Dal 2003, il 10 settembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità, insieme alla Federazione mondiale per la salute mentale e all’Istituzione internazionale per la prevenzione al suicidio.
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In questo articolo si raccolgono alcune canzoni del panorama italiano che hanno come filo conduttore il tema del suicidio.
Si ricorda l’esistenza del Telefono Amico, contattabile ogni giorno dalle 10 alle 24 al numero 02 2327 2327.
Brano del cantautore genovese Fabrizio De André, è stata scritta al ritorno dal funerale di Luigi Tenco, suo amico e cantautore, morto suicida nel gennaio 1967, dopo essere stato escluso dalla gara del Festival di Sanremo dello stesso anno.
Il cantautore ligure fa un appello al Signore, chiedendogli di accogliere in Paradiso chi è morto per suicidio: «Venite in Paradiso, là dove vado anch’io, perché non c’è l’Inferno nel mondo del buon Dio». Traspare anche compassione per i morti suicidi, definiti come coloro che «all’odio e all’ignoranza preferirono la morte».
Singolo di Domenico Modugno del 1968, fu escluso dal Festival di Sanremo proprio a causa della tematica trattata, giudicata inopportuna a solo un anno dalla tragica scomparsa di Luigi Tenco.
Il brano narra la vicenda di un uomo, che «di notte su di un ponte, guardando l’acqua scura» ha avuto l’intenzione di togliersi la vita. La situazione viene stravolta dall’arrivo di una donna, «forse un angelo vestito da passante», che ricorda all’uomo le cose belle che la vita gli ha donato e che può ancora donagli, come il sole, il mare, l’amicizia e «il bene di una donna che ama solo te».
Questo è un altro singolo del cantautore Domenico Modugno, pubblicato nel 1955. Il testo racconta la storia di un elegante uomo in frac, che passeggia nelle vie della città e che all’alba si è evidentemente suicidato: «Sul fiume silenzioso e nella luce bianca, galleggiando se ne van un cilindro, un fiore e un frac». La voce narrante ignora chi sia l’uomo e da dove venga.
Come lo stesso Modugno ha raccontato più volte, la canzone si ispira alla vicenda del principe Raimondo Lanza di Trabia, morto suicida a trentanove anni.
Brano del 1961 di Fabrizio De André, si apre con l’immagine del corpo esanime di Miché, impiccatosi per amore nella sua cella. L’uomo ha ricevuto una condanna a vent’anni di prigione per aver ucciso un uomo che importunava la sua amata, Marie.
Il brano finisce con una prolessi. Il corpo dell’uomo verrà gettato in una fossa comune, anche se il cantautore genovese intravede per lui un po’ di speranza: «Qualcuno una croce col nome e la data su lui pianterà». Come in altri suoi brani, emerge la scarsa fiducia nella Legge («vent’anni gli avevano dato, la corte decise così») e nel perdono della Chiesa («nella fossa comune cadrà, senza il prete e la Messa, perché di un suicida non hanno pietà»).
Questa canzone de Il Teatro degli Orrori del 2007 racconta di Tom «che se n’è andato via». Chi canta è visibilmente sconvolto dalla morte del ragazzo e si ferma a riflettere: «Come ci illudi, Tom, di essere ancora tutti vivi, mentre guardiamo sempre dall’altra parte».
La voce narrante avrebbe voluto dire tante cose a Tom, avrebbe voluto averlo amato, avrebbe voluto cantare una canzone «per averti sempre,
sempre con me». Ma «è così tardi ora», e purtroppo «questo non è uno scherzo, non è neanche una fantasia».
Questo toccante brano di Simone Cristicchi, pubblicato nel 2007, racconta la storia di Antonio, un uomo «nato nel ’54», che vive in un ospedale psichiatrico da quando era bambino.
Antonio è innamorato di Margherita, un’altra ospite della struttura, e sogna con lei una storia d’amore: «Ti scrivo questa lettera perché non so parlare, perdona la calligrafia da prima elementare, e mi stupisco se provo ancora un’emozione, ma la colpa è della mano che non smette di tremare».
L’uomo racconta i momenti in cui «dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto, ritagliando un angolo che fosse solo il nostro». Nel finale della canzone, Antonio, stremato dall’assenza della sua Margherita che manca da vent’anni, si getta dal tetto, ponendo fine alla sua malattia: «E ti stupisci che io provi ancora un’emozione? Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare».
Irene è la protagonista dell’omonima canzone di Francesco De Gregori, pubblicata nel 1973. La ragazza sta «alla finestra e tanta gente per la strada».
Nelle parole del cantautore romano è presente l’invisibilità nella quale spesso vivono le persone che soffrono: «Il mondo passa accanto a lei e non la sfiora mai». Non si conosce il finale della vicenda: «Con le mani aperte, il cuore aperto Irene guarda giù».
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