Nella primavera del 2021 Alter Ego Edizioni ha dato alle stampe il romanzo L’ora muta di Simone Cerlini, per la collana Specchi. A una prima rapida occhiata può sembrare il racconto dell’adolescenza di una ragazza, Camilla Doveri, ma non si tratta di un puro romanzo di formazione.
Le vicende della protagonista si susseguono in una terra che ha vissuto pienamente prima lo sviluppo e poi il tracollo industriale. È l’Emilia delle fabbriche, degli imprenditori spietati e dei fallimenti aziendali. È una storia ancora vicina all’attualità italiana. Ed è anche una realtà che l’autore ha avuto modo di approfondire in maniera accurata, come descrive nelle fonti a fine libro.
In una narrazione che copre l’arco temporale degli ultimi trent’anni, Cerlini prende per mano il lettore per condurlo al di là del capitalismo. Le vicende personali della protagonista acquisiscono così un respiro più ampio. In definitiva, il romanzo si evolve in saggio sull’attualità, sul mondo dell’industria. Diventa la sintesi di cosa è stata l’Italia tra gli anni Ottanta e il primo decennio del Duemila.
Fulcro indiscusso di tutta la narrazione è la vita di Camilla.
Il romanzo inizia con un breve ricordo d’infanzia della protagonista: la fuga da una spaventosa e buia grotta nell’acqua, dove si era avventurata insieme al papà. Appare così fin da subito la complicità tra una bambina e suo padre, che con fare semplice la protegge e la guida dall’inizio alla fine della storia.
Camilla Doveri è figlia di genitori separati. La madre, Aida, è un’ombra con un passato nascosto; il padre, Giorgio, è una figura costante, ma che ormai ha perso il contatto con il mondo a causa di un fallimento aziendale. Vivono in due mondi diversi. Giorgio si è fisicamente ritirato sulla costa ligure, sostenuto economicamente solo da lavori saltuari, Camilla è intenta a portare a termine gli studi. Prova psicologia, ma si rende conto fin da subito che non è la sua strada.
Sono diversi i percorsi che la protagonista tenta, ma si scontra sempre, prima o poi, con una realtà che non la rappresenta e che non la soddisfa.
Durante l’università prova a instaurare un rapporto con i compagni di corso, ma qualcosa la trattiene, la blocca. Nessuno sembra rappresentare una compagnia ideale.
Tutto cambia quando conosce Luisa, una brillante studentessa che passa le giornate a leggere e suonare il pianoforte. Camilla viene colpita dalla sua personalità estroversa ed eccentrica, fino a innamorarsene.
Nella narrazione Luisa rappresenta una deriva improvvisa: finalmente la protagonista ha trovato un’amica e una complice. Ma al contempo si rivela una guida nel tortuoso tunnel degli stupefacenti nel quale Camilla si lascia trascinare.
Sarà un punto di riferimento anche in seguito, insieme a un’altra donna, Moira, prima compagna del padre. Questa imprenditrice di sé stessa saprà ammaliare Camilla, che improvvisamente decide di lavorare per lei una volta terminata l’università.
Tuttavia ogni rapporto che Camilla instaura è combattuto e difficile. La protagonista è una guerriera che dall’inizio alla fine del romanzo affronta una lotta intrinseca tra sé e il resto del mondo.
È una lotta nel mondo universitario, dove si sente schiacciata dalla diversità della sua famiglia rispetto a quelle delle compagne di corso. È una lotta nel mondo del lavoro, dove, seppur supportata dall’affetto di Moira, dovrà prestare attenzione a non cadere nella trappola della fiducia.
Un padre lontano con un passato fallimentare, una madre dai contorni sfocati e mai conosciuta davvero: sin dal primo nucleo sociale Camilla si trova ad avere a che fare con legami parziali, spezzati, mai pienamente veritieri e trasparenti. La fiducia non è mai totale perché non è possibile fidarsi completamente dei propri cari senza conoscere il loro passato.
Per questo lo scontro è dietro l’angolo.
Ma Camilla è pronta. Da bambina ha imparato a combattere con i guantoni, è una boxeur in gamba che sa coprirsi le spalle da sola.
