Gara sei delle finals NBA 2020/2021 appena terminata e il trentaquattro dei Bucks scoppia in lacrime. Giannis Antetokounmpo ha appena concluso una delle gare più importanti della sua carriera: numeri da record in partita e titolo NBA conquistato. Il greco-nigeriano ha compiuto la missione che si era prefissato qualche mese fa, al momento del rinnovo quinquennale monstre con la franchigia di Milwaukee: Bucks campioni NBA dopo cinquant’anni dall’ultima volta.
Asciugamano a coprire il volto e pianto ininterrotto. Ripercorre la vita difficile che, a soli ventisei anni, l’ha portato lì. Giannis Antetokounmpo ha vissuto sulla sua pelle ciò che molti non hanno provato nemmeno in una vita intera.
Sepolia: i difficili inizi
Già a fine 2019 era uscita la notizia che Disney avesse deciso di produrre un film sulla vita del cestista greco: una “storia da film” in tutti i sensi. Dalla vita, per nulla facile, che Giannis vive nei primi anni, fino al riscatto avvenuto grazie al basket e al sogno NBA.
Un inizio dal basso, a Sepolia, quartiere di Atene. È qui che i genitori di Antetokounmpo (traslitterazione della traduzione greca del cognome Adetokunbo) cercano fortuna dopo aver lasciato la Nigeria, loro Paese d’origine. Ed è qui che nascono Thanasis, Giannis, Kostas e Alex. Il sogno di una vita migliore per sé e per i propri figli non è così vicino: lo status di immigrati non permette agli Antetokounmpo di trovare lavoro. È una vita fatta di espedienti, di vendita di prodotti per strada a cui ben presto partecipano anche i figli maggiori: Thanasis e Giannis.
Unica valvola di sfogo? Il campetto di pallacanestro vicino casa, dove i quattro fratelli passano il tempo libero e sfuggono da una realtà quotidiana difficile e da una mancata integrazione. Pur essendo nato ad Atene, infatti, Giannis risulta apolide, in quanto in Grecia la cittadinanza non si ottiene per nascita, ma per ius sanguinis.
Tutto parte da quel campetto. Antetokounmpo viene notato e tesserato nelle giovanili del Filathlitikos, grazie a un programma di aiuto per ragazzi in difficoltà. Gli inizi non sono semplici, tra scarpe donate dalla squadra e notti passate a dormire in palestra per essere presente agli allenamenti dell’indomani, ma Antetokounmpo ha un sogno. Un sogno chiamato riscatto, un sogno chiamato NBA.
Giannis Antetokounmpo: dall’A2 greca all’NBA
Nel 2012 Giannis esordisce nella serie A2 greca proprio con la maglia del Filathlitikos. A fine anno firma per gli spagnoli del CAI Zaragoza, ma successivamente il greco dà la disponibilità a partecipare al draft NBA. In Spagna Giannis non arriverà mai.
Il giocatore, con un solo anno nell’A2 greca, non ha statistiche impressionanti. Per lui ventisei partite giocate con 22,5 minuti, 9,5 punti e 5 rimbalzi di media a partita.
A sceglierlo è la squadra dei Milwaukee Bucks. Dalla Grecia al Wisconsin, da Atene a Milwaukee. Dalla vendita di occhiali per strada per riuscire a racimolare qualche soldo a un contratto da 1,7 milioni di dollari a stagione. È solo l’inizio.
La scalata di Giannis Antetokounmpo fino all’olimpo NBA inizia con un anno da rookie che coincide con una stagione difficile per i Bucks, che chiudono la Regular Season con quindici vittorie e sessantasette sconfitte.
Il greco non ingrana immediatamente, ma la squadra crede in lui e Giannis risponde: aumentano i minuti per partita, così come i punti e i rimbalzi. 24,6 minuti a partita e 6,8 punti di media il primo anno, nella terza stagione diventano 35,3 minuti e 16,9 punti di media. Anche le percentuali al tiro aumentano e, inoltre, il trentaquattro inizia a registrare con frequenza doppie doppie e triple doppie.
