Oggi theWise Magazine ha incontrato lo scrittore e musicista Marco Di Grazia, autore di E quello sguardo blues… Altri sei racconti fra la via Aurelia e il Mississippi, edito da AUGH! Edizioni (2021). Questo volume si configura come proseguimento di Fra la via Aurelia e il Mississippi, edito nel 2018 dalla medesima casa editrice.
Cosa accomuna uno scrittore a un musicista?
«Credo che la cosa principale sia quella di narrare, di raccontare. Si può fare con le parole, si può fare con la musica e anche con altri mezzi di espressione. Dico sempre che la musica è narrazione, il blues in particolare, è narrazione. Quindi si accomuna il desiderio, o spesso la necessità, di comunicare qualcosa».
Da scrittore e musicista, cosa rappresenta per te il blues?
«Allora, intanto facciamo un distinguo: mentre sì, il termine scrittore (non me ne voglia nessuno) lo trovo giusto, quello di musicista è, ahimè, esagerato. È vero che nei nostri spettacoli accompagno il mio sodale Marcello con armonica e basso, ma definirmi musicista è un po’ troppo.
Vorrei esserlo ma per rispetto a chi lo è davvero me ne sto qualche gradino sotto. E cosa rappresenta per me il blues… beh, è ormai una parte enorme di me, un modo di vivere e di intendere la vita. È una musica, ma non solo quella: è un mondo, un pianeta in cui si entra e che, quando si comincia a esplorarlo, diventa la vita stessa».
Quale è il filo conduttore dei racconti contenuti in E quello sguardo blues e la tua precedente raccolta?
«Il filo conduttore è il blues. Sono storie di persone, di donne, di uomini, di situazioni, che hanno come “centro di gravità permanente” il blues. Il blues del Delta, là dove è nato questo albero le cui radici e i cui frutti si sono diramati in tutto il mondo e il blues nostro, della nostra terra, che è più vicina di quanto non si creda a quella del Mississippi. Il blues nelle esistenze e in quello che accade ai protagonisti dei racconti, oltre che nella musica».
Tra i tuoi personaggi ci sono giovani cantanti con un figlio da crescere, uomini assetati di vendetta e persone che sognano un futuro migliore. Da dove hai tratto ispirazioni per le loro storie?
«Bella domanda. Credo da una vita passata ad ascoltare, a leggere, a guardarmi attorno, a curiosare fra le righe delle esistenze. Ma soprattutto a immaginare, che poi diventa una caratteristica fondamentale di chi fa questo mestiere. Andare al di là di ciò che si vede e immaginare altre parole, altre vicende, altre persone… altro di altro».
Cosa è My God is Blues?
«My God is Blues è un recital nato dopo la pubblicazione del mio primo libro di racconti blues, Fra la via Aurelia e il Mississippi. Volevo trovare un modo diverso di presentare i miei racconti, per cui ho parlato con un amico musicista, Marcello Rossi, bravissimo cantante e chitarrista, e insieme abbiamo messo su il primo embrione di uno spettacolo che dura da tre anni. Lui alla chitarra a cantare e suonare e io a leggere parti dei racconti e narrare le storie blues.
In breve si sono uniti Cristiano Soldatich, un disegnatore e illustratore, che durante lo spettacolo dipinge dal vivo alcuni personaggi o scene tratte dai racconti, e Andrea Berti, un fotografo, che con le sue foto illustra e racconta il suo blues. Praticamente quattro arti, quattro strade che si congiungono nel loro incrocio, il loro crossroads, e al centro di questo incrocio c’è il blues.
In più, io e Marcello abbiamo anche composto le canzoni ispirate ai racconti stessi, per cui i nostri personaggi diventano non solo protagonisti dei racconti, ma anche di canzoni, di illustrazioni e di fotografie».
Cosa vedrebbe nel mondo di oggi “quello sguardo blues”?
«Tante difficoltà, tanta incertezza, voglia di riscatto. Vedrebbe molto blues, magari rendendosene conto, cosa che non sempre accade. Magari lo racconteremo in un prossimo libro [ride, N.d.R.]».