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Curiosità

Afterlife: l’arte di onorare il ciclo di vita e morte

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Valentina Calissano

theWise Magazine ha incontrato Sirah di AfterLife, artista italiana che ha scelto di onorare il ciclo naturale di vita e morte con la sua particolare attività.
In che modo? Attraverso il carving, ovvero l’incisione di teschi e ossa animali, che lavora utilizzando strumenti come il dremel.

Sirah ha iniziato a cimentarsi con l’incisione di resti animali nel 2013 e ha poi fondato la sua attività nel 2014, nominandola significativamente AfterLife. Infatti tutta la sua produzione artistica si sviluppa in seguito alla morte di animali, i cui resti vengono trovati e raccolti in natura oppure in contesti urbani, dove la morte dell’animale può essere causata anche da incidenti stradali.
Abbiamo incontrato virtualmente Sirah per conoscere da vicino questa realtà piuttosto rara nel panorama italiano.

Sirah di AfterLife. Foto: Sirah Úlfurdòttir

Come è nata la passione per il carving?

«Fin da piccola, ho sempre trovato affascinante il tema della morte. All’età di dieci anni ho iniziato a raccogliere piccoli resti animali ed elementi naturali durante le escursioni nel bosco o in montagna. Nel tempo ho creato una vera e propria collezione, che purtroppo è andata perduta.
Dopo essermi spostata a vivere in montagna ho cominciato a rimetterla insieme e così ho provato a decorare alcuni dei teschi che avevo raccolto. Inizialmente realizzavo acchiappasogni con le ossa, poi ho fatto i miei primi esperimenti di incisione. Ho ricevuto alcune indicazioni sulla sicurezza durante la lavorazione, ma per quanto riguarda lo sviluppo della tecnica ho imparato da autodidatta.

Non ho mai fatto corsi professionali, non ho nemmeno frequentato il liceo artistico. Ho sempre avuto una grande passione per il disegno, che poi ho trasferito dalla carta al teschio.
Utilizzo uno strumento facile da reperire, il dremel, ma su un materiale piuttosto fragile, che richiede un approccio sempre nuovo. Il processo creativo cambia in base al teschio. La conservazione, la storia e l’età dell’animale influenzano sensibilmente le lavorazioni possibili e la scelta della tecnica.

Non nego di aver rotto alcune ossa nei primi anni di esperienza o di aver seppellito definitivamente alcuni teschi con lavorazioni non soddisfacenti per me. Ciò che creo oggi è il frutto dell’esperienza che ho accumulato negli ultimi otto anni, da quando ho iniziato a onorare la morte degli animali decorando le loro ossa».

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Qual è il processo creativo dietro all’incisione di un teschio?

«Parto sempre dallo studio dell’animale. I resti che lavoro arrivano quasi sempre al mio laboratorio sotto forma di carcasse. Il primo passaggio è seppellirle onorando l’animale e la natura; insieme al corpo lascio sempre dei fiori e ringrazio. In quel momento scatto anche una foto, in primo luogo per mostrare ai più scettici che questo è veramente il rituale che svolgo, ma soprattutto per documentare in quali condizioni è stato trovato l’animale e poter quindi raccontare la sua storia.
Al momento della riesumazione decido quali pezzi potrò incidere e lascio sempre delle ossa nella terra. Questo sia per ringraziare ulteriormente la natura sia perché ci sono alcune ossa, come vertebre o costole, che potrei includere solo in grandi progetti.

Quando lascio le ossa nella terra stabilisco un equilibrio con la natura. Non voglio mostrarmi avara, non voglio avere la presunzione di prendere tutto ciò che l’ambiente mi offre. Considero giusto lasciare alla terra quel che le appartiene, quindi ricavo solo le parti che posso davvero onorare.
Può passare molto tempo prima di iniziare un’incisione. Per molti teschi sento subito l’ispirazione, altri richiedono più tempo.
Quando sono pronta a iniziare il progetto realizzo prima un bozzetto della decorazione. Scatto una o più foto del teschio e disegno sulla fotografia utilizzando l’iPad. Quando sono soddisfatta del risultato lo trasferisco a matita sulle ossa e poi inizia l’incisione».

Blocco di palco di alce che rappresenta la volpe. Foto: Sirah Úlfurdòttir.

Posso utilizzare varie punte con il dremel. A volte devo iniziare con punte più grosse, altre volte è necessario utilizzare prima punte più sottili.
Posso anche decidere di dipingere l’osso. A questo proposito ho studiato e ho imparato a utilizzare diversi tipi di pitture. Per esempio quando realizzo decorazioni in stile paleolitico utilizzo pigmenti naturali derivati da quell’epoca, mescolati con colla di pelle animale e acqua, destinati così a conservarsi nel tempo».

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Quindi è importante anche conoscere tecniche antiche e le vicende storiche, giusto? C’è qualche figura delle pitture paleolitiche di cui vuoi parlarci?

«Sì, mi sono documentata molto sui vari tipi di colorazione. Ci sono colori, come il rosso, che reagiscono molto bene in questa mistura, ma ce ne sono altri, come il nero, che vanno mescolati in tutt’altro modo. Anche in questo caso il peso maggiore è dato dal materiale che lavoro. A ogni nuovo progetto la tecnica può cambiare.
Ho diversi libri sulle pitture delle caverne e rimango sempre affascinata da questa epoca. Ci sono raffigurazioni davvero particolari e soprattutto aperte a più di una singola interpretazione. Questo è ciò che più mi colpisce.

