Gestire i soldi è difficile. Soprattutto quando ci si deve districare nella moltitudine di proposte finanziarie dalla quale il risparmiatore medio è travolto quando cerca di comprendere come usare il proprio denaro. In questa confusione, spesso accade che sia ignorato un dato innegabile: la gestione del risparmio ha conseguenze concrete sulla realtà che ci circonda.
L’impressione generale può essere che, una volta depositati in banca, i soldi restino lì, a disposizione del loro titolare. Ma i depositi circolano. E circolano per finanziare le attività delle banche, come i loro investimenti in aziende e settori non bancari. I risparmi di Armando, Rosalinda o Piergiovanni servono per sostenere negozi in cerca di prestiti, mostre nei musei, universitari bisognosi di una borsa di studio. Oppure, sostengono industrie manifatturiere che sfruttano i lavoratori (forse minorenni), industrie estrattive che tagliano ettari di foresta tropicale, assicurazioni che discriminano donne, omosessuali, asiatici.
Ora, siccome almeno Piergiovanni è turbato dalla prospettiva che il modo in cui decide di tutelare il suo risparmio possa danneggiare il mondo, il nostro si chiede come essere sicuro che le sue operazioni finanziarie abbiano una dimensione morale. Per rispondere ai suoi dubbi, è nata la finanza etica e sostenibile. Si tratta di un sistema di circolazione del denaro fondato su misure e strategie che consentono di coniugare profitto e impegno ambientale e sociale. Gli operatori della finanza etica e sostenibile decidono come e dove collocare il denaro per far guadagnare i loro clienti nel rispetto dell’ecosistema terrestre e dei diritti umani e civili dei loro simili. Lo fanno impegnandosi a informare i propri clienti sul loro operato, poiché hanno deciso di rendere conto delle proprie azioni in modo chiaro e pubblico.
Sostenibilità ambientale, difesa e promozione dei diritti, trasparenza ed equità nella gestione: una banca fondata su questi presupposti è perfetta. È, anche, una banca che presuppone volontà comuni di generarla: i risparmiatori devono chiedere che esista, gli istituti bancari devono essere disponibili a trasformarsi, gli altri enti economici devono essere pronti ad accettarla, la politica deve predisporre leggi e regolamenti che la tutelino. Si tratta di convergenze di idee e visioni del mondo molto rare. Cosicché, la finanza etica e sostenibile esiste, ma è molto meno diffusa e praticata della “sola” finanza sostenibile. Con questa espressione si indica un sistema in cui gli strumenti per generare profitto sono ancora legati all’economia tradizionale, spolverata però di verde: i guadagni sono ancora il fine ultimo dell’azione finanziaria, che però cerca di prestare un’attenzione sempre crescente alla tutela dell’ambiente.
Recentemente, la finanza punta molto sull’etichetta di sostenibilità ambientale per attirare investimenti. Ma la sola sostenibilità è sufficiente? E cosa si intende esattamente per sostenibilità?
Etico e sostenibile contro sostenibile
Evidentemente, se è sorta l’esigenza di aggiungere “etica” a “sostenibile”, la risposta alla domanda è negativa. Però, affinché Piergiovanni possa essere sinceramente convinto del fatto che etica e sostenibile è meglio, è bene spiegare le differenze tra le due finanze.
La principale è intuibile a partire dalle loro definizioni. La finanza etica e sostenibile si impegna a dirigere i capitali in attività che abbiano, d’obbligo, una finalità positiva a livello ambientale e sociale. Inoltre, si gestisce in modo trasparente ed equo. Il suo obiettivo è ribaltare il paradigma economico esistente in modo che le operazioni finanziarie abbiano come fine primo il bene comune, al quale affiancano inevitabilmente il profitto. La finanza sostenibile si muove ancora nel vecchio sistema economico, tendando di accomodare al suo interno esigenze sempre più pressanti della società attuale. Per cui, le sue azioni sono rivolte prima al profitto e poi alla sostenibilità.
Da qui, si sviluppano due approcci diversi all’attività finanziaria. La finanza etica e sostenibile adotta uno sguardo generale per cui tutta la sua filiera deve essere etica e sostenibile: tutti i prodotti e i servizi che propone, dai fondi di investimento al prelievo di contanti al bancomat, devono essere rispettosi dell’ambiente, dei diritti e devono incontrare determinati standard di trasparenza. Solo così, un istituto bancario può definirsi etico e sostenibile. La finanza sostenibile si struttura invece sulla compartimentazione della sua filiera: alcuni dei suoi prodotti e servizi sono sostenibili, mentre altri no. Accade così che una banca proponga contemporaneamente fondi di investimento in energia solare e in attività estrattive del carbone e sia comunque certificata come operatrice di finanza sostenibile, perché può comunque vantare di aver contribuito alla produzione di energia rinnovabile e pulita.
