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Referendum sull’eutanasia: che sia la volta buona per la buona morte?

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Enrico De Biasio

Con cinquecentomila firme già raccolte, di cui oltre settantamila digitali – la prima volta nella storia delle petizioni abrogative in cui la firma digitale ha valore legale – sembra che per la buona morte in Italia possa essere davvero la volta buona.

Il referendum sull’eutanasia promosso dall’associazione Luca Coscioni propone l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale in materia di omicidio del consenziente, che costituisce l’ostacolo principale all’introduzione all’eutanasia attiva nell’ordinamento italiano.

In questo modo, la politica – che per ideologia o opportunismo è solita derubricare la questione al classico «non è una priorità», anche di fronte ai richiami della corte costituzionale – sarebbe messa di fronte alle sue responsabilità da uno stato di fatto che dovrebbe giocoforza avallare con una norma organica in materia.

Eutanasia in Italia: la situazione attuale

Il problema dell’eutanasia in Italia è precisamente quello di una cronica mancanza di legislazione in merito.

Gli articoli del codice penale che di fatto inquadrano la questione dell’eutanasia (il 579 e il 580) risalgono infatti al 1930, quando era ancora Sua Maestà il Re ad approvare le leggi. È del tutto comprensibile che a quell’epoca l’eutanasia non fosse un problema sentito: era più difficile che si verificassero le condizioni mediche propedeutiche al dilemma della buona morte, e quand’anche si fossero verificate difficilmente la tematica dell’eutanasia avrebbe trovato un terreno fertile nella temperie culturale dell’epoca.

Da allora la legge non è cambiata, ma la medicina e parte della società sì. La medicina è riuscita ad allungare in maniera straordinaria l’aspettativa di vita della popolazione sconfiggendo mali storici come la poliomielite e il vaiolo, e riuscendo persino a porre in stallo la morte in pazienti con quadri clinici fortemente compromessi. In una società che, a partire dal Sessantotto e dal referendum sul divorzio, è diventata sempre più cosciente di libertà e diritti individuali, la questione è gradualmente passata dal «vivere o morire?» al «come vivere e come morire?»

La politica ha più volte dato prova di essere indietro sul tema rispetto alla società civile e persino alla stessa giurisprudenza, dimostrandolo inequivocabilmente nei casi di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e Dj Fabo (tutti conclusisi con l’assoluzione di personale medico, familiari e amici).

I passi avanti degli anni 2010

Negli ultimi anni, tuttavia qualche passo importante è stato fatto.

Nel 2017 viene approvata la legge sul cosiddetto testamento biologico (tecnicamente: disposizione anticipata di trattamento, legge 219/2017) con la quale è riconosciuta al cittadino non solo la facoltà di rifiutare le cure (previo consenso informato) ma anche quella di esprimere in anticipo e per iscritto le proprie volontà in materia di trattamento sanitario vincolanti per il personale medico in previsione di un futuro stato di incapacità. Questa norma colma definitivamente il vuoto legislativo sul fine vita verificatosi nei casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, legalizzando nei fatti l’eutanasia passiva (la morte per rinuncia del trattamento sanitario).

Leggi anche: Eutanasia e testamento biologico: il fine vita in Italia.

Nel 2019, con la cosiddetta sentenza Cappato (sentenza 242 del 2019), la Corte Costituzionale ha inoltre chiarito – in assenza di un quadro normativo proveniente dal Parlamento – che l’eutanasia passiva (aiuto al suicidio, articolo 580 del codice penale) non è punibile se colui che lo richiede è «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» e purché siano pienamente osservate le disposizioni del sul consenso informato e sulla terapia del dolore previsti dalla legge 219/2017.

Gli esponenti dell’Associazione Luca Coscioni, Radicali, Partito Socialista Italiano Psi, Eumans, Volt Italia, Più Europa e Possibile depositano il quesito referenario. Foto: referendum.eutanasialegale.it

Leggi anche: Suicidio assistito: è un reato ancora attuale?

Il referendum sull’eutanasia

Al momento attuale, per effetto di leggi e sentenze sparse, la buona morte è possibile in Italia solo nella sua variante passiva: tramite sospensione volontaria del trattamento o aiuto al suicidio, purché siano osservate le norme sul consenso informato e garantite le cure palliative alla persona.

Tuttavia, il problema si pone quando la persona in questione, nella gravità della sua condizione medica e nella pienezza delle proprie facoltà psichiche, è incapacitata a darsi la morte da sola.

