Tra i centrocampisti più interessanti del campionato italiano, Rolando Mandragora rappresenta sicuramente un punto di riferimento molto intrigante. Calciatore ancora giovane (classe 1997) ma già maturo, dopo un esordio da predestinato e tante maglie gloriose vestite in carriera oggi è un punto fermo nel Torino di Ivan Juric. E, con umile ambizione, pone la sua vista anche sulla Nazionale di Roberto Mancini, dopo anni di leadership e militanza nelle rappresentative giovanili.
Leggi anche: Cosa aspettarsi dai nuovi allenatori di Serie A.
Abbiamo intervistato in esclusiva l’agente di Mandragora, cioè Luca De Simone, per parlare con lui del percorso di crescita del ragazzo e del futuro di questo centrocampista.
«Un giocatore del suo livello non può non ambire alla Nazionale»: intervista all’agente di Mandragora
A pochi giorni dalla gara contro il Napoli, come sta Rolando Mandragora?
«Direi bene. Ha avuto un piccolo risentimento la scorsa settimana ma è tornato in gruppo ed è pronto per la sfida con gli azzurri».
Secondo una statistica di Football Statistics and History, in queste prime partite stagionali Mandragora ha già fatto registrare il suo record di percentuale di passaggi riusciti, 84,6%. Questo dato ti sorprende o semplicemente rafforza le convinzioni sulle qualità del giocatore?
«Senz’altro rafforza le convinzione che già avevo. Statisticamente lui è sempre stato un giocatore molto pulito a livello tecnico, un calciatore d’ordine. L’alta percentuale onestamente non mi stupisce, lui gioca l’uno-due a centrocampo in maniera molto pulita. E sono sicuro che anche le percentuali degli anni precedenti non si discostino da questa».
Com’è stato per Mandragora esprimersi sin da subito lontano dalla sua città, Napoli?
«Ovviamente per un ragazzo di quattordici anni lasciare famiglia e affetti è complicato, lo è stato per lui come lo è anche per altri. Calciatore lo si diventa in quel momento. La carriera, i soldi, la bella vita sono cose che arrivano dopo. Per arrivare a quel punto devi passare anche da questi problemi. La lontananza è stata importante, però l’ha superata alla grande. Ci sono state sofferenze e ansie, ma poi la cronaca dice che lui ce l’ha fatta».
Si può parlare di lui come di un leader del Torino, un pilastro. Quanta responsabilità genera un ruolo simile?
«Per caratteristiche è un leader emotivo. Ci sono leader emotivi e tecnici: lui anche per qualità morali è di base un leader, a prescindere che sia capitano o meno. Di fatto è un capitano per definizione. Parliamo di un ragazzo molto responsabile, che avverte la responsabilità di questa maglia gloriosa che indossa. Credo che questa cosa poi si possa riscontrare nelle prestazioni in campo».
Realisticamente l’obiettivo è far parte della spedizione dell’Italia per il Mondiale di Qatar 2022?
«Un giocatore del livello di Mandragora non può non ambire alla convocazione in Nazionale. Tutti sanno che lui ha fatto il percorso nelle giovanili ed è affezionato al progetto Italia. Un giocatore del suo valore non può non ambire alla partecipazione al Mondiale. Tutto poi passa per le prestazioni sul campo e sull’idea che Mancini ha di lui».
In Italia è molto difficile che i giovani vengano lanciati sin da subito ma lui ha esordito prestissimo, a diciassette anni, per poi confermarsi fino a oggi. La tendenza nel nostro Paese può cambiare o è già cambiata?
«Storicamente tutti sappiamo che in Italia il calcio è un gioco per giocatori adulti. Nel caso specifico di Rolando c’è stata un pizzico di fortuna – anche se ovviamente se l’è straguadagnata – poiché ha avuto l’opportunità che Gasperini lo vedesse e lo schierasse titolare contro la Juventus a diciassette anni. Ha ricevuto una chance e l’ha cavalcata. Il calcio italiano è sempre stato per “vecchi”, ma devo dire che non possiamo non notare un’inversione di tendenza. Basti pensare all’Under 21, che non era molto seguita né dai tifosi né dagli addetti ai lavori, mentre ora c’è grande attenzione mediatica. I costi dei cartellini sono arrivati alle stelle e non si può non sottolineare che nella sua gestione Mancini ha fatto esordire tanti giovani. Rispetto all’ultimo trentennio stiamo già vedendo un’inversione di tendenza che fa bene sperare».
Leggi anche: Quando la pausa per le Nazionali è un toccasana.