Con un anno di ritardo rispetto alla tradizionale cadenza biennale, sta per arrivare il momento che tutti gli appassionati di golf aspettano: l’inizio della Ryder Cup. La leggenda del più famoso torneo di questa disciplina è ormai quasi centenaria, con la prima edizione datata 1927 che vide la vittoria degli Stati Uniti ai danni del Team della Gran Bretagna (l’attuale sfida con la partecipazione della squadra europea invece risale al 1979).
Il 24 settembre, al Whistling Straits Course in Wisconsin, comincerà la quarantatreesima edizione e il Team Europe sarà chiamato a difendere il titolo conquistato nel 2018 a Parigi, in un weekend che ha portato nella storia del golf il nostro Francesco Molinari. Da quella vittoria schiacciante sono cambiate molte cose, dalle gerarchie nel ranking mondiale ai partecipanti, passando per i capitani. Ma prima di analizzare l’edizione 2021 facciamo un breve ripasso del funzionamento di questo particolare torneo di golf, che spesso risulta di difficile comprensione ai non appassionati proprio a causa del regolamento “insolito”.
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Tralasciando i vari luoghi comuni su questo sport della serie “è solo per i ricchi” o “è noioso”, nell’immaginario comune quando si pensa al golf ci si immagina una competizione individuale dove, in sostanza, vinche chi conclude settantadue buche in meno colpi. Alla Ryder Cup questo è vero, ma non del tutto. In primis, la competizione è a squadre: da un lato il Team USA capitanato da Steve Stricker e dall’altro il Team Europe guidato dal tre volte campione major Pàdraig Harrington. Le squadre sono composte da dodici atleti, selezionati con differenti criteri (in base al ranking, alla race e attraverso le captain’s picks, ossia le scelte dei capitani).
I tre giorni di gara si suddividono in tre formule: venerdì e sabato si svolgono i matchplay a coppie, in fourballs e in foursomes, mentre la domenica i matchplay individuali. Con ogni probabilità, chi non ne mastica molto di golf di queste due frasi non avrà capito nulla (giustamente) e quindi andiamo a capire il meccanismo del torneo in una sorta di rules for dummies. Con matchplay si intende una sfida, individuale o di coppia, dove al termine di ogni buca prende il punto chi l’ha conclusa in meno colpi. Guardando la Ryder Cup sentirete parlare di bogey, par, birdie, eccetera, ma per ora lasciate perdere. Al termine del giro da diciotto buche, l’atleta o la coppia che ne avrà vinte di più porterà al suo team un punto. In caso di parità verrà assegnato mezzo punto a ognuno.
Archiviato il concetto alla base di matchplay, passiamo ora alle due formule che caratterizzano il torneo: il fourballs e il foursomes. Partendo dal primo, come si può facilmente capire dal nome stesso, ogni giocatore (due coppie, quindi quattro) gioca la buca come se fosse da solo e alla fine della stessa si prenderà come valido il risultato migliore. La coppia del giocatore che ha concluso la buca con meno colpi prende il punto. Esempio: il Team Europe è composto da A e B; il Team USA è composto da C e D; A conclude in cinque colpi; B in tre; C in quattro; D in quattro. La somma dei colpi è la medesima, ma il punto va al Team Europe perché la miglior prestazione è di B.
Per quanto riguarda il foursomes il ragionamento è più semplice. Al posto di giocare con quattro palle, le coppie si alternano nel colpire la pallina e alla fine della buca ovviamente prende il punto chi l’ha ultimata in meno colpi. Nei tre giorni di Ryder Cup si svolgono otto sfide in fourballs, otto sfide in foursomes e dodici matchplay individuali. In totale i punti sono ventotto, tanti quanti le sfide, quindi vince il team che raggiunge i quattordici e mezzo (nel 2018 l’Europa ha vinto con il punteggio di diciassette e mezzo a dieci e mezzo). In caso di parità a quota quattordici il trofeo resta ai detentori.
L’interesse verso il golf in Italia nell’ultimo lustro ha visto un grande boom dovuto soprattutto ai risultati sensazionali di Francesco Molinari. Tuttavia, la nostra punta di diamante ormai da un paio di stagioni che sta attraversando un momento difficile della sua carriera, passando dal quinto posto del ranking raggiunto nel settembre 2018 all’attuale posizione fuori dai primi centocinquanta del mondo. Questo declino l’ha evidentemente svantaggiato nella corsa alla Ryder Cup e di conseguenza in Wisconsin non ci sarà l’MVP dell’edizione di Parigi. Le due squadre porteranno un mix di esperienza e gioventù, con molti rookie (sei per gli Stati Uniti e tre per l’Europa). Tra i veterani spiccano Lee Westwood, alla sua undicesima Ryder Cup in carriera, Sergio Garcia e Ian Poulter, diventati dei veri e propri leader carismatici per il Team del vecchio continente.
Se dovessimo valutare le squadre solo in funzione delle posizioni nel ranking PGA non ci sarebbe nemmeno partita, con gli statunitensi che potranno contare su dodici atleti tutti nei top 25, mentre l’Europa schiererà solo tre top 20 (con la ciliegina del numero uno mondiale Jon Rahm). Ciononostante, i componenti del Team Europe, con i loro centocinquantasei match all’attivo in Ryder Cup, partiranno alla pari contro le giovani stelle statunitensi, che invece contano solo quarantanove incontri complessivi. Senza elencare tutti i giocatori che si contenderanno il trofeo, citiamo chi, a detta di chi scrive, potrà essere determinante in questa edizione.
Nel Team Europe i due maggiori talenti sono senz’ombra di dubbio Jon Rahm e Rory McIlroy, ma due pedine chiave per il mantenimento del titolo saranno gli inglesi Tommy Fleetwood e Ian Poulter, due autentiche “macchine da Ryder”. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, le redini tecniche saranno affidate a Dustin Johnson, il più esperto dei dodici, che però non ha un record entusiasmante nelle quattro edizioni già disputate. Fondamentale sarà l’apporto di Justin Thomas e Jordan Spieth (captain’s pick), oltre all’impatto dell’enfant prodige del golf Collin Morikawa.
Vi auguriamo una buona Ryder Cup, il modo migliore per avvicinarsi ad uno sport incredibile come il golf.
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