Quella della boxe non è solo una metafora, ma una vera e propria passione che permette alla protagonista di sfogarsi quando necessario e di sentirsi protetta anche quando si trova ad affrontare situazioni difficili tutta sola.
Indossati i guantoni nulla può sconfiggerla. La guardia è alta e le spalle sono larghe e ben dritte.
Il personaggio principale altro non è che il simbolo di una gioventù che ha dovuto imparare a difendersi e combattere con qualsiasi mezzo.
La protagonista nasce negli anni Ottanta e ha modo di vedere il tracollo del mito delle fabbriche, la sconfitta di un modello economico che sembrava vincente e che invece si è rivelato fallimentare.
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Il crollo delle certezze del capitalismo si riflette così nella precarietà di intere generazioni, non solo a livello lavorativo, ma soprattutto a livello sociale.
Non è un caso che Luisa e Camilla, come altri personaggi secondari, decidano di inoltrarsi nel mondo psichedelico della droga, abbandonate come sono a una realtà che non prevede sbocchi nel futuro.
Anche le figure che sembrano godere di un’incrollabile salda personalità finiscono invece per arrendersi a vizi e indolenze che evidenziano disagi e inettitudine.
Come dei funamboli che non hanno mai imparato il mestiere, i personaggi di Cerlini scivolano nelle loro debolezze e vi si aggrappano con forza, privi della capacità di tenere saldi i nervi e di sorreggersi in punta di piedi.
È in questi atteggiamenti che si scorge finalmente la società disegnata dallo sviluppo industriale.
Ognuno è intento a produrre: gli operai producono pezzi, gli imprenditori producono denaro. Eppure alla lunga niente rimane di questo meccanico infinito processo. La moda, le fabbriche, il lusso, il sesso e la droga sono tutti elementi di una grande parabola discendente che si riflette negli sfondi di periferia disegnati da Cerlini.
Nelle coordinate che spaziano dalla selvatica costa ligure all’Emilia dei capannoni diroccati, l’autore ricorda che il mito del capitalismo rimane effimero, intangibile, bugiardo.
La città, emersa dalla campagna provinciale, diventa un gigante burattinaio che manovra i fili delle vite di coloro che vi si addentrano per sopravvivere. Essendo ormai incappati in questa trappola, i personaggi abbandonano le emozioni autentiche dell’umanità, trasformandosi in macchine dedite alla produzione di profitto.
Nel suo romanzo Cerlini propone al lettore un paesaggio industriale a piccole dosi, quasi a voler trasformare il tema di fondo in un’abitudine, un’assuefazione. La storia delle fabbriche non è mai presentata direttamente, ma si fa colonna sonora della scena.
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Questa non è l’unica costruzione che l’autore mette in piedi nel modellare gli avvenimenti. Anzi, la narrazione procede con balzi temporali e punti di vista sempre diversi.
Per cominciare, il romanzo è suddiviso in sei parti, che hanno il compito di scandire il tempo e permettere al lettore di viaggiare rapidamente negli anni.
Tuttavia la parte centrale è un vero e proprio trattamento per una produzione cinematografica. È la protagonista stessa a scriverlo e lo consegnerà a un altro personaggio. Dunque Cerlini costruisce una metastoria, trovando l’escamotage per raccontare avvenimenti che altrimenti sarebbero rimasti fuori dalla linea temporale.
Infine, alla chiusura del romanzo, il lettore troverà la trascrizione di un’intervista riportata dal vero. Questo elemento diventa chiave per definire il contesto storico.
In una globale, lenta e inesorabile discesa verso il tracollo rimane a galla solo una speranza.
Questa luce in fondo al tunnel prende le mosse da fatti storici realmente accaduti e dà slancio e risalto a elementi che lungo tutto il romanzo erano rimasti in silenzio in un angolo, come in attesa di un riscatto.
L’ora muta non vuole soltanto evidenziare la decadenza di un sistema economico privo di morale; al contrario, vuole suggerire che è sempre possibile ricominciare. In un modo diverso, in incognito e magari con un altro nome. Si può ricominciare a vivere e far crescere nuove speranze.
Non è il caso di rivelare altro: è arrivato il tempo di attendere l’ora muta delle fate.
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