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Spettacolo

Tom Sachs, flussi e reflussi del XXI secolo

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Michele Larosa

Immagina di essere un uomo del futuro; i tratti della società dei primi anni Duemila sono completamente scomparsi, andati distrutti in un’ipotetica catastrofe mondiale. Gli storici scavano nel passato, cercando di ricostruire le nostre vite; e a dare loro i principali indizi dalle sculture di un artista che, come un moderno Fidia, guida gli uomini del domani in un immaginario viaggio nel tempo alla scoperta degli anni Duemila. Quell’artista risponde al nome di Tom Sachs.

Vita

Tom Sachs nasce a New York City il ventisei luglio 1966 e cresce in provincia, a Westport, Connecticut, secondo sue stesse parole «immerso nel consumismo». Dopo il college studia architettura a Londra; fin quando non decide di tornare negli States, precisamente a Los Angeles, dove inizia a lavorare nel negozio dell’architetto e designer Frank Gehry. Fra le opere del designer canadese si forma definitivamente l’estetica che contraddistinguerà Sachs e i suoi “discepoli” per i decenni a venire; infatti è lì che l’artista newyorkese scopre il termine knolling.

Knolling è una pratica che consiste nel disporre degli oggetti in modo geometrico allineandoli o mettendoli a novanta gradi fra di loro. «Always be Knolling», uno dei motti di Sachs che dà l’idea di quanto questo strano modo di organizzare gli oggetti sia diventato una cifra stilistica per l’artista, che si è poi declinata in una vera e propria filosofia di lavoro. Lo studio di Sachs è infatti governato da regole ferree e quasi dispotiche, enunciate nella serie di corti Ten bullets, frutto delle manie di organizzazione dello scultore.

Tom Sachs nel 2016. Fonte: Wikipedia Commons.

Dopo i due anni di apprendistato al negozio di Gehry, Sachs torna dove tutto è cominciato, a New York City. Nella Grande Mela il nostro Tom vive di lavori saltuari, come il riparatore di ascensori o l’allestitore di vetrine per centri commerciali; e proprio in quest’ultima veste nel 1994 allestisce per Natale la vetrina principale di un importante centro commerciale, e come richiesto ricrea la natività. Quella che oggi è nota come Hello Kitty Nativity nasce allora, e può essere considerata la prima scultura di Tom Sachs. L’artista infatti ricrea la natività, ma come sarà poi solito fare la reinterpreta secondo la sua visione e le sue influenze, usando i simboli della moderna società dei consumi: San Giuseppe e la Madonna diventano Hello Kitty, i tre magi si trasformano in Bart Simpson e la stella cometa nella M di McDonalds.

Hello Kitty Nativity. Fonte: tomsaxhs.org

Questo può essere considerato il manifesto artistico di Sachs, contenente tutti gli elementi e i temi cardine della sua arte. L’anno seguente l’artista aprirà il suo studio, Allied Cultural Prosthetics, e da lì in poi l’ascesa sarà inarrestabile.

L’arte di Tom Sachs

La parola per descrivere l’arte di Tom Sachs è una: dissacrante. Come Caravaggio univa sacro e profano facendo interpretare santi e madonne a ladroni e prostitute, Sachs prende i grandi brand, oggetti sacri del nostro tempo, e li trasporta nel suo mondo rielaborandoli secondo la sua visione. È il caso ad esempio di Cultural Prosthetics, la prima mostra di Sachs che raccoglie opere come la Hermès Hand Grenade, che accosta il brand della moda Hermès a uno strumento di violenza, la granata. Ma i bersagli principali dell’artista sono McDonalds, erto a simbolo di fast food, e Hello Kitty, personaggio che vive di merchandising. Nella mostra Bronze Collection ad esempio viene rappresentato un monumento della gattina giapponese fatto in schiuma e rivestito in bronzo; un simbolo del mondo usa e getta come Hello Kitty viene eternata come gli imperatori romani grazie a un monumento in bronzo.

Sachs vomita attraverso il filtro della sua sensibilità e della immaginazione ciò che ha immagazzinato durante gli anni della formazione. In Nuggets presenta una sorta di sachsizzazione delle icone dell’arte moderna e della cultura del consumo; una fotocopiatrice, un mazzo di carte da gioco, uno stereo o una Barbie, il tutto ovviamente fatto a mano nello studio di Tom. Allo stesso tempo un ossimorico omaggio al design industriale e al bricolage. Mentre in Space Program, forse la sua mostra più iconica e famosa, Sachs rielabora il mito con cui tutti siamo cresciuti, quello dello spazio. Nel suo progetto più ambizioso lo scultore ricrea il suo personale “Programma spaziale”. Modulo lunare, tute spaziali, sala di controllo e lancio simulato su YouTube, il tutto condito da aggiunte poco ortodosse come un armadietto di alcolici e una colonna sonora per la sopravvivenza su un pianeta alieno.

La cosa impressionante è che tutti i pezzi sono interamente progettati e costruiti da Sachs e i suoi collaboratori all’interno del suo quartier generale. Infatti un altro caposaldo della filosofia Sachsiana è il DIY, do it yourself (fattelo da solo). Comprare cose che potrebbero essere riparate è per Sachs un’altra declinazione del consumismo sfrenato, per questo è importante per lui rigenerare gli oggetti rotti o ancora meglio rimodellare vecchi oggetti dandogli una nuova vita e una nuova funzione. Nella vita ci sono attivo e passivo, chi fa e chi consuma, a ognuno la sua scelta.

