L’Italia in questo 2021 non smette di stupire. Domenica 3 ottobre il ciclismo azzurro ha scritto un’altra pagina memorabile della storia dello sport. Sulle pietre dell’inferno del Nord Sonny Colbrelli, campione europeo in carica, alla sua prima apparizione nella classica monumento francese ha messo a segno il colpo della vita, coronando un anno da sogno sia per la sua carriera sia per i nostri colori. Raccontare la Parigi-Roubaix, e in particolare l’edizione 2021, è qualcosa di complicato. Chi non conosce questa corsa probabilmente crederà che parole come “leggendaria” o “eroica” siano esagerate, ma servirebbero interi libri per celebrare la classica delle pietre.
Noi italiani, dopo la bellezza di ventidue anni da quel lontano 1999 con Andrea Tafi vittorioso nel velodromo di Roubaix, torniamo a emozionarci grazie al Cobra che ha battuto uno dei più grandi talenti del ciclismo moderno, l’olandese van der Poel. Tuttavia, la situazione del ciclismo italiano, anche dopo gli ultimi successi, va osservata nel dettaglio, poiché ci sono molti elementi sui quali gioire ma altrettanti che lasciano delle perplessità per il futuro.
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L’anno di Colbrelli, dal tricolore alle pietre
Nel panorama del ciclismo internazionale ci sono varie tipologie di atleti. Senza entrare in caratteristiche tecniche che potrebbero annoiare i più, possiamo tranquillamente affermare che tra i tanti campioni ci sono quelli che sanno infiammare il pubblico a ogni latitudine grazie al talento smisurato e chi invece crea le proprie fortune passo dopo passo, pedalata dopo pedalata. Per fare qualche esempio, Peter Sagan, Mathieu van der Poel e Tadej Pogacar (giusto per citarne alcuni), grazie alla loro essenza da rockstar dello sport e alle loro imprese, spesso precoci, hanno sempre catalizzato l’attenzione del pubblico. Dall’altro lato, invece, c’è tutta quella “classe operaia” meno mediatica, meno appariscente, ma altrettanto efficace.
Ecco, Sonny Colbrelli oggi rappresenta la massima espressione di questa seconda categoria. Bresciano classe 1990, quindi non più un giovanissimo, il Cobra fino al 2016 è stato un discreto corridore, niente di più e niente di meno. Poi, con il passaggio al Team Bahrain ha iniziato quel lungo processo che l’ha portato a un cambio di status: non più un discreto ciclista bensì un buonissimo ciclista. Dalle prime tappe in importanti corse a tappe di una settimana, passando per la Freccia del Brabante e la Gran Piemonte, Sonny è maturato sportivamente fino alla consacrazione del 2021. In poco più di quattro mesi il bresciano si è conquistato la maglia tricolore vincendo il campionato italiano a Imola.
Correre con il tricolore dev’essere un qualcosa di unico, ma correre con il simbolo di campione europeo è ancora meglio. E infatti, con il trionfo a Trento davanti al futuro del ciclismo mondiale Remco Evenepoel, Colbrelli ha conquistato il diritto di vestire quella maglia tanto amata da noi italiani negli ultimi anni.
Le grandi corse a tappe: un vero problema
Dopo le note positive ora è necessario affrontare quelle dolenti. Nelle grandi corse a tappe l’Italia è oramai da molte stagioni fuori dal novero dei reali contendenti. Tralasciando l’ottimo secondo posto di Damiano Caruso al Giro d’Italia 2021, che però è stato amministrato abbastanza facilmente dal vincitore Egan Bernal, dopo Nibali non siamo più riusciti a trovare un talento duraturo sul lungo periodo (e sulle tre settimane). Il ritiro prematuro di Fabio Aru ha lasciato a tutti l’amaro in bocca perché era l’uomo su cui una nazione intera nutriva speranze ma che alla resa dei conti ha vinto meno di quello che ci si aspettava. Una delle tante promesse per i nostri colori è ormai da molti anni Giulio Ciccone, atleta dall’indubbio talento ma che non si è mai dimostrato realmente competitivo nelle grandi corse a tappe.
Con Aru ormai fuori dai giochi, Nibali che a novembre spegnerà trentasette candeline e le caratteristiche di Ciccone, la situazione per i grandi Giri non appare delle migliori e soprattutto non sembrano esserci fuoriclasse all’orizzonte pronti a esplodere.
Filippo Ganna ancora sul tetto del mondo
In un’annata come questa ricca di grandi successi, una delle peggiori delusioni è stata rappresentata dalla parziale débâcle di Filippo Ganna ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Le caratteristiche del miglior cronoman al mondo non si sposavano perfettamente con quelle del percorso, e infatti molti specialisti puri delle prove contro il tempo sono usciti male dalla prova a cinque cerchi. Discorso simile anche per la rassegna continentale in cui Ganna si è visto sfumare, inaspettatamente, il titolo di campione europeo per colpa di Stefan Küng. Ciononostante, il fuoriclasse del Team Ineos ci ha messo poche settimane per far ricredere tutti, confermandosi campione del mondo nelle Fiandre davanti ai due padroni di casa Wout Van Aert e Remco Evenepoel. Il più forte a cronometro resta lui, e noi non possiamo che gioire.