Le «differenze strutturali» di Alessandro Barbero

Medievalista di successo, ospite fisso di SuperQuark e inconsapevole star di YouTube, con un podcast costantemente in cima alle classifiche di tutte le piattaforme streaming. Alessandro Barbero è lo storico attualmente più conosciuto e probabilmente più apprezzato dal pubblico italiano.

Qualsiasi persona dopo averlo ascoltato ed essere stata conquistata dall’enfasi piemontese del suo modo di parlare ne esce culturalmente arricchita. Ma come diceva Ben Parker: «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità».

Responsabilità verso i suoi lettori, i suoi studenti, la sua stessa università, ma anche responsabilità verso l’opinione pubblica, che lo ritiene, a ragione, un punto di vista autorevole. Alessandro Barbero è responsabile: il suo lavoro di divulgazione storica è puntuale, appassionante e fondamentale.

Dopo la controversa adesione all’iniziativa di alcuni accademici contro il Green Pass nelle università e l’esplosiva intervista rilasciata alla Stampa No-Green Pass, Barbero è diventato inviso a parecchi, anche a chi prima lo stimava. Oggi in particolare lo storico piemontese ci tiene a farci sapere che uomini e donne possiedono delle «differenze strutturali» che risiederebbero alla base della disparità di genere pre-esistente a livello lavorativo. E lo premette da storico, non sia mai qualcuno strumentalizzi le sue parole.

Non vuole destare scandalo, precisa, ma non è uno scandalo gettare la maschera, aggiungo io. Non è certamente la prima volta che il professor Barbero esprime delle opinioni così forti su un tema di cui verosimilmente non è esperto. Aveva già difeso i monumenti ai confederati durante le proteste negli Stati Uniti, citando un presunto pericolo di cancellazione della storia che è stato ampiamente smentito dai suoi omologhi americani.

In quel caso, però, il ritratto che emergeva era quello di uno storico con il normalissimo vizio di fornire giudizi su argomenti che non rientravano nel suo ambito. Può succedere: l’opinionismo esasperato è una conseguenza diretta della fama.

I prodromi di questa evoluzione da accademico a opinion leader si erano già registrati qualche mese fa, ma è evidente come non ci sia alcuna malafede, anzi. Ricordiamoci che davanti a chi risponde a una domanda c’è anche chi, quella domanda, astutamente, la pone.

E allora quali sarebbero queste differenze strutturali tra uomini e donne? È vero che queste ultime hanno una carenza di aggressività, spavalderia e sicurezza rispetto ai primi e pertanto non riescono a riequilibrare il gap che esiste nel mondo del lavoro?

Non è questa la sede dove analizzeremo la questione. In primis perché il sottoscritto non possiede gli argomenti minimi per poter elaborare una riflessione tecnico-scientifica al riguardo. In secondo luogo, perché non è questa la materia del contendere. Quel che è insindacabile è che addurre a presunti divari biologici – questa l’interpretazione più negativa che è emersa oggi nel dibattito generale – ha un retrogusto tardo ottocentesco di cui nessuno sentiva alcun bisogno e probabilmente neppure Barbero arriverebbe a sostenerlo. Ma è giusto puntare il dito contro il maestro piemontese per aver sconfinato in un campo che non gli appartiene?

Queste frasi rappresentano inevitabilmente la trasfigurazione dell’uomo che c’è dietro il professore. Una delusione per qualcuno, una conferma per altri, un dubbione per la maggior parte. È difficile pensare che tali affermazioni non avranno ripercussioni. Per fortuna non ci troviamo negli Stati Uniti, dove il livello di conflitto culturale è fuori scala e sarebbe già partita una petizione popolare per rimuoverlo dall’incarico.

Tuttavia, sarebbe quantomeno corretta una reprimenda nei suoi confronti da parte del suo datore di lavoro. Chi rappresenta le istituzioni pubbliche in questo Paese ha, appunto, una responsabilità enorme. Sarebbe anche ora che qualcuno se ne accorgesse, piuttosto che continuare a chiudere più di un occhio, come succede già con altri professori universitari italiani che di giudizi machisti e maschilisti ne dispensano senza troppi patemi.

Alessandro Barbero è un divulgatore straordinario che ha rigenerato l’interesse per la storia nell’animo dell’italiano medio dopo decenni di buio pesto in un contesto relegato per troppo tempo ai documentari poco valorizzati di Rai Storia. Il suo status non è però una giustificazione per elevarsi a ciò che non si è, ovvero tuttologi, spesso croce e delizia di noi giornalisti, ma comunque un ruolo che squalifica per definizione un esperto.

Stavolta, è d’uopo un riferimento al regista Nanni Moretti, non solo come regola generale, ma anche come consiglio per chi, come Alessandro Barbero, si avventura in terreni scivolosi rischiando di cadere:

Tutti si sentono in diritto, in dovere di parlare di cinema. Tutti parlate di cinema, tutti parlate di cinema, tutti! Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io?  Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco! Non parlo di cose che non conosco.

Sogni d’oro (1981)
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