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I rischi di un approccio frammentario si riversano soprattutto su clienti della banca, ambiente e società. I primi sono fuorviati, se convinti di rivolgersi a un istituto green al cento per cento. Il secondo trae un beneficio limitato dalla banca. La terza, la società, vede minacciati i suoi diritti a un ambiente non inquinato e alla salute, nonché il suo futuro. Questi diritti sono poi particolarmente precari per le comunità che vivono vicino alle attività dannose, che possono veder lesi anche i loro diritti culturali e di proprietà su beni mobili e immobili: in diversi casi, queste persone sono espropriate di terreni ed edifici che hanno per loro un forte valore identitario, perché gli uni e gli altri siedono su riserve di risorse non rinnovabili e altamente inquinanti.
Nonostante ciò, l’approccio frammentario della finanza sostenibile persiste perché è vantaggioso per gli operatori economici. Permette di non introdurre grossi cambiamenti nel sistema. Permette anche il greenwashing – l’operazione per cui un ente presenta come sostenibili i propri prodotti o servizi, mascherando o tacendo gli impatti ambientali negativi che altri suoi prodotti o servizi hanno.
È una strategia di comunicazione e marketing molto efficacie, tesa ad aumentare l’appetibilità e la competitività dell’azienda, ente o istituzione che l’adotta. Può essere associata, e spesso succede nell’ambito della finanza sostenibile, a un’altra strategia che si potrebbe definire della “azione compensatoria”. In questo caso, l’impatto ambientale negativo non è più nascosto, ma è narrato in modo da essere minimizzato mentre viene sottolineato come siano state prese misure per controbilanciarlo. Ad esempio, una banca può dire di avere ancora investimenti in gasdotti e allo stesso tempo rimarcare che si tratta di investimenti residui e che ha diretto il capitale necessario per compensare le emissioni di gas metano in produzione di energia eolica.
Naturalmente, il marketing (inteso come auto-promozione) è uno strumento usato anche dagli operatori della finanza etica e sostenibile. Colpevolizzarlo, sterilmente, non è appropriato. Bisogna contestualizzarlo, ossia trovarne le interazioni con gli altri strumenti di comunicazione e azione usati dalla finanza etica e sostenibile e dalla finanza sostenibile. Quest’ultima affianca il marketing al lobbying: le banche e gli operatori economici, Stati compresi, che condividono interessi uniscono le forze per applicare l’etichetta di sostenibilità a prodotti e servizi che non tutelano l’ecosistema. Possono, per esempio, sostenere che il carbon fossile e l’energia nucleare siano fonti senza particolari rischi ambientali. È successo, quando l’Unione Europea ha dovuto definire i criteri per cui un’attività rientra nello spettro della finanza sostenibile appunto. (Per inciso, questa attività di definizione tassonomica è ancora in corso e sta bloccando la piena applicazione del Regolamento 2019/2088, che definisce la finanza sostenibile nell’UE e stabilisce norme per i suoi operatori).
Per iniziare quel cambiamento di paradigma che desidera, invece, la finanza etica e sostenibile utilizza strategie di advocacy che permettono ai suoi operatori, con l’aiuto di ONG, associazioni, enti istituzionali, di informare e formare la società sulla possibilità e i vantaggi di un’economia basata sull’ecosostenibilità, sui diritti e sulla trasparenza. Altro suo strumento è l’azionariato critico, ossia la partecipazione in forma di acquisto di azioni e/o in consiglio d’amministrazione alla vita di un’azienda con lo scopo di indirizzarne l’operato in modo etico e sostenibile.
… e quindi?
E quindi Piergiovanni, insieme ad Armando e Rosalina che nel frattempo si sono uniti a lui, non fronteggiano un’idra famelica. La finanza sostenibile non è un demone: è un primo passo avanti. È giusto che se ne parli e che abbia successo. In Italia, per esempio, il 2020 ha visto una notevole crescita degli investimenti in fondi che si dichiarano sostenibili.
Questo è un fatto positivo. Ma un fatto migliore sarebbe che si accerti, in modo indiscutibile, la sostenibilità di quei fondi. E che all’impegno ecologico, quei fondi affiancassero anche quello sociale e la trasparenza di gestione. La finanza sostenibile è un primo, necessario, passo verso la creazione di un sistema economico fondato anche sull’eticità. Perché ciò avvenga, è fondamentale anche la consapevolezza dell’utente. Le scelte dei risparmiatori possono orientare le strategie economiche degli istituti finanziari. Per questo, la consapevolezza di quello che si fa, legge, sceglie, dice è essenziale.