La scorsa settimana si sono tenute a Milano due importanti conferenze delle Nazioni Unite sul clima: PreCop26 e Youth4Climate. Si è trattato dell’ultimo – importantissimo – giro di negoziati prima della definitiva Cop26, che si terrà a Glasgow il prossimo novembre.
theWise Magazine era presente.
Le Cop, o Conferenze delle Parti, sono dei negoziati sul clima che si tengono annualmente dal 1994. Sono organizzate dallo UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Il loro scopo è definire le politiche di lotta al cambiamento climatico per gli Stati che vi aderiscono, in maniera vincolante. Da qualche anno quest’ultimo aspetto è divenuto lampante, con sentenze dei giudici in tutto il mondo che obbligano i governi a rispettare gli impegni presi. Tra i vari casi, la Francia e l’Australia.
L’importanza delle Cop è facilmente comprensibile se si considera che è grazie a loro se esistono il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi: due pietre miliari dell’impegno globale per il clima.
Data l’esigua durata di una Cop, hanno assunto sempre più importanza le conferenze preliminari. L’ultima di queste è proprio la PreCop26 svoltasi a Milano.
Questo negoziato è cruciale. L’Accordo di Parigi infatti prevedeva che la Cop26, prevista per il 2020 e posticipata di un anno causa pandemia, fosse il suo primo “tagliando”.
L’Italia, nella persona dell’ex ministro dell’ambiente Costa, aveva fortemente voluto che nell’appuntamento di Milano fossero coinvolti i giovani.
È nata così Youth4Climate, una conferenza che ha riunito quattrocento giovani selezionati dai rispettivi governi in rappresentanza di 186 Paesi diversi. Coadiuvati da degli esperti che li hanno guidati nelle discussioni, hanno realizzato un documento poi presentato ai ministri durante la vera e propria PreCop, immediatamente successiva.
Com’era ampiamente prevedibile l’iniziativa ha suscitato molto interesse e un’ampia copertura mediatica, con interventi di importanti personalità.
In apertura il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha sottolineato l’innovatività di questo approccio. Per la prima volta i giovani hanno potuto dialogare con i ministri dell’ambiente di tutto il mondo. L’invito del ministro a passare dalle proteste alle proposte ha però fatto sollevare un sopracciglio alle prime due relatrici: i simboli del movimento Friday For Future, Greta Thunberg e Vanessa Nakate.
Il «bla bla bla» con cui, nel suo discorso inaugurale, Thunberg ha accusato la politica di parlare tanto e realizzare poco, è diventato un instant meme.
L’intervento di Nakate ha toccato a sua volta un nervo scoperto, sollevando un problema che c’è, esiste, ma ben pochi hanno il coraggio di affrontare durante questo tipo di negoziati: l’enorme debito monetario che i Paesi in via di sviluppo hanno nei confronti dei Paesi ricchi. Debito che ne strozza la capacità di farsi carico della costosa transizione ecologica loro richiesta.
Ironia della sorte, sono proprio i Paesi meno sviluppati quelli che già ora stanno soffrendo le conseguenze del cambiamento climatico: Nakate fa l’esempio della sua patria, l’Uganda. Come altri Paesi africani è sconvolta da violentissimi fenomeni meteorologici, tali da metterne costantemente in ginocchio la popolazione.
L’Africa è responsabile solamente del tre percento delle emissioni a livello globale, ma è una delle aree più colpite dai cambiamenti climatici.
Il documento finale che sintetizza il percorso di Youth4Climate ricalca abbastanza fedelmente le aspettative che già circolavano per Cop26, con una grande eccezione: la richiesta di terminare l’utilizzo di combustibili fossili entro il 2030. Una deadline estremamente vicina, molto più ambiziosa di quanto proposto finora e, come vedremo, ritenuta dai politici eccessivamente restrittiva.
Alla conferenza avrebbe dovuto partecipare anche il ministro degli esteri Di Maio, che ha dato buca per un impegno improvviso non meglio specificato. Senza particolari crisi internazionali all’orizzonte, è stata davvero una brutta figura. L’effervescente ministro Cingolani ha comunque fatto agevolmente le sue veci.
In chiusura alla “Cop dei giovani” sono intervenuti i due capi di Stato delle nazioni che hanno co-organizzato la conferenza: Boris Johnson e Mario Draghi.
Il premier britannico, in videoconferenza, ha dato candidamente ragione ai giovani che protestano per il clima. Il suo intervento ha puntato all’ottimismo e all’accoglimento delle loro istanze. Ma, va specificato, senza reali promesse né impegni concreti.
Johnson ha messo sul piatto quattro grandi punti su cui concentrarsi: «coal, cars, cash and trees», carbone, automobili, quattrini e alberi. Vale a dire la fine dell’uso del carbone per produrre energia; lo stop alla produzione di veicoli con motori alimentati a combustibili fossili; il raggiungimento dei cento miliardi di dollari per il fondo destinato ai Paesi in via di sviluppo, previsto dall’Accordo di Parigi e non ancora adeguatamente alimentato; la riforestazione quale mezzo per immobilizzare la CO2 già emessa.