Ma c’è anche spazio per la politica nelle opere dell’artista newyorkese. È il caso delle due mostre “svizzere”: Swiss passport office e Heidi and The Pack.

Sachs si interessa alla Svizzera fin dal 1996, quando distribuiva per New York i provocatorii e scandalosi adesivi «Nuke the Swiss». Lo Stato fra le Alpi è preso a modello di benessere e progresso economico; e l’artista lo utilizza per riflettere sull’artificialità delle Nazioni, e su come nascere in un posto piuttosto che altrove possa rappresentare esso stesso un lusso.

«Tutto iniziò dall’idea che volevo di un mondo senza confini», dice Sachs; un’idea che sa di risposta alla nuova America trumpiana, l’America xenofoba, l’America del muro messicano. La Svizzera è per Sachs uno Stato di confini, è racchiuso fra le Alpi, rappresenta un “guscio” di benessere economico e vista la sua ben nota neutralità è sempre stato estraneo alle dinamiche politiche europee. Con Swiss Passport Office Sachs allestisce un fittizio ufficio di rilascio della cittadinanza svizzera, massima rappresentazione di libertà, neutralità e benessere, che secondo Sachs dovrebbero essere prerogative estese a tutti.

In The Pack continua la satira dell’artista newyorkese sulla Svizzera, in cui profana anche Heidi, uno degli “ambasciatori” svizzeri nel mondo. L’eroina dei romanzi prima e dei cartoni animati poi diventa infatti una sessualizzata macchinetta del caffè. Ma l’apice viene raggiunto con due dipinti: il primo, Switzerland, raffigura una mappa dei ventisei cantoni svizzeri, rinominati con i nomi di Stati africani. Gli Stati africani non rispecchiano infatti equilibri tribali ed etnici, ma sono degli artifici creati dai colonizzatori europei per lo sfruttamento delle risorse: cosa succederebbe quindi se il poverissimo Burundi, devastato da una decennale guerra civile, avesse le stesse risorse di Zug, una cittadina svizzera diventata il cantone più benestante del Paese?

Switzerland. Fonte: Tom Sachs Store

Mentre con il secondo dipinto Maximum Luminosity Sachs riflette ancora sul destino di terre ricche di risorse naturali ma distrutte dallo sfruttamento e dalla malagestione dei coloni. Il logo del CERN di Ginevra, dove ha sede il più grande acceleratore di particelle al mondo, è attraversato da due lance tribali, un’antilope e un pavone campeggiano ai lati, il tutto sopra una distesa verde e lussureggiante, simbolo della ricchezza naturale dei territori africani.

I discepoli di Tom Sachs

Ma, a dispetto di quanto si possa percepire a uno sguardo più superficiale, il lavoro di Sachs non tocca solo l’arte e la scultura. Il suo lascito più significativo ce l’ha forse sul web, in particolare su YouTube. È infatti all’inizio degli anni Duemila che arriva a lavorare all’Allied Cultural Prosthetics il giovane filmmaker Van Neistat, a cui presto segue il fratello minore Casey. I due iniziano a collaborare con Tom e a produrre i corti presenti sul canale YouTube dell’artista. Nel 2008 con la mini-serie di HBO The Neistat Brothers il mondo inizia a conoscere i Neistat. La strada fra Casey Neistat, il minore dei fratelli, e Tom Sachs si separa definitivamente quando Casey apre il proprio canale YouTube.

Fonte: IMDB.com

L’allievo supera il maestro: il canale di Neistat cresce vertiginosamente e lui diventa il punto di riferimento per tutti i vloggers del mondo. Con Casey Neistat i daily vlog, filmati della vita quotidiana buttati su YouTube, assumono la loro forma forma definitiva: questi diventano dei veri e proprio cortometraggi, con colonna sonora, riprese dinamiche, e soprattutto una storia ben raccontata e con spesso una morale finale. Su YouTube possiamo distinguere un pre-Casey e un post-Casey, e nel post-Casey se vuoi fare vlog devi ispirarti a lui. Tutti ancora oggi si rifanno al suo stile, reinterpretandolo o copiandolo spudoratamente.

Tutto questo lo dobbiamo, più o meno indirettamente, a Tom Sachs. Infatti per sua stessa ammissione, tutto quello che Casey conosce lo deve a Tom e a suo fratello Van. Non è un caso che tutti i tratti più riconoscibili e distintivi del vlogger li ritroviamo nel suo mentore: il DIY, la ferrea etica lavorativa, l’inconfondibile cifra estetica, tutta farina del sacco di Tom.

Di fronte alla storia?

Scrivendo questo articolo e facendo ricerche su Tom Sachs ho sentito una strana sensazione, la sensazione di essere di fronte a qualcosa che verrà riscoperto e ricordato negli anni a venire. L’arte di Sachs è infatti stata già in parte riconosciuta, con una schiera di ammiratori che va da Kanye West a Frank Ocean, passando per Warren Herzog, ma la grande consacrazione deve ancora arrivare.

Siamo di fronte a un provocatore, uno che da ebreo (laico) durante una presentazione al Museo ebraico di New York ha definito l’ingegneria dei campi nazisti «straordinaria»; uno che esalta e allo stesso tempo distrugge le icone del mondo moderno in un eterno circolo che lo porta dal fare opere spregiudicate al collaborare con Nike per un modello di scarpe. Siamo di fronte a colui che ha dato forma all’immaginazione dell’uomo del Ventunesimo secolo, formando con l’insieme delle suo opere un affresco del nostro tempo. Siamo forse di fronte alla storia?

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Michele Larosa

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