiamerà davanti alla televisione, dicendo: «Vieni a vedere cosa sta succedendo». Sarà l’undici settembre e da quel momento in poi le due tragedie storiche, G8 di Genova e Torri Gemelle saranno, a torto o a ragione, fuse in un’unica memoria collettiva.

A vent’anni di distanza, a cosa è servito quell’incubo svoltosi in una manciata di giornate? Abbiamo imparato qualcosa dal G8 di Genova?

Fonte: Remocontro

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Forse che il capitale ha vinto, in maniera definitiva e totale, sulle coscienze collettive. Forse che la globalizzazione non era, in fondo, una cosa tanto bella. Forse che la questione ambientale, portata ai cortei all’epoca da una minoranza di manifestanti additati come “uccelli del malaugurio”, ora ci sta letteralmente travolgendo. A vent’anni di distanza intellettuali, politici e le stesse “guardie” si interrogano sulla questione G8 e in molti danno ragione ai ragazzi, alle famiglie e persino ai Black Bloc che sono scesi in piazza.

Succederebbe di nuovo un G8 di Genova? In questi vent’anni abbiamo riflettuto, abbiamo riconosciuto il reato di tortura nonostante alcune parti politiche sostengano che, così, gli agenti non possono lavorare. Abbiamo capito che gli studenti, i genitori, le élite culturali così come gli operai, le suore e le facce coperte dal passamontagna facevano bene a manifestare. La cosa che fa male è la consapevolezza che pochi di loro scenderebbero in piazza, al giorno d’oggi, nonostante le occasioni di dissenso non manchino di certo.

Chi ha ordinato i pestaggi non solo non ha pagato, ma ha compiuto qualcosa di più atroce di stuprare, picchiare, torturare e deridere. Ha preso il potere per dimostrare a noi, a quelli che guardavano in tv o che non erano ancora nati, che il manganello non era più necessario. A dettare legge ora è proprio il sistema contro cui combattevano i manifestanti a Genova, in nome del quale oggi gente molto più povera si immolerebbe.

L’eredità del G8, vent’anni dopo e con gli occhi di una trentunenne e non più undicenne, è la certezza che avevamo ragione ma abbiamo perso su tutta la linea. Non solo la gente non scende più in piazza ma anche quando protesta l’élite economica ci mette mezzo secondo a monopolizzare l’ideologia e a dirottare le rivendicazioni su temi che non scalfiscono minimamente la sua egemonia.

Le rivendicazioni razziali si svuotano nel più bieco consumismo e simbolismo fine a sé stesso, il femminismo è diventata una guerra a colpi di lamette e slogan e le istanze arcobaleno sono state fagocitate da influencer a cui conviene che i diritti civili rimangano ben separati da quelli sociali.

Nel 2001 abbiamo avuto un’anticipazione di come sarebbe stato il nostro futuro: chi aveva qualche anno più di me ha protestato, le ha prese e in alcuni casi ha perso completamente ogni fiducia nello Stato e nella lotta. Ma c’è anche chi non si è lasciato piegare: di questo lo ringrazio, a nome di una generazione che ha passato gli anni della formazione della coscienza civile sul divano.

Leggere, studiare, informarsi, dissentire, manifestare e riscoprire la socialità e il mutualismo, soprattutto nell’era pandemica, sono gli unici antidoti alla vuota retorica sul ventennale del G8 e sulla sua eredità.

Forse avremo perso, ma non per questo dobbiamo smettere di lottare.

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Giulia Zennaro

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