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Spettacolo

Trent’anni dopo, anche Nevermind dei Nirvana raggiunto dalla cancel culture

Published by
Giulia Zennaro

Niente è immune alla cancel culture, neppure una delle pietre miliari della storia del rock: l’album Nevermind dei Nirvana, giunto al suo trentesimo anniversario. E poco importa se a sollevare un polverone sia una persona sola, al posto della solita sparuta (ma rumorosa) minoranza di “indignati”: il tentativo di censura della copertina dell’album cult degli anni Novanta fa comunque sorridere per la singolare scelta di tempismo.

Nel settembre del 1991 la band di Seattle fa deflagrare il mondo del rock e il nascente movimento grunge con il suo secondo album di studio, Nevermind, il primo con la formazione entrata nella leggenda: Krist Novoselic, Kurt Cobain e l’esordio di Dave Grohl alla batteria. Nell’album sono presenti 12 tracce (più la canzone fantasma Endless, Nameless, frutto di un clamoroso errore di missaggio), tra cui Smells Like Teen Spirits, il passaporto per l’immortalità dei Nirvana.

Il disco si caratterizza per l’uso sperimentale della strumentazione, in particolare della chitarra elettrica. Tutt’altro che virtuoso, Kurt Cobain era più interessato a tirare fuori dallo strumento sonorità che stupissero per la particolarità del timbro e il carattere graffiante. Anche l’uso della voce in Nevermind è fondamentale: in Territorial Pissing, una delle tracce più debitrici della cultura musicale punk, la voce di Cobain è talmente sporca da rendere incomprensibili le parole.

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Foto: adknkronos.

La scrittura di Nevermind, per quanto concerne il contenuto delle canzoni, è altrettanto sperimentale: Kurt Cobain opera un curioso lavoro di collage tra cultura pop e la poesia della Beat Generation. Il racconto di una generazione allo sbando, pur con qualche licenza poetica, proviene direttamente dalle vene (è il caso di dirlo) dell’autore dei testi, che di lì a tre anni si sarebbe tolto la vita.

Che cosa significa Smells Like Teen Spirits, la parte per il tutto di Nevermind? Si tratta veramente di un inno generazionale o è un’accozzaglia senza senso di frasi cantate un po’ per dispetto, un po’ con rabbia? I critici, così come il pubblico, non capirono subito l’importanza di Nevermind e l’impatto che avrebbe avuto sulla musica, anche e soprattutto quella mainstream.

Nevermind traghetta infatti il genere grunge dai garage e dai locali underground di Seattle e dintorni ai primi posti delle classifiche, nonostante le sperimentazioni sonore che possiamo ascoltare nell’album fossero già state seminate in lavori precedenti di altre band, come i Pixies e gli Hüsker Dü. Per quanto cruciali, gli album di queste band non raggiunsero mai le vette di popolarità di Nevermind, e lo stesso secondo album dei Nirvana non sarà mai eguagliato dal punto di vista commerciale dagli altri lavori del gruppo.

Perché? Che cos’ha Nevermind di così speciale?

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Foto: Ciakclub

Il trucco che sta dietro ai capolavori è che non c’è alcun trucco: devono concentrarsi un determinato numero di fattori, coincidenze ed eventi per rendere quel prodotto un successo. Nevermind esce in un periodo storico particolarmente pregno di disagio sociale: all’indomani della caduta del muro di Berlino e pochi mesi dopo la conclusione della guerra del Golfo, nel mondo si respira aria di pericolo scampato.

Ma non è ancora il momento di tirare un sospiro di sollievo, per i giovani i cui genitori ricordano ancora troppo bene il Vietnam: l’incertezza aleggia sulle grandi città e i sobborghi scoppiano di disoccupati, sbandati, vandali, tra cui anche il cantante dei Nirvana.

