La filosofia del prepping: theWise incontra ItalianPrepper.it

Ogni giorno è una sfida con sé stessi, nella quale si può vincere o perdere. Coloro i quali praticano il prepping lo sanno bene. Per questo motivo sono sempre pronti: letteralmente!

Oggi theWise Magazine ha incontrato Alessandro Mastrandrea, fondatore di ItalianPrepper.it, che ci ha spiegato cosa sia (e cosa non sia!) il prepping.

Alessandro. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

Ciao Alessandro. Partiamo subito arrivando al punto: Cosa è il prepping? Da dove nasce?

«Ciao! Paradossalmente questa è, a mio avviso, una delle domande più difficili a cui dare risposta. Esiste tuttavia una definizione formale. Dall’inglese to prepare, piuttosto generico, in realtà prepper è un termine riferibile a individui specifici che si preparano, appunto, a emergenze ed eventi imprevisti con obiettivo di mitigare i disagi e per tutelare l’incolumità propria o della propria famiglia. Ogni individuo tenderà poi a rispondere declinando questa attitudine sulla base di quelle che sono le sue personali priorità.

A seconda della tipologia di scenario possono essere messe in atto diverse strategie per mitigare questi eventi. Quello che da subito voglio mettere in chiaro è che non si parla di fantascienza. Gli scenari sono concreti, plausibili e vengono analizzati con razionalità. Ad esempio, alluvioni, terremoti e crisi economica (sono un lavoratore autonomo) sono i tre scenari che fino all’anno scorso occupavano i primi tre gradini della mia personalissima piramide delle emergenze».

Di contro, cosa non è?

«Volendo essere provocatorio, dico che sicuramente il mio prepping non è in stile americano. Non è accumulo compulsivo, non è piombo e polvere da sparo. In più, l’ambiente che ci circonda è molto diverso. Il movimento del prepping è divenuto celebre durante la guerra fredda e si è diffuso a partire dagli Stati Uniti. Tuttavia, se si chiedesse a qualche nonno – per chi li ha ancora – che ha vissuto la guerra, si scoprirebbe che il prepping è molto più antico. I miei nonni mi raccontavano di come nascondevano il grano nelle doppie pareti per poterlo proteggere dai rastrellamenti durante la guerra. Di come non si buttasse via niente perché qualsiasi oggetto, anche il più insignificante, poteva tornare utile. Oppure di tutti quei trucchi che usavano per poter campare dignitosamente.

Insomma, il mio prepping è più vicino all’homesteading che alla difesa armata verso una minaccia esogena. Credo sia dovuto principalmente a un fatto culturale: come accennavo prima, Italia e USA sono molto diversi dal punto di vista ambientale, storico, economico, culturale e non ultimo legislativo. Credo sia inutilmente faticoso cercare di adattare un modello che, oggettivamente, è troppo diverso al nostro ambiente».

Da dove è nata la tua passione per il prepping?

«Quando avevo poco più di dieci anni, la Valle D’Aosta, regione nella quale vivo, è stata colpita da un’importante alluvione che ha portato tanta distruzione e, purtroppo, diversi feriti e morti. Il ricordo di quei momenti è ancora vivido: il blackout, la mancanza d’acqua, le informazioni parziali che si rincorrono, l’incertezza del momento, i torrenti che esondano, le case dei paesi vicini che vengono letteralmente sommerse. Poi l’evacuazione, i tentativi di sciacallaggio, l’aiuto alla comunità, la colletta per la benzina per il generatore. Le attese notturne, illuminate da una flebile candela, mentre si ascoltano gli aggiornamenti della protezione civile via radio. Per un bambino sono tante emozioni. Capirai che, più che passione, probabilmente è stata la risposta a un trauma! [Sorride, N.d.R.].

Battute a parte, negli ultimi anni, ho maturato sempre più una consapevolezza: diamo per scontato che tutto andrà sempre bene – forse a causa dei fantastici film su supereroi, di cui sono un superfan – ma la realtà è che non è detto che nel momento del bisogno qualcuno arrivi a salvarci. O meglio: è una cosa troppo importante per delegarla completamente a terzi, Stato compreso. Attenzione: non sto affermando che si debba sostituire lo Stato, ma essere in grado di cavarsela in ogni situazione credo sia la base per un’esistenza non troppo naïf. Senza contare il fatto che, in questo modo, i soccorsi possono dedicarsi a chi ha davvero bisogno senza che noi risultiamo un peso.