Dal Most Improved Played a (doppio) MVP
Dopo i primi tre anni di ambientamento e miglioramento delle statistiche personali, Giannis e i Bucks vogliono fare il passo successivo. La stagione della svolta è quella 2016/2017. Antetokounmpo porta le sue statistiche a 22,9 punti, 8,7 rimbalzi, 5,4 assist, 1,9 stoppate e 1,6 palle rubate a partita, con circa 52% al tiro. Lui vince il titolo di Most Improved Player (il titolo che in NBA viene riconosciuto al giocatore che si è migliorato di più rispetto alle stagioni passate) e i Bucks centrano la qualificazioni ai playoff (dove escono subito al primo turno). Antetokounmpo capisce di essere arrivato dove merita di stare. I playoff sono il suo habitat e conclude, infatti, la sua prima esperienza con medie di tutto rispetto: 24,8 punti, 9,5 rimbalzi e 4,0 assist.
Nell’anno successivo il Greek Freak (questo il soprannome di Antetokounmpo) continua a migliorarsi e a crescere sotto il punto di vista fisico e di leadership, ma, ancora una volta, Milwaukee viene eliminata al primo turno.
Come il 2016/2017 è da ricordare come l’anno della svolta, il 2018/2019 è quello della consacrazione. I Bucks cambiano allenatore, scegliendo Mike Budenholzer.
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Gioco costruito attorno al greco, ma con una squadra capace di sfruttarne le potenzialità e portare diversi giocatori a canestro. Il Greek Freak è la stella della squadra, abile a sfruttare le lunghe leve che la natura gli ha concesso e a migliorarsi sempre con una cultura del lavoro senza eguali. La Regular Season vede la franchigia del Wisconsin trionfare nella propria Conference e Antetokounmpo vincere il titolo di MVP della stagione. I numeri di squadra e quelli personali del greco indicano i Bucks come una candidata al titolo. Il sogno di vincere l’anello si infrange, però, in finale di Conference contro i Toronto Raptors.
La stagione 2019/2020 vede una squadra rodata grazie a un allenatore capace di inculcare il suo gioco, un leader come il greco alla guida del quintetto e degli interventi sul mercato che danno nuova linfa ai Bucks.
La storia si ripete: cavalcata trionfante in Regular Season, titolo di MVP (il secondo di fila) e quello di Defensive Player of the Year per il Greek Freak. Ancora una volta i Bucks sono tra le squadre accreditate per il titolo, ma i Playoff sono nuovamente avari di gioia per Giannis e compagni. Al secondo turno i Bucks sono eliminati dai Miami Heat, con il greco che chiude la stagione in gara quattro per infortunio.
Il dio greco raggiunge l’Olimpo
La “storia che sembra un film” non può non avere l’epilogo perfetto. Ventisei anni dopo la nascita ad Atene, dopo anni di ristrettezze economiche e di canestri, passando dal campetto sotto casa ai parquet più importanti del mondo, arriva la chiusura del cerchio.
I Bucks si qualificano ai playoff senza patemi e, dopo una cavalcata trionfante, pur con dei momenti di pathos e paura, battono in finale i Phoenix Suns.
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Una vittoria di squadra senza dubbio, in cui si è visto il lavoro di coach Budenholzer e tutto il feeling sul parquet tra Giannis e Middleton. Non si può non sottolineare il peso di Brook Lopez, l’importanza nelle due fasi di Holiday, la grinta agonistica di PJ Tucker e il peso delle rotazioni con Portis e Connaughton. Però il leader è Antetokounmpo, in campo e fuori.
Pur dopo il tremendo infortunio contro gli Atlanta Hawks, Giannis è riuscito a tornare in campo per portare a termine la sua missione.
L’ardore e la voglia che trasparivano dagli occhi del trentaquattro in gara sei si sono rivisti in ogni schiacciata, in ogni rimbalzo.
Giannis ha chiuso gara sei con cinquanta punti, quindici rimbalzi, cinque stoppate e due assist. Nella serie della finale una media di 35,5 punti e 13,5 rimbalzi per gara. Numeri impressionanti e figli di una volontà incredibili che gli garantiscono un’ovvia nomina a MVP delle Finals.
Ventisei anni, origini nigeriane, una vita iniziata ad Atene tra il campetto di pallacanestro e le piazze in cui faceva il venditore ambulante e la scalata all’Olimpo NBA: questo è Giannis Antetokounmpo. Ma non solo.
È anche il ragazzo che a fine partita scoppia in lacrime, che nell’immediato post-gara dedica un pensiero al padre scomparso e alla famiglia, pilastro della sua vita. E che poi conclude da vero cannibale con un lapidario: «Dobbiamo farlo di nuovo».