Kurt Cobain riversa in Nevermind le frustrazioni e le paure che concretizzerà nel gesto estremo di pochi anni dopo. La scrittura è spesso criptica, quando non dal significato esplicitamente violento: è il caso di Polly, racconto di una violenza dal punto di vista del carnefice, o Drain You, in cui ripercorre la sua relazione tossica con la sua ex fidanzata. Il cantato è spesso urlato, sporco al punto da rendere incomprensibili le parole: Nevermind è un capolavoro di arte contemporanea, una tela schizzata di fango esposta al MoMa di New York.

Una tela che, a trent’anni di distanza, non smette di moltiplicare il suo valore di mercato: il presagio velato di sottile ironia nascosto nell’immagine di copertina è diventato una realtà anche troppo materiale. Il bambino che nel 1991 venne ritratto da Kirk Weddle mentre nuotava nella piscina dei suoi genitori, Spencer Elden, ora ha trent’anni e ha passato la sua intera esistenza con il fardello di Nevermind sulle spalle.

Foto: Radio Rock.

La cosa non sembrava pesargli particolarmente: il ragazzo non ha mai nascosto il suo legame con lo storico album dei Nirvana, al punto da tatuarsi il titolo sul petto e accettare di buon grado di ricreare la mitica foto subacquea in numerose occasioni. Il richiamo del denaro, però, deve essergli rimasto inalterato proprio come quando, a pochi mesi di vita, inseguiva una banconota (aggiunta in post produzione) in una piscina.

Spencer Elden ha annunciato che chiederà centocinquantamila dollari di risarcimento ai responsabili, a suo dire, della sessualizzazione della sua immagine. Secondo i legali del giovane, la foto simbolo di Nevermind mostrerebbe materiale pedopornografico: la copertina dell’album dei Nirvana avrebbe provocato a Elden “danni permanenti”.

L’utilizzo della banconota da un dollaro, secondo Elden e i suoi legali, suggerirebbe che il bambino fosse addirittura un sex worker: una lettura piuttosto fantasiosa e grottesca delle intenzioni dietro la foto. Spencer Elden non era certo un sex worker nel 1991, quando nuotava ignaro di tutto verso una banconota immaginaria; lo è semmai nel 2021 quando, a trent’anni e con un tatuaggio sul petto che gli ricorderà sempre da dove viene la sua fama, elemosina un risarcimento danni ai membri superstiti della band, al fotografo e all’erede di Kurt Cobain.

La questione della sessualizzazione dell’immagine di un bambino nudo non meriterebbe nemmeno un commento, se non fosse trattata in maniera maledettamente seria al punto da diventare lo spunto per una richiesta di risarcimento danni. Come aveva commentato Kurt Cobain all’epoca,

«chi poteva sentirsi offeso dall’immagine del pene di un neonato probabilmente doveva essere un pedofilo represso».

Trent’anni dopo Nevermind e la sua copertina fanno ancora così scandalo da diventare argomento per grotteschi dibattiti social su cosa sia lecito mostrare o meno del corpo di un neonato e in che contesto. Poco importa che, come avviene spesso nella cancel culture, ci si dimentichi del contesto. Quel bambino innocente è diventato un adulto probabilmente insoddisfatto della sua vita, morbosamente attaccato a una fama che sente di non meritare ma dalla quale non riesce a staccarsi.

Il significato della copertina di Nevermind appare oggi, a trent’anni di distanza, ironicamente chiaro: il richiamo del consumismo e della ricchezza è tale da spingerci a gesti ridicoli e disperati e la nostra sete di denaro è tale che non basterebbe un’intera piscina per dissetarci.

Come rappresenteremmo oggi la copertina di Nevermind? Forse sempre con Spencer Elden, col tatuaggio in bella vista ma il pene rigorosamente coperto, che insegue centocinquantamila dollari in una piscina. Chissà che non ci abbia già pensato: una foto del genere può significare un’immensa popolarità social. La nuova banconota da un dollaro che tutti vorremmo afferrare.

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Giulia Zennaro

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