Oggi theWise Magazine ha incontrato il rapper Marco Benati, in arte Benna, che ci ha parlato di sé e di 20×2, il suo quarto album da solista.
Benna, è appena uscito 20×2, il tuo quarto album solista. Ci racconti com’è nato e perché la scelta di questo titolo?
«Ciao a tutti e grazie per lo spazio che mi concedete. Questo album nasce dal titolo, che è stato scelto prima di iniziare a scriverlo. 20×2 fa quaranta, che sono i miei anni, compiuti proprio in concomitanza con l’uscita. E non è casuale! Quaranta è anche un modo per dire che mi sento ancora un ventenne, anche se ho “due volte vent’anni”. Ma sono anche venti tracce per due persone, i miei figli. Sono le tracce di me che voglio lasciare a loro, perché so che queste parole sono il meglio di me.
Anzi, che queste canzoni sono il meglio di noi, perché nulla sarebbe stato possibile senza Nicholas Manfredini e Mirino. Sia ben chiaro a chiunque! Il disco è stato anticipato da alcuni singoli, tra cui La cosa più bella che ho visto, un brano introspettivo che invita a cogliere gli aspetti positivi della vita e sottolinea la differenza tra guardare e vedere. Nel caso della musica, potremmo invece evidenziare la differenza tra sentire e ascoltare».
A cosa pensi sia dovuta questa carenza di attenzione nell’osservare, o nel prestare reale ascolto, soprattutto agli altri, ma in fondo anche a noi stessi? Alla frenesia quotidiana, a un narcisismo sempre più marcato o a cos’altro?
«Credo che in realtà sia dovuta al fatto che abbiamo tutto a portata di mano. Musicalmente parlando, quando ero ragazzino, andavo con gli amici nei negozi di dischi a spendere la paghetta o i primi stipendi guadagnati. Ogni disco o CD era una conquista sudata e il premio per un sacrificio e veniva studiato a fondo, tanto che ancora ricordo a memoria molti di quei testi. Adesso con la distribuzione digitale è tutto lì che ci aspetta, quindi paradossalmente è meno interessante. È come vedere direttamente una donna o un uomo nuda/o, sparisce l’interesse di scoprire pian piano quello che non vediamo subito! La musica non è più una conquista. E così anche la bellezza delle cose».
Quanto c’è di Marco in Benna e viceversa?
«Benna è un travestimento, che svesto volentieri quando qualcuno si dimostra interessato a Marco. Benna forse è una forma di diffidenza, una precauzione. Anche se, questo va detto, in questo album c’è solo Marco, fino alle ossa. A quarant’anni posso permettermi di espormi al giudizio di chi ascolta. 20×2 celebra la mia vita fino ad ora, gioie e paure. Sarebbe stato ingiusto verso me e verso chi lo ascolterà non essere completamente onesto».
Oltre a essere un cantautore, sei un compagno e un papà. com’è cambiata la tua visione della vita e dell’Arte da quando sei diventato genitore e quanto credi che, ad oggi, la musica influenzi la società?
«La mia vita è stata stravolta da quando sono diventato genitore. Nelle priorità, nelle tempistiche, in ogni cosa. Anche guidare mi dà più responsabilità. Inoltre è cambiato il mio rispetto per la vita. Essa adesso ha un senso diverso e un sapore più intenso. La mia musica è cambiata di conseguenza, attraverso le mie canzoni voglio dare ai miei figli la possibilità di vedere il mondo come un luogo per cui combattere e la vita come una fonte da cui dissetarsi. Inoltre è cambiato il mio linguaggio, ad esempio cerco di non utilizzare mai parolacce, mi censuro. I miei figli sono diventati la revisione di Google!».
Pensi sia la musica a influenzare la società o viceversa?
«La musica è spesso dei giovani, che sono il futuro della nostra società. Quindi sì, la musica influenza la società attraverso il suo principale bacino d’utenza. Chi pubblica canzoni, a mio avviso, ha delle responsabilità e deve cercare di adempiere a queste. Non siamo professori, ma chi ci ascolta, pochi o tanti che siano, meritano rispetto.
