Il polpo è un animale di intelligenza profonda, con un’abilità mimetica che gli permette nutrimento e sopravvivenza. Da qui prenderà le mosse il momento della rivelazione per il commissario Tellurico, protagonista di La tana del polpo, di Giorgio Lupo, per AUGH! Edizioni. Il romanzo si presenta come un thriller serrato e affresco di una società siciliana di provincia, quella di Termini Imerese, che a descrizioni di tramonti mozzafiato accosta scene di piccola criminalità e padri ingiustamente incarcerati per mafia. Filo conduttore della vicenda è Placido Tellurico, uomo tormentato, padre solo, detective colpito dai sensi di colpa di un errore fatale.
«’Sti parrini hannu l’occhi attenti e qualche sbirru e spiuni parrò assai».
La tana del polpo coglie effetti di realtà piacevolissimi, attingendo al patrimonio culturale e linguistico siciliano nei momenti più opportuni. La lingua e il dialetto si compenetrano e vengono utilizzati per definire le gerarchie dei dialoghi, caratterizzare i personaggi, a volte sottolinearne sincerità o malizia. Il protagonista stesso guadagna spessore anche grazie a un uso della lingua che coinvolge vocaboli tipici del quotidiano, termini in prestito dal dialetto, che entrano naturalmente nell’italiano regionale dei parlanti locali.
Anche l’ambientazione è attiva componente della narrazione: non sfondo asettico e dato per certo, ma costante presenza, spazio reale in cui i personaggi si muovono. È sempre fatto presente ciò che Tellurico, u mazzolu, ha davanti agli occhi mentre riflette: il mare della baia, i profili montuosi, le architetture sgargianti. E tuttavia non si cade nella manipolazione ideale dell’ambiente narrativo: è proprio la sua doppia anima a contribuire invece al thriller, con il Palazzo Denver, «in tutta la sua pornografica bruttezza», a disturbare il placido sonno termitano. Esso funziona come acuto espediente nel concentrare l’azione dei personaggi in un unico luogo, permettendo la descrizione di un tessuto sociale complesso; appassiona il lettore e lo spinge a improvvisarsi egli stesso detective, analizzando il sottotesto di ogni abitante del palazzo, tra strane abitudini, intrighi e coincidenze.
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In La tana del polpo punto di forza è il doppio piano narrativo: intervallati al procedere della storia troviamo piccoli capitoli di flashback, inizialmente enigmatici, poi via via sempre più chiari e al contempo angoscianti. La crudezza e la violenza del racconto si insinuano nel lettore e contribuiscono all’effetto di svelamento finale dell’identità dell’assassino.
È sempre confortante una descrizione, e possibile comprensione, del killer in fieri; che eviti la semplificazione di realtà implicita nella credenza che esista il male ed esista il bene, in esseri umani destinati al disastro. Rendere speciale e fatale il male ne aumenta il pericolo; ne isola la presenza che è in realtà pressocché quotidiana nelle nostre vite, e ne elimina le responsabilità personali, deumanizzando l’assassino e dimenticandone trauma e storia personale.
I momenti di flashback vengono collocati in modo sapiente all’interno dell’intreccio. Costituiscono momenti di pausa dalla successione narrativa e insieme aggiungono a questa ulteriori informazioni, agganciando la curiosità del pubblico e provocandone sempre maggiore inquietudine. Oltre a restituire la complessità degli omicidi, dunque, svolgono funzione di vero e proprio intrattenimento narrativo, stimolando il ragionamento e l’interazione tra piani temporali differenti.
Placido Tellurico è un protagonista complesso: è stato lasciato dall’ex moglie, cresce da solo una figlia quasi in pubertà. In più, è perseguitato dai sensi di colpa per un’indagine superficiale e una condanna ingiusta ai danni di un altro padre, Franco Geraci.
Non tutti questi aspetti vengono approfonditi, forse anche per questioni di economia del romanzo; è comunque significativo proseguire in una trama che è non solo svolgimento della matassa poliziesca ma anche evoluzione personale di un uomo sofferente dal nome parlante e parzialmente ironico.
Elemento costante nella vita di Tellurico sono le “sue” donne: eccoci allora a conoscere Federica, l’ex moglie in perenne vacanza all’estero, l’immagine di una passione nata, morta e trasformata in sconfitta; o Marta Cinquegrani, professoressa della figlia di Placido e figura confortante, completa, intima; o ancora Rachele Caitani, «il medico legale più sexy di tutto l’emisfero siculo-mondiale», dalla bellezza potente e inaccessibile. Il lettore potrebbe aspettarsi la conclusione dell’arco narrativo romantico con un lieto fine di commedia rosa; e invece anche qui si fugge la banalità esaurendo le love story in modo quasi comico, e affidando la redenzione di Tellurico non a una storia d’amore che lo salvi dal celibato, ma a una consapevolezza spirituale che lo renda Placido, davvero. È un sacerdote a lasciar intuire che il commissario avrà un po’ di pace; una Sacra Confessione, fino ad allora improbabile contesto in cui trovare Tellurico, permette all’uomo di lasciar cadere i propri macigni, di guardare forse il futuro a testa alta.
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Con La tana del polpo Giorgio Lupo costruisce un groviglio criminale per piccoli elementi e indizi, che seguono ogni assassinio in un’escalation di violenza e angoscia. Delitto dopo delitto, l’autore aggiunge caratterizzazione al killer e complica il quadro enigmatico. La composizione finale, in più disvelamenti successivi e colpi di scena, è un incastro complesso: pur lasciando qualche dubbio di natura pratica, regala la tipica soddisfazione intellettuale di ogni buon giallo. La sensazione, dopo il finale, è di aver letto più libri in uno; di aver seguito una storia di vita, un brandello del protagonista, che si dilegua nella bianca immagine di un «ego te absolvo».
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