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Dune: part one, la recensione no spoiler – theWise@theCinema

Published by
Giacomo Stiffan

Con la recensione di “Dune: part one” inauguriamo la nuova rubrica di recensioni cinematografiche di theWise Magazine: theWise@theCinema.

Overview

Per chi ama la fantascienza Dune rappresenta la quintessenza del genere, e – per alcuni aspetti – non è assurdo affermare che Dune sta alla fantascienza come Il signore degli anelli sta al fantasy: libri imprescindibili e dal successo irripetibile, su cui si fonda l’immaginario dei loro rispettivi generi dalla loro uscita in poi.

Il Dune letterario ha lasciato un solco profondo anche nel cinema. Il discendente più evidente è uno dei franchise più importanti in assoluto: Star Wars, il cui creatore George Lucas ha ammesso in più occasioni d’essersi ispirato, tra le tante cose, proprio a Dune.

Dune ha anche un altro aspetto in comune con Il signore degli anelli: entrambi hanno una struttura estremamente complessa e stratificata, dei veri e propri universi, enormi, dettagliati, in cui il lettore si immerge totalmente ma che sono dannatamente difficili da rendere sul grande schermo. Questo è il motivo per cui entrambi hanno dovuto aspettare tanto, tantissimo tempo prima di avere una trasposizione cinematografica degna dei libri di partenza. E non che tentativi non ne siano stati fatti.

Il Dune di Lynch

Un fotogramma dal Dune di Lynch. Sì, il rosso è Sting.

L’unica altra trasposizione cinematografica di Dune arrivata nei cinema fu un’operazione tentata negli anni ottanta da Dino De Laurentiis con la regia di David Lynch. Nacque da un progetto naufragato di Jodorowsky che aveva un potenziale davvero molto interessante (basti pensare che alle musiche avrebbero partecipato i Pink Floyd). Non fu un successo: una storia di fantascienza data in mano a un regista bravissimo ma che di fantascienza non ne capiva niente, tanto da aver accettato di girare Dune senza aver mai letto il libro, parole sue. Il risultato fu un film guardabile ma evidentemente fuori fuoco, non particolarmente rispettoso del materiale di partenza. Più un’operazione di De Laurentiis che altro.

Il Dune di Villeneuve

La Casa Atreides su Caladan, loro pianeta natale.

Denis Villeneuve invece prende il Dune letterario e lo maneggia con delicatezza, lo coccola, lo esalta. Questo Dune è tutto ciò che i blockbuster dell’ultimo decennio non sono stati e, nonostante il trailer lo faccia sembrare uno di questi, non andate in sala aspettandovi un Avengers: Endgame, perché rimarreste tremendamente delusi.

Leggi anche: Avengers: Endgame cambierà per sempre il cinema d’intrattenimento.

Lo si può spoilerare, in barba alle pagelle che seguono: il Dune di Denis Villeneuve supera ogni aspettativa.

Questo è un cinema d’autore, col budget di un blockbuster.

Certo c’è qualche esplosione (pochissime, in realtà) ma non è un film d’azione. È invece un’opera molto profonda, per certi versi introspettiva: un impatto visivo immenso, saturante, con una storia che si prende il suo tempo e che mette sul piatto talmente tanti layer che non basterebbero tre recensioni per sviscerarli tutti.

D’altro canto chi conosce Dune sa bene che non può che essere cosi: non è una storia semplice, è piena di dettagli tutti molto importanti, c’è tanta politica, tanta filosofia e gronda letteralmente di religione (non certo in senso positivo).

È una storia senza tempo ma quando viene calata nei giorni nostri da Villeneuve, i parallellismi con il mondo reale sono impossibili da non notare: l’Afghanistan, il petrolio, l’integralismo religioso, l’imperialismo delle grandi potenze, i falsi messia, l’omicidio di antagonisti politici su suolo neutrale (ehm ehm Putin, ehm ehm).

Leggi anche: Perché Vladimir Putin non è un killer ma è un assassino.

Il Barone Vladimir (nomen omen) su Giedi Prime, pianeta natale degli Harkonnen.

Se si comprende che tipo di regista è Villeneuve si comprendono anche le sue critiche nei confronti dei cinecomic. Dice Villeneuve: «Se parliamo della Marvel, il fatto è che tutti questi film sono realizzati con lo stesso stampo. Alcuni registi possono aggiungere un po’ di colore, ma alla fine vengono sempre tutti prodotti nella stessa fabbrica. Questo non toglie nulla ai film, ma è come se fossero già formattati».