È vero anche il contrario. La società influenza la musica, soprattutto nel rap. Influenza la lunghezza dei brani, attraverso i trend musicali che sono lo specchio della società, che vuole tutto e subito. “Vuole solo il ritornello”, come dice Dargen D’Amico. È un tiro alla fune. C’è chi segue ciò che la società vuole e chi vuole che la società sia più tollerante».
Dal 2017, quando hai scelto di intraprendere la carriera solista dopo anni trascorsi in diverse formazioni, hai pubblicato quattro album e diversi singoli. Cosa ti spinge a raccontarti e a raccontare e quali sono i messaggi principali che vuoi trasmettere con la tua musica?
«Rispondo in modo banalissimo: l’amore. Quello per la musica e per la scrittura mi spingono con passione carnale a fare canzoni. E l’amore è quello che voglio far trasparire. Non parlo dell’amore canonico, o non solo. L’amore per l’arte, per i figli, per la vita. L’amore è un motore, ci muove verso i nostri obiettivi. Se vuoi diventare un giocatore di basket, devi amare tirare a canestro, altrimenti, per quanto talento tu possa avere, non lo diventerai mai.
Il motivo per cui faccio musica è riassunto in una delle mie canzoni preferite, che riprendo nel disco, omaggiandola, con Nato pirla: L’avvelenata di Guccini. Il testo recita: “Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso. Mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino e poi sono nato fesso”. Ecco, sono nato fesso, o meglio, pirla!».
C’è qualcuno a cui ti ispiri, nella musica e/o nella vita?
«Ci sono tante persone che mi ispirano qualcosa. Mio padre e la sua bontà, la forza di mia madre, l’audacia dei miei figli e le loro passioni totalizzanti. Le carezze di mia moglie (questo disco nasce interamente da un suo bacio, ma è una storia ben più lunga!). Ci sono autori, poeti, ribelli, rivoluzionari e persone comuni. Ma anche storie di sport. Citarne alcuni sarebbe privare gli altri del giusto valore. Ci sono persone che mi ispirano a migliorare come uomo e, di conseguenza, come artista. Anche se poi, come dice Bersani, sarebbe meglio lasciare agli altri la scelta se farsi definire artista».
Cosa pensi della scena attuale? C’è qualche giovanissimo con cui ti piacerebbe collaborare?
«Devono per forza essere giovanissimi? Il più giovane che mi viene in mente è Dutch Nazari. Ci ho provato, è andata male. Vorrei collaborare con Mannarino, con Willie Peyote e con De Gregori. Altri purtroppo non sono più con noi. Credo che per collaborare con i giovanissimi ci sia un ostacolo generazionale che si riflette sui temi trattati nelle canzoni. Pur ascoltando anche artisti giovanissimi. Ecco, mi piacerebbe molto poter collaborare con Madame, che ha una vocalità eccezionale».
Oltre alla musica e alla famiglia, a cosa si dedica Marco nel tempo libero? Quali altre passioni hai?
«Aspetta, quale tempo libero? Scherzi a parte, faccio cose normalissime. Mi piace il calcio, gioco con i miei figli, cerco di essere un compagno decente e, se non crollo, mi piace leggere prima di dormire. E faccio musica, perché la musica fa parte del mio tempo libero, non essendo un professionista e avendo un lavoro a tempo pieno. Per mia fortuna, visti i tempi!».
Saluta tutti e consigliaci un brano da ascoltare e un libro da leggere.
«Consigliare arte è un bellissimo modo di congedarsi. Il migliore dei saluti. Dovremmo utilizzarlo anche dopo un aperitivo: ci vediamo presto, mi raccomando leggi questo libro e ascolta quel pezzo. Musicalmente io consiglierei Quando dormo di Barf, il rapper più sottovalutato che abbiamo in Italia, e Falò, un brano splendido di Nicholas Merzi. Se volete una lettura che io ritengo geniale, direi Ninna nanna di Chuck Palahniuk, una storia che scava nella mente dell’uomo e nella sua natura. E spero che vi piacciano, ma anche che vi piaccia il mio nuovo album!».