Poche settimane fa l’Alta Corte del Regno Unito ha amesso nuovi argomenti nel dibattimento per l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Una prima vittoria per Washington, che da anni insegue il giornalista australiano colpevole di aver reso pubblici documenti secretati che provano i crimini di guerra della Nato in Iraq e Afghanistan.
La vicenda processuale di Assange è lunga e complessa – l’avevamo ricostruita in questo articolo di quasi un anno fa – ed è tornata d’attualità nel nostro Paese dopo il servizio della trasmissione Rai Presa Diretta e l’uscita del libro Potere Segreto, scritto da una delle collaboratrici italiane di Assange stesso.
L’Alternativa C’è, un gruppo di parlamentari fuorisciti dal Movimento 5 Stelle, ha presentato alla Camera una mozione per il riconoscimento dello status di rifugiato politico al fondatore di Wikileaks. Primo firmatario è il deputato Pino Cabras, che ai nostri microfoni ha spiegato le ragioni della sua proposta.
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Onorevole, perché l’Italia dovrebbe riconoscere a Julian Assange lo status di rifugiato politico?
«Perché Assange ha rappresentato per l’Occidente l’occasione di rimediare almeno in parte ad alcuni suoi errori storici. Un’occasione che le classi dirigenti hanno sprecato, scegliendo di perseverare e impelagandosi in avventure disastrose come la guerra afghana, di cui oggi vediamo la disastrosa conclusione.
La voce di Assange è stata un’elemento fondante della critica alle aberrazioni del potere di questi anni. Lasciarlo languire in carcere è la negazione di tutti quei valori che ogni giorni diciamo di rispettare.
Nel concreto, poi, questa mozione serve a dare una possibilità in più alla soppravvivenza di Assange. Come ha detto Nils Melzer, l’inviato speciale Onu per la tortura, tutto fa pensare che Assange sia soggetto a tortura psicologica».
E l’Italia che strumenti avrebbe per aiutare Assange?
«L’approvazione di questa mozione – e ancora di più un’azione conseguente del governo – avrebbe un valore politico enorme. Se un Paese del G7 affermasse con forza i diritti di Assange si riaprirebbe un dibattito ora dominato giuridicamente dalle pressioni statunitensi. Non dimentichiamo che negli States lui rischia fino a centosettantacinque anni di carcere».
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Dall’altro lato della barricata però dicono che Assange sia una spia, non un giornalista, e come tale non meriti protezione umanitaria.
«Le rispondo con una frase del celebre giornalista argentino Horacio Verbitsk: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”.
Assange da questo prospettiva è stato un’eccellente giornalista. Ha usato le tecniche proprie di questa epoca – internet in primis – ma questo nulla toglie all’importanza del suo operato».
Avete avuto feedback dalle altre forze politiche? I vostri ex compagni 5 Stelle, ad esempio, sono storicamente vicini alla causa di Assange.
«Pochi a dire il vero. Sicuramente registriamo l’esplicità contrarietà di Forza Italia, che già si è espressa sul tema.
Per il resto vediamo forte imbarazzo. Il Movimento 5 Stelle è in difficoltà, e lo stesso vale per il PD, che sul tema è spaccato: la componente renziana non ne vuole sapere, mentre altri sentono l’imbarazzo rispetto ai valori declamati – addirittura un senatore democratico ha organizzato un’iniziativa pro-Assange.
L’unico strumento che rimane loro è quello di calciare la palla in tribuna, rimandando in continuazione la data della discussione».
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Quindi ancora non sapete quando l’aula si esprimerà sulla mozione?
«No. Per la calendarizzazione serve un appoggio nella conferenza dei capigruppo dove noi de L’Alternativa C’è, ancora, non siamo rappresentati. Ma contiamo di raggiungere presto i venti membri necessari per essere riconosciuti come gruppo».
Pensa che Assange possa davvero ancora sperare nell’essere liberato?
«Difficile risponderle. In questi casi contano i rapporti di forza, e chiaramente questi sono sbilanciati nei confronti dell’establishment statunitense. Assange ha toccato un nucleo cesarista, imperiale, del potere Usa, e fosse per la loro classe dirigente non avrebbe alcuna speranza.
Ma anche gli Stati Uniti a volte perdono – lo abbiamo visto – e dobbiamo impegnarci per questo».