Come dargli torto? Per la cronaca, chi scrive è un fan sfegatato della Marvel e continuerà a vedere cinecomic con grande godimento, ma il cinema autoriale è altra cosa.

FAQ

Vale la pena vederlo al cinema?
Non solo vale la pena: va visto al cinema, punto. Un’opera così opulenta merita senza ombra di dubbio il grande schermo. In alternativa, quando uscirà per l’home video, dotatevi della TV più grande che avete o, meglio ancora, di un proiettore. Non lesinate con l’impianto audio: va tenuto bello alto.

È fedele ai libri?
Molto. Certo, non è materialmente possibile farci stare tutto ma le parti tagliate o modificate si contano sulle dita di una mano. Per ora nessun accenno al jihad butleriano e al background dei mentat. Viene cambiato il genere al dott. Liet-Kynes che diventa donna ma chi se ne frega, non cambia minimamente la narrazione. La figura del dott. Yueh forse è poco approfondita e alcuni aspetti avrebbero arricchito la storia.
Ecco, nulla a che vedere con i tagli di Peter Jackson a Il signore degli anelli, che ci andò giù molto più pesante, eppure la sua trilogia rimane nel mito.

Bisogna aver letto i libri per capirci qualcosa?
No, ma è consigliabile. Villeneuve si prende il suo tempo per dipingere il mondo di Dune ma per un neofita la prima parte può essere difficile da assimilare.

Le pagelle

Il regista, Denis Villeneuve, sul set con Javier Bardem.

Regia

La costruzione di mondi è un fil rouge che attraversa molti dei
film di Villeneuve. Anche questa volta ci riesce magistralmente. Il mondo di Dune viene dipinto in tutta la sua complessità, senza tanti sconti. La prima parte del film può essere ardua da comprendere per un neofita (ogni dettaglio è importante) ma è decisamente alla portata di tutti, specialmente considerando l’ostico materiale di partenza. Una volta posate le fondamenta la seconda parte si dipana in maniera più scorrevole. La regia si caratterizza per campi lunghissimi e primi piani strettissimi, che delimitano il racconto del mondo esterno da quello dell’intimità dei personaggi, delineati alla perfezione e mostrati nella loro umanità (si, perfino il Barone).
Un pittore.

Voto 9,5

Montaggio

Alcuni l’hanno definito un film lento, sta di fatto che per due ore e mezza chi scrive non ha mai guardato l’orologio. Anzi, non ha proprio scollato gli occhi dallo schermo, avendo completamente scordato di essere in un cinema. Certo, chi è abituato ai classici blockbuster corricorri-sparaspara potrebbe sentire le palpebre pesanti ma il problema è dello spettatore abituato male, non certo del ritmo del film, che è correttamente calibrato: la storia procede con incedere solenne e a ogni inquadratura viene dato lo spazio che merita.
La giusta via di mezzo.

Voto 9

Fotografia

Le composizioni sono maniacalmente curate, qualsiasi inquadratura è studiatissima, ogni fotogramma è dipinto con pennellate certosine di luci e ombre. Ammirevole il codice dei colori: dal grigio/blu Atreides allo sterile nero lucido talvolta screziato di rosso degli Harkonnen, dal bianco sporco dei Sardaukar imperiali al nero stinto e impolverato di beige dei Fremen, i colori identificano i personaggi ma anche i luoghi, tutto aiuta lo spettatore a comprendere cosa accade e dove accade, evitando inutili dialoghi didascalici.
Questo aspetto è ancor più evidente quando ci si muove tra i pianeti: il loro nome viene citato solo la prima volta in cui vengono inquadrati, dopodiché è la fotografia a farlo capire. Il film si dipana mano a mano che scorre il minutaggio accompagnando le varie fasi della narrazione con un colore dominante: dal grigio, all’oro, al nero e infine al bianco. Non si disdegnano alcune inquadrature in un verde che ricorda Matrix.
Un capolavoro.

Voto 10

Sceneggiatura

Presa quasi pari pari dai libri, quindi bene. I dialoghi sono ridotti allo stretto indispensabile, preferendo comunicare visivamente quante più informazioni possibili. Questo a discapito di alcune precisazioni che ci si augura verranno esplicitate nel sequel: la jihad butleriana, il ruolo dei mentat, il bene gesserit. A ogni modo, un lavoro eccellente: per capirci, Peter Jackson ha tagliato molto più da Il signore degli anelli che Villeneuve da Dune.
Non aspettatevi umorismo alla Marvel: questo è un film serio, serissimo, non c’è spazio per le battutine, non c’è niente da alleggerire.
Sintetica.

