Nella notte tra martedì 27 e mercoledì 28 luglio all’Aquatics Center di Tokyo è andata in scena l’ultima sinfonia individuale di una delle più grandi sportive del terzo millennio. In quell’impianto enorme riempito solamente da pochissimi addetti ai lavori, a causa delle restrizioni per l’emergenza pandemica, le bracciate della Divina e la commozione una volta conclusa la quarta vasca si sono presi la scena. L’umanità della campionessa ha messo in secondo piano anche le gesta di un’altra super atleta come Ariarne Titmus, australiana classe 2000, che ha conquistato il suo secondo oro olimpico in questa rassegna a cinque cerchi. Il risultato è letteralmente passato in secondo piano: quel settimo posto che decontestualizzato potrebbe apparire come un fallimento ha invece rappresentato uno dei punti più alti dello sport globale, lo sport quello con la S maiuscola, fatto di alti e bassi, di vittorie e di sconfitte, di lacrime di gioia e lacrime di tristezza. I Giochi Olimpici salutano, con una standing ovation virtuale, la più grande nuotatrice italiana di sempre. E da italiani non possiamo che dire: «Grazie, Federica Pellegrini». Ripercorriamo assieme i momenti più importanti della sua stratosferica carriera.
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Dall’argento di Atene all’oro di Pechino
La carriera ad altissimi livelli di Federica Pellegrini iniziò proprio in una rassegna olimpica, ai Giochi di Atene 2004, quando appena sedicenne si mise in luce al grande pubblico conquistando la sua prima medaglia “pesante”: l’argento nei 200 stile libero alle spalle di Camelia Potec, nuotatrice rumena che in quella rassegna olimpica piazzò il risultato più importante di una carriera tutto sommato non di altissimo livello. Quel secondo posto fu uno dei momenti più tristi per la Divina, ma con il senno di poi fu, assieme all’argento di Montréal 2005, una sconfitta fondamentale per la crescita della veneta che da quel podio in poi divenne colei che è oggi: una leggenda.
La definitiva consacrazione arrivò ai Giochi di Pechino 2008 quando riuscì a trionfare nei 200 stile siglando anche il record del mondo davanti alla Isakovic e alla Jiaying. Da quel momento Federica Pellegrini divenne la campionessa globale che fino ad allora non era e si confermò sul tetto del mondo ai campionati mondiali di Roma 2009 quando riuscì nell’accoppiata 200 e 400 stile, firmando quello che resta ancora oggi il miglior tempo di sempre nelle quattro vasche (anche se con costume gommato).
La conferma a Shanghai e il primo declino
Sulle ali dell’entusiasmo ed essendo diventata un’icona dello sport internazionale, due anni dopo le gesta eroiche del Foro Italico riuscì nell’impresa di bissare l’accoppiata 200/400 ai mondiali di Shanghai 2011 sotto la guida dell’allenatore francese Philippe Lucas, ma da quei trionfi cominciò anche il primo declino di quella che oramai era diventata la stella del nuoto femminile. Infatti, nonostante una buona rassegna continentale preolimpica si presentò ai Giochi di Londra 2012 con tutti i riflettori puntati, ma dopo la fine del rapporto con Lucas e con una condizione psicofisica non delle migliori arrivò una grande sconfitta nei 400 SL, vinti da Camille Muffat e conclusi dalla Divina al quinto posto. Dopo la delusione delle otto vasche cercò di difendere il titolo olimpico nella distanza dimezzata, ma finì con un’ulteriore quinta posizione ben lontana dalla vincitrice Schmitt e dall’argento Muffat. Dopo Londra buona parte dei mass media la diede per “finita” considerando anche la freschezza delle nuove leve come Ledecky, Kromowidjojo e Franklin. In molti addirittura ipotizzarono un ritiro dalle competizioni.
La rivincita a Barcellona e la delusione di Rio
Ciononostante, Federica si presentò in forma ai campionati mondiali di Barcellona 2013 andando a un passo dalla vittoria dei 200 stile, chiusi al secondo posto ai danni di una straripante Missy Franklin (atleta dalla carriera tanto breve quanto super vincente). Per stessa ammissione della Pellegrini quella fu una delle medaglie più importanti di una già immensa carriera. Due anni dopo, a Kazan bissò l’argento alle spalle di una Ledecky nel clou del suo dominio in vasca, e decise di abbandonare definitivamente i 400. Ai Giochi di Rio 2016, in cui Federica fu anche la portabandiera italiana, arrivò la terza grande delusione. Nei 200 SL si classificò quarta alle spalle di Ledecky, Sjöström e McKeon e ricominciarono inevitabilmente le voci su un suo possibile addio alle gare. A discapito di ciò, la Divina si rialzò per l’ennesima volta e si presentò a Budapest non da favorita, ma a sorpresa tornò a vincere un oro iridato davanti a Ledecky e McKeon nella sua distanza preferita.
L’immortalità raggiunta
L‘apice della sua carriera immensa lo raggiunse due anni fa, quando in Corea del Sud riuscì nell’impresa di vincere il sesto oro mondiale, nonché l’undicesima medaglia iridata. Fino ad arrivare ai nostri giorni. Gli amanti del nuoto sapevano bene che la medaglia ai Giochi di Tokyo sarebbe stata davvero complessa da raggiungere, la speranza è rimasta aggrappata ad eventuali défaillance delle giovani avversarie, che però non sono arrivate. Ma questo non cambia nulla. A distanza di quindici anni, Federica Pellegrini è arrivata a giocarsi una finale olimpica, emozionando i tifosi italiani e non, rendendo omaggio alla sua grandezza che non ha e non avrà eguali.
Perché Federica Pellegrini in questi anni ha rappresentato davvero lo sport. Non è stata una di quelle atlete quasi robotiche in grado di vincere ogni gara possibile e immaginabile senza battere ciglio, senza dare alcun segno di emozione. Non ha lottato contro il tempo che passa, ne ha fatto una virtù. Fare esempi potrebbe risultare poco elegante ma risulta assai doveroso: nella stessa notte in cui Federica Pellegrini ha gareggiato nei 200 stile, il ventunenne ungherese Kristóf Milák ha dominato i 200 farfalla vincendo l’oro olimpico, probabilmente il primo di una lunga serie. Dopo le quattro vasche il nuotatore non ha avuto alcun segno di gioia, la sua prima medaglia olimpica è sembrata quasi una sconfitta per non essere riuscito a migliorare il record del mondo (già suo tra l’altro). Ecco, Milák, così come altri, magari a fine carriera avrà un palmarès più ricco, ma le emozioni che trasmette e che egli stesso prova non saranno mai all’altezza di ciò che ci ha fatto vivere Federica Pellegrini.
Grazie Divina.