Pensare che il nostro comportamento ha effetti e conseguenze, sia a breve sia a lungo termine, aiuta a compiere scelte più ponderate e corrette. Ti faccio un esempio: i problemi climatici sono sotto gli occhi di tutti. Ora, se puoi scegliere dove vivere, comprare casa, fare un mutuo – tutti aspetti che si sviluppano su un arco temporale piuttosto lungo – probabilmente non è una buona idea comprare casa in una zona che potrebbe risentire profondamente dei cambiamenti climatici. Nei prossimi trent’anni, probabilmente, clima, ambiente e necessità muteranno in maniera radicale, pertanto la scelta che compi oggi influenza pesantemente il tuo prossimo futuro».

Ogni prepper che si rispetti ha un EDC. Cosa significa questo acronimo?

«L’EDC sta per Everyday Carry. Letteralmente, tutto ciò che porto con me quotidianamente. Ciascuno di noi ha un EDC. Banalmente composto da smartphone, chiavi di casa e portafogli. Da qui poi si apre un mondo fatto di gadget, fantasia ed esigenze personali.

Un altro elemento iconico del prepping è lo zaino per le emergenze: la Bug Out Bag. Questo zaino pronto per la fuga è in grado di provvedere alle esigenze del prepper per un tempo che varia da uno a tre giorni. All’interno sono presenti oggetti per permettere alla persona di soddisfare i bisogni principali: mangiare, bere, ripararsi dalle intemperie e comunicare. Anche qui, tanti termini in inglese ma, in concreto, questo zaino lo troviamo già nel nostro Paese. Qualsiasi persona che abbia vissuto un terremoto ne ha pronto uno. Più approfondisci le tematiche del prepping, più ti rendi conto che molte scelte sono frutto di semplice buonsenso».

La pandemia è un evento contemplato da un prepper? Come è stata la tua?

«Qui tocchi un tasto dolente. Ho fatto anche un video sul tema, il cui titolo è molto esplicativo: I miei 5 fallimenti da prepper durante il lockdown. Devo essere onesto, seppur contemplavo questo genere di scenario (qualche settimana prima delle chiusure pubblicai un articolo proprio su questo pericolo), per una questione di sfortunate coincidenze, mi sono trovato a dover gestire diversi problemi. Sai come si dice: la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo.

Come prova generale non è andata affatto bene, ma guardo il lato positivo: nessuno prima di ora poteva avere idea di quanto profonda ed estesa potesse essere una pandemia globale. Adesso ne conosciamo rischi, effetti e portata. Probabilmente saremo più preparati per la prossima, perché non illudiamoci, ce ne saranno altre».

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Per concludere sfatiamo un mito. Il prepper è un apocalittico dotato di bunker antinucleare?

«No, come dicevo prima, è un retaggio americano della guerra fredda. Per quanto il bunker sia lo stereotipo per eccellenza, non credo che una persona con un medio reddito possa permettersi di costruirne uno che sia efficace. Inoltre, il ragionamento razionale che un qualsiasi prepper dovrebbe fare è puramente probabilistico. Se non si possiedono capitali come quelli di Jeff Bezos o Elon Musk, ogni risorsa dovrebbe essere impiegata per elaborare strategie per situazioni altamente probabili. Poi, ciascuno con il proprio portafogli può fare ciò che desidera.

Se abitiamo in un luogo soggetto a elevato rischio idrogeologico, la logica dovrebbe imporre di investire dei denari nel miglioramento di sistemi di scolo, muri di contenimento o altre soluzioni più che scavare un buco che verosimilmente si allagherà».

Cosa consigli a chiunque si volesse avvicinare a questo mondo?

«Sul web, oltre a Italian Prepper, ci sono diversi siti interessanti e comunità con cui scambiare opinioni. Se invece andiamo fuori dall’Italia l’offerta è estremamente ampia, anche se spesso si cade negli stereotipi di cui accennavo prima. La verità è che nessuno ha una ricetta perfetta per la preparazione totale e definitiva ma confrontandosi con altre persone spesso una soluzione si trova senza particolare sforzo.

In definitiva, quello che mi sento di consigliare a un neofita è di provare a capire e analizzare quali sono le debolezze del nostro stile di vita. Dipendenza energetica, di approvvigionamento, rischio ambientale, incertezza economica, solo per citarne alcuni. Per diminuire la nostra esposizione a questi eventi, dei buoni punti di partenza per una preparazione efficace sono un sistema di scorte ben progettato (che, detto tra noi, è anche un ottimo modo per risparmiare) e la consapevolezza dei rischi che pesano sulla zona nella quale viviamo. Si parte da qui e, pian piano, si cercano soluzioni per risolvere problema dopo problema. Sempre consapevoli che il rischio zero non esiste. Questo è il prepping secondo me».

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