Voto 8,5

Colonna sonora

Hans Zimmer, e si sente tutto. Opulente, pervasivo. Ci sta, accompagna perfettamente il tono opprimente, cupo e ansiosamente teso verso il futuro di tutto il film.
Forse in alcune parti la colonna sonora diventa un po’ troppo saturante e sovraccarica i sensi.
Onnipresente.

Voto 8

Effetti speciali

Molto buoni, non perfetti. D’altra parte una buona fetta del budget è andata a un cast stellare. Però va dato atto alla produzione di aver lavorato molto bene con le risorse che rimanevano.
Efficienti.

Voto 8

Costumi e design

Il design va a braccetto con la gestione dei colori. Che sia un abito o un’astronave, si capisce a colpo d’occhio il chi e il cosa. Lo studio sullo stile, a trecentosessanta gradi, è meticoloso e comunica molte informazioni.
Meravigliosi i costumi, come ad esempio la trasposizione della gilda spaziale, con i caschi che ne immergono i membri nella spezia come dei palombari al contrario (peccato non vengano approfonditi meglio). Peccato anche per alcuni scivoloni (quella caraffa Ikea non si può vedere).
Funzionali.

Voto: 8

Cast

Timothée Chalamet.

Timothée Chalamet: umano e inumano allo stesso tempo, è calato magistralmente nel personaggio. Un Paul Atreides sfaccettato e profondo: questo ragazzo è una bestia.
Perfetto.
Voto 10

Rebecca Ferguson.

Rebecca Ferguson: sofferente, forse un po’ troppo. È lecito aspettarsi un po’ più di cazzimma da Lady Jessica, ma probabilmente è un problema di scrittura del personaggio.
La prestazione è eccellente ed estremamente comunicativa, forse il personaggio verso cui è più facile provare empatia.
Intensa.
Voto 8,5

Oscar Isaac e, dietro, Josh Brolin.

Oscar Isaac: uno sguardo che dice più di mille parole. Magnetico, carismatico, un Duca eccellente e un attore che ha dimostrato una versatilità invidiabile.
Se quella barba è la sua, voglio conoscere il suo barbiere.
Oltre ogni aspettativa.
Voto 9,5

Jason Momoa: fa il solito Momoa ma più samurai del solito. Grande e grosso, cazzuto, spacca i culi a tutti. Tagliato su misura per Duncan Idaho, un personaggio che avrebbe meritato un approfondimento più attento e che mi auguro verrà fatto in seguito. Comunque lui bravo eh, ma non il massimo della versatilità.
Lo vedremo mai in versione ghola? Lo spero.
Dōmo arigatō gozaimasu.
Voto 7,5

Josh Brolin: in quei pochi minuti in cui c’è riempie la scena, ha carisma da vendere. Pure troppo, forse.
Eccessivo.
Voto 7

Stellan Skarsgård: c’erano poche aspettative. Male, ci si deve ricredere. Il Barone ha stupito: rivoltante e viscido come dev’essere, eppure ha dei guizzi insospettabilmente umani. Usa molto gli occhi, gli sguardi, fa un lavoro di fino che si incastra meravigliosamente coi primi piani di Villeneuve.
Bravo bravo.
Voto 8,5

Javier Bardem: sempre sul pezzo, fa poco ma lo fa dannatamente bene. Se vi offre un caffè declinate educatamente. Fidatevi.
Cazzuto.
Voto 8,5

Zendaya: un gatto di sale.
Voto 5

Dave Bautista: Drax in versione albina e malvagia. Il poco minutaggio non aiuta.
‘Nzomma.
Voto 6-

David Dastmalachian: è tagliato su misura per interpretare un mentat distorto. Lo fa da dio.
Scontato, ma bravo.
Voto 7,5

Voto globale del cast, ponderato in base al minutaggio: 9

Pro

  • Un’esperienza visiva e auditiva totalmente immersiva;
  • molto fedele al libro;
  • un cast stellare, e si vede.

Contro

  • La promozione del film l’ha venduto per qualcosa che non è;
  • il ritmo, sebbene adatto, può risultare lento per gli spettatori meno avezzi;
  • colonna sonora talvolta invasiva (ma azzeccatissima).

Voto finale: 9

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Giacomo Stiffan

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