Ci sono moltissime figure meravigliose. Purtroppo molte decorazioni del paleolitico non sono note. Prevalgono immagini di leoni, cavalli, orsi. Invece approfondendo l’argomento ho potuto analizzare delle particolarità che poi mi piace divulgare. A questo proposito ho realizzato una linea di maglie che riporta tali figure: così l’arte delle caverne diventa accessibile a più persone e posso diffonderla più facilmente.
Mi viene in mente la raffigurazione di un corpo di cavallo circondato da una serie di demonietti, con la testa di capra simile a un teschio di camoscio, il corpo ricoperto di pelo e le gambe umane.

L’arte del paleolitico insegna che in origine l’uomo era strettamente legato al tema della morte, soprattutto ai resti animali. Le ossa e le parti di palchi venivano utilizzati in prima istanza per realizzare utensili versatili per le attività di tutti i giorni come aghi e ami per pesca. Col tempo questo materiale ha continuato a essere lavorato, ma in campo più artistico, proprio perché si presta a una lavorazione molto dettagliata.
In alcune tribù venivano decorati i teschi dei propri defunti: era un modo per rendere onore al ciclo di vita e morte.
Questo utilizzo di ossa e il rapporto con i resti permettevano di stabilire un legame diretto con la natura e l’ambiente, cosa che forse oggi molte persone hanno perduto.
Tramite AfterLife voglio proprio onorare la morte e, di conseguenza, la vita dell’animale».

Teschio di castoro con decorazione in stile elegante con cabochon di acquamarina. Foto: Sirah Úlfurdòttir.

Cosa vuoi dire quando affermi che AfterLife è «ritualità»?

«La ritualità ha a che fare con la componente spirituale. E la spiritualità è sempre presente nella mia vita.
Fin da quando apro gli occhi al mattino sono circondata da resti animali, frutto delle mie collezioni. Nella loro presenza però io rivedo gli animali vivi. Ognuno di loro è stato accolto nella mia casa, è stato purificato dalle energie che aveva accumulato in vita. Ciascuno di loro ha un nome e ha trovato il suo posto, dal quale non si muoverà a meno che io non decida di traslocare.
Anche i teschi presenti in laboratorio in qualche modo mi parlano. Hanno i loro tempi, è come se fossero loro a chiamarmi quando sono pronti a essere decorati. Ho teschi stupendi che rimangono ad aspettare anche per tre o quattro anni perché sento che non è ancora arrivato il momento di toccarli.

Magari passa solo un mese, li prendo in mano e capisco che è arrivato il momento di rendere loro onore. E in questo consiste la ritualità.
È un susseguirsi di attenzioni e di accortezze nei confronti dell’animale. Quindi la ritualità, oltre che con l’aspetto spirituale, è legata anche all’etica. In questo contesto ci tengo a sottolineare che gli animali con cui ho a che fare non derivano dalla caccia, non sono stati oggetto di bracconaggio. Si tratta di recuperi da vecchie collezioni, scarti di tassidermia o collezioni museali dismesse.

Per me tutto questo va oltre il semplice lavoro, per me è un vero e proprio rituale. Svolgo questa attività con le giuste energie: non lo faccio se sono particolarmente nervosa o arrabbiata, cerco invece di interagire con l’animale come se fosse vivo. Questo è ciò che percepisco».

Teschio di ariete The Vision. Foto: Sirah Úlfurdòttir

Puoi anticiparci un tuo progetto futuro?

«In realtà ho in mente un grande progetto che aspetta di essere realizzato da circa due anni. Voglio realizzare una grande decorazione su un palco di wapiti [Cervus Elaphus Canadensis, sottospecie di cervo nobile del Nord America e dell’Asia nordorientale, N.d.R.]. Partendo dalla base del rosone vorrei incidere tutte le specie che si sono estinte, fino ad arrivare alle punte del palco, che ospiteranno le specie in via di estinzione.
Si tratta di un palco molto grande, richiederà un grande spazio per poter essere realizzato. Però non vedo l’ora di riuscire a lavorare a questo progetto, perché potrò lanciare un messaggio molto forte.

A mio parere la tematica dell’estinzione è molto discussa, ma non viene mai affrontata come si dovrebbe. Proprio per questo ci tengo particolarmente a realizzarlo come si deve. Voglio che sia un monito, che sia di impatto per lottare contro l’estinzione e per sensibilizzare quante più persone possibile al problema.
Si sente spesso parlare di questo tema, ma continuo a pensare che concretamente l’estinzione delle specie animali venga ignorata. Invece un utente che si trova di fronte alla lavorazione del palco può sentirsi colpito nel vivo e reagire immediatamente.

In AfterLife onorare il ciclo di vita e di morte significa anche sensibilizzazione e divulgazione circa i temi di rispetto dell’ambiente, attenzione per la natura, riduzione dei consumi e riciclo.
Molto di quello che faccio viene veicolato a un pubblico più vasto grazie anche alla collaborazione con altre realtà che svolgono attività complementari alla mia produzione artistica. Il fattore che ci accomuna è sempre la natura e il rispetto della vita di tutti gli esseri viventi.
In particolare ho preso parte al collettivo radunatosi negli anni attorno a Debitum Naturae, che si occupa di approfondire temi di conservazione, studio e rispetto della natura nell’ottica di sensibilizzare un pubblico quanto più vasto possibile, insieme a Wild Matters, veri e propri divulgatori del settore».

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Valentina Calissano

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