Dj Fabo poté darsi la morte da solo somministrandosi il farmaco eutanasico mordendo un pulsante, ma molte altre persone si trovano in una situazione per cui il suicidio (seppur assistito) è semplicemente impossibile. Necessiterebbero di una somministrazione diretta del farmaco da parte dello staff medico, fatto che per l’ordinamento legale italiano costituirebbe reato di omicidio del consenziente (codice penale, articolo 579). A queste persone, private di un loro diritto dalla mancanza di una legge, non rimane altra scelta – se ne hanno la possibilità – che morire in un Paese diverso dal proprio.

Il referendum abrogativo promosso dall’Associazione Luca Coscioni andrebbe a porre rimedio a questa situazione tramite l’abolizione parziale di parte dell’articolo 579 tramite la cancellazione di parte del comma 1 e 3 e del 2 come segue:

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.

Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

  • Contro una persona minore degli anni diciotto;
  • Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
  • Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613; 2].

Leggi anche: Suicidio assistito: torna il problema degli obiettori di coscienza.

Cosa cambia con l’abrogazione parziale dell’articolo 579

Con le modifiche referendarie, l’eutanasia attiva – cioè la somministrazione del farmaco eutanasico da parte del personale medico a una persona in determinate condizioni di salute secondo quanto delineato nella legge 219/2017 e nella sentenza Cappato – sarebbe l’unica forma legale di omicidio del consenziente.

Sarebbe sempre illegale nel caso di minori, di persone affette da disturbi psichici e dipendenze (depressione, alcolismo) e, ça va sans dire, nel caso in cui il consenso sia stato estorto: vale a dire la totalità delle altre fattispecie di omicidio del consenziente diverse dall’eutanasia.

Essendoci comunque il consenso informato e l’intervento della sanità pubblica – che sarebbero automaticamente applicati al 579 – difficilmente l’eutanasia attiva verrebbe concessa a lucidi nichilisti “wannabe” che vogliono privarsi della vita perché priva di senso (in questi casi basterebbe rimandare i “nostri” alla letteratura esistenzialista e assurdista).

La ratio dell’abrogazione è che una persona che ha necessità di un aiuto fisico per togliersi la vita, generalmente ha un buon motivo per giungere alle stesse conclusioni dell’Amleto di Shakespeare.

Le probabili opposizioni al referendum sull’eutanasia

Manifesti contro l’eutanasia passiva di Eluana Englaro nel 2010. Foto: pagina Facebook di Milita Christi.

Ovviamente, non la penseranno così Santa Madre Chiesa e quella parte di politica e società vicine al cattolicesimo, che sicuramente lanceranno i propri strali contro la «civiltà della morte» arrogandosi – come già nel 1974 contro il divorzio – il diritto di decidere per la felicità e quiete altrui, con buona pace del libero arbitrio tanto caro alla dottrina cattolica.

Le prime avvisaglie di ciò si scorgono già tra le righe de L’Avvenire.

Leggi anche: Noa Pothoven, vincere o imparare. A lasciarsi andare.

Forse a costoro potrebbe giovare la lettura di quello che san Tommaso Moro, santo patrono dei politici cattolici, scriveva nella sua opera Utopia, a proposito degli infermi dell’omonima isola:

«Gli infermi (come dicemmo) trattano con gran carità, non tralasciando cosa alcuna cerca le medicine ed il governo del vivere, che vaglia a rendere a quelli la sanità. S’alcuno è incurabile, tenendoli compagnia, parlando con lui, e servendolo, alleggeriscono la sua calamità. Ma se l’infermità è incurabile e di perpetuo dolore, i sacerdoti ed il magistrato lo confortano, che essendo già inetto agli uffici della vita, molesto agli altri e grave a sé stesso, non voglia sopravvivere alla propria morte, e nodrire seco la pestifera infermità, e che essendogli la vita un tormento, non dubiti di morire; anzi ch’avendo buona speranza che sarà libero da tale acerba vita, uccida sé stesso o si lasci dagli altri uccidere; e che farà opera da prudente, quando che le calamità saranno da lui lasciate morendo, non i commodi; oltre che seguendo il consiglio dei sacerdoti interpreti degli dei, farà opera santa e pia. Chi sono a questo persuasi, ovvero con astinenza finiscono la vita, overo dormendo sono uccisi. Ma non ne fanno morire alcuno contra sua voglia, né mancano di servirlo nell’infermità parendo loro che questa sia onorata impresa».

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Enrico De Biasio

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