Anche Mario Draghi si è tenuto sulla stessa lunghezza d’onda. Il premier ha accolto le motivazioni dei giovani sottolineando l’impegno italiano, soprattutto per far pressione sul G20 dall’interno. Lo scopo dichiarato è portare a casa l’impegno di tutte le venti più importanti economie del pianeta (già responsabili dell’ottanta percento delle emissioni) nel contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 gradi centigradi.
La precisazione di Draghi rivolta a Greta Thunberg non è passata inosservata: «A volte il “bla bla bla” è solo un modo per nascondere la nostra incapacità di compiere azioni ma quando si portano avanti trasformazioni così grandi bisogna convincere le persone, spiegare che i numeri, come l’aumento di 1,5 gradi, non sono qualcosa di creato ad arte ma forniti dalla scienza, e le persone di questo vanno convinte».
Il giorno successivo, venerdì 2 ottobre, mentre al MiCo di Milano si svolgevano a porte chiuse e inaccessibili alla stampa i negoziati della PreCop, il centro città era invaso di manifestanti per il Climate Strike organizzato da Fridays For Future.
Il ruolo di Fridays For Future in questa faccenda è tutt’altro che marginale. Non è azzardato affermare che Youth4Climate deve la sua esistenza a Fridays For Future: è stato il successo del movimento di Greta Thunberg ad aver fatto nascere la necessità da parte dei politici di coinvolgere i giovani.
Alla manifestazione erano presenti molti attivisti, tra cui la stessa Greta Thunberg e Vanessa Nakate, ben visibili in testa al corteo, con dietro di loro un serpentone di svariate migliaia di manifestanti (cinquantamila per gli organizzatori, settemila per la questura).
theWise Magazine era presente e ha seguito tutta la manifestazione fino al palco finale, intervistando vari attivisti tra cui Jacopo Ciccoianni di Fridays For Future Milano e la portavoce di Fridays For Future Italia Martina Comparelli, che il giorno prima era stata ricevuta a colloquio privato da Mario Draghi insieme proprio a Greta Thunberg e Vanessa Nakate.
Tra le critiche principali degli attivisti nei confronti dei politici, quella di aver creato Youth4Climate quale tentativo di youthwashing dei veri negoziati, quindi un contentino per mostrare al pubblico un coinvolgimento dei giovani non propriamente reale. In tal senso l’accusa alle nazioni partecipanti è di aver selezionato dei delegati filogovernativi e pertanto innocui, invece di lasciare ai giovani la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti in autonomia.
Leggi anche: Milano, Fridays For Future lancia la sfida a Cop26.
Il giorno seguente, sabato 2 ottobre, si sono tenute una serie di conferenze stampa a chiusura dei negoziati.
HAC è l’acronimo di High Ambition Coalition, un gruppo intergovernativo che riunisce Paesi in via di sviluppo minacciati dal cambiamento climatico con Paesi sviluppati che abbiano un ottica particolarmente progressista in ambito di difesa del clima.
La loro conferenza stampa si è concentrata in particolare sulla difficile situazione delle nazioni insulari. Infatti per HAC erano presenti, oltre a Frans Timmermans (vice residente della Commissione Europea), anche il ministro dell’ambiente di Grenada Simon Stiell e Tine Stege, inviata speciale per il cambiamento climatico della Repubblica delle Isole Marshall.
Personalità messe insieme non a caso: da una parte una delle figure chiave dell’Unione Europea, che tra i Paesi industrializzati rappresenta la forza più apertamente schierata per l’accelerazione del contenimento delle emissioni di gas serra; dall’altra i rappresentanti di due degli Stati più gravemente minacciati dal cambiamento climatico.
Per le nazioni insulari infatti il riscaldamento globale non è un semplice aumento della temperatura media o un acuirsi degli eventi meteorologici estremi, bensì è una questione di esistenza: l’innalzamento dei mari significa la loro scomparsa dalla faccia della terra.
In apertura della conferenza stampa l’intervento dell’inviata delle isole Marshall Stege è toccante e rende l’idea di quanto poco rimanga prima del completo disastro.
Timmermans ha illustrato chiaramente che l’Europa percepisce l’urgenza e ha garantito lo sforzo dell’Unione nello spingere gli altri Stati, in particolare il G20 e soprattutto la Cina, a impegnarsi in politiche sul clima più ambiziose e con tempistiche più strette.
Alla domanda posta da theWise Magazine e riportata nel video qui sopra, ovvero se la cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo almeno parziale sia quantomeno sul tavolo, ha risposto Simon Stiell. Ammette candidamente che è una questione importante e riferisce che c’è una discussione in merito, ma esterna al UNFCCC. Ciò non toglie che rimane un tema caldo, in quanto il forte debito dei Paesi in via di sviluppo (fa l’esempio proprio della sua Grenada) ne limita la capacità di manovra in materia fiscale e di conseguenza rende molto difficile reperire le risorse necessarie alla transizione ecologica.
In tal senso ritiene prioritario riuscire ad alimentare correttamente il fondo da cento miliardi di dollari previsto dall’Accordo di Parigi, che tutt’ora langue.
Nella sua breve conferenza stampa l’inviato speciale della Casa Bianca ed ex vicepresidente degli Stati Uniti John Kerry è sembrato piuttosto affaticato.
Impegnato da tempi non sospetti nella causa del clima, ha posto l’accento sull’importanza del contenimento dell’aumento della temperatura globale. A questo proposito una frase, riferita in particolare alla Cina, ha chiarito cosa si intende quando si parla del limite fissato dall’Accordo di Parigi: «Well below 2.0 degrees Celsius means… well below! The common sense meaning of that is not 1.9, 1.8 or 1.7 degrees», chiarendo che per «ben al di sotto dei 2 gradi centigradi» si intende proprio quei 1,5 gradi di aumento massimo di cui molti delegati hanno parlato.
Sulla Cina Kerry ha chiarito il netto cambio di marcia segnato dall’amministrazione Biden. Dopo i difficili anni con la presidenza Trump ora la distensione dei rapporti tra le due potenze procede più spedita, anche per quanto riguarda i negoziati sul clima.
Kerry ha chiarito che allo stato attuale i Paesi che rappresentano il cinquantacinque percento del PIL mondiale si sono impegnati a implementare le politiche necessarie a rispettare il limite di 1,5 gradi centigradi di aumento della temperatura.
In chiusura il ministro Cingolani e Alok Sharma, il presidente di Cop26, hanno risposto alle domande dei giornalisti.
La coppia, sebbene provata dagli intensi negoziati, è apparsa ben affiatata. Un entusiasta Cingolani ha trasmesso fiducia e ottimismo, mentre Sharma è sembrato più teso: se l’impegno del primo è appena terminato, quello del secondo arriverà al culmine in novembre, a Glasgow.
Sharma ha affermato che l’entusiasmo dei giovani di Youth4Climate ha galvanizzato i ministri presenti alla PreCop, convincendoli dell’estrema urgenza di passare dalle parole ai fatti.
Cingolani, a rimorchio, si è detto nuovamente soddisfatto di aver portato i giovani «dalle proteste alle proposte» e per questo ha intenzione di rendere Youth4Climate un evento permanente.
Alla prima domanda posta da theWise Magazine (qui sopra) su quale, secondo loro, sia la priorità numero uno per quel G20 citato da tutti, Sharma ha risposto che è fare tutto il possibile affinché la nuova asticella posta a 1,5 gradi di aumento massimo venga rispettata, visto l’enorme impatto delle venti più grandi economie a livello di emissioni. Cingolani, destinatario anche lui della domanda, ha preferito non rispondere.
La seconda domanda (qui sopra), la stessa posta durante la conferenza stampa della HOC in merito all’eventuale cancellazione anche parziale del debito dei Paesi in via di sviluppo, ha messo visibilmente a disagio un Sharma balbettante, che si interrompe varie volte e fatica prima di trovare qualcosa da dire. Alla fine ci gira intorno, asserendo che il problema non è tanto la cancellazione del debito, quanto l’accesso al credito. Ovvero ulteriori debiti, vista con gli occhi di chi non ha risorse per la transizione.
Cingolani prende la parola subito dopo Sharma girando la risposta sui famigerati cento miliardi, specificando che «non sono la soluzione, sono la leva». Sarebbe piaciuta a Kerry la considerazione del ministro, che individua nei capitali privati la vera svolta green: il famoso fondo da cento miliardi di dollari è infatti insufficiente per una vera transizione. Va visto invece come una scintilla per attrarre i capitali privati, quelli si ampiamente sufficienti a fare un vero salto di qualità.
Un filo rosso ha unito i vari interventi, sotto forma di quattro priorità condivise dai delegati, come riferito da Sharma in apertura della conferenza stampa finale:
Nonostante gli elogi ai giovani l’unica richiesta da loro fatta, ovvero chiudere con i combustibili fossili entro il 2030, è stata deviata su un ipotetico termine di utilizzo del solo carbone. Obiettivo molto diverso ma quantomeno realistico, anche se non sufficiente.
La domanda sorge spontanea: le priorità individuate nella PreCop26 sono abbastanza per risolvere il riscaldamento globale?
Molti climatologi direbbero di no. Ciò non toglie che dei passi avanti siano stati fatti ma rimane tutto sulle nuvole fino alla vera e propria Cop26 di novembre. Lì verranno scoperte le carte e si capirà davvero se, anche grazie alla PreCop26 di Milano, avremo qualche possibilità di salvare il futuro del clima (e della nostra specie).
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