È nelle librerie Uno, l’ultimo romanzo di Alberto Cioni, edito da Edizioni Ensemble. Nato in provincia di Firenze e laureato in Lettere moderne presso l’Università di Lettere e filosofia di Firenze, l’autore ha collaborato, tra le varie cose, con la BBC di Londra come redattore di dialoghi e di testi in lingua italiana. Nei primi anni Duemila ha iniziato il suo lavoro di giornalista con collaborazioni con dei quotidiani tra cui Il Nuovo Corriere di Firenze e il Corriere Fiorentino/Corriere della Sera.
Siamo nel 1993 e il protagonista è Pietro Neveni, un giovane di umili origini con il sogno nel cassetto di fare lo scrittore. Per inseguire il suo sogno, il giovane lascia alle spalle il suo piccolo paese natio, trasferendosi a Milano. Proprio qui incontra François, un ragazzo francese con cui instaura un’amicizia “intellettuale”. Grazie a questo fortunato incontro, l’aspirante scrittore si trasferisce in seguito a Parigi.
Nella Ville Lumière Pietro riscoprirà l’antico richiamo della scrittura ma incontrerà anche le vicende di vita vissuta di un giovane adulto, tra amori, amicizie e complicate relazioni famigliari.
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DA DOVE È NATA L’IDEA DI UNO?
«L’Uno è un principio iniziatico, di un viaggio in divenire. Il tema fondante del romanzo è la vocazione, nel caso di questo romanzo, quella di scrivere un libro. Nel seguire una vocazione c’è sempre però di mezzo la vita con i suoi avvenimenti, che possono rallentare o accelerare il processo. Ma una vera vocazione, in ogni caso, rimane sempre salda, unita, esattamente come l’Uno, inteso come principio. Uno inoltre anche come un aggettivo, un articolo, un pronome singolare maschile».
PIETRO PER SEGUIRE LA SUA VOLONTÀ DI SCRIVERE AFFRONTA UN VERO E PROPRIO PERCORSO DI FORMAZIONE. TU CHE DIFFICOLTÀ HAI RISCONTRATO NELLA SCRITTURA DI QUESTO LIBRO?
«Per quanto riguarda il titolo, inizialmente non riuscivo a trovare un titolo adatto al mio libro, ormai ultimato. Poi è arrivato Uno, un titolo legato concettualmente al viaggio iniziatico di Pietro, come ti spiegavo poco fa. È stato abbastanza complesso anche ricreare una buona ambientazione, in grado di consentire al lettore l’immedesimazione constante nella narrazione. E cercare di far entrare il lettore dentro la storia, portandolo dentro gli ambienti interni ed esterni, l’immedesimazione con certi personaggi, eccetera. Tutto questo poi dipende soprattutto dal gusto e dalla sensibilità che ogni scrittore possiede nel cercare di rappresentare ed evocare nel migliore dei modi certe atmosfere».
C’È QUALCHE ANALOGIA TRA PIETRO E UN ALBERTO DEL PASSATO CHE VUOLE SCRIVERE UN LIBRO?
«Non proprio. Si tratta di una storia inventata che nel caso ha avuto delle ispirazioni da altri libri sul genere del romanzo di formazione, tra cui per esempio la prima edizione de L’educazione sentimentale di Flaubert, Illusioni perdute di Balzac o Il giovane Holden di Salinger».
TU HAI AVUTO IL TUO FRANÇOIS, UNA FIGURA CHE TI HA AIUTATO E ISPIRATO?
«Per collegarsi alla domanda precedente, non ho avuto nella mia prima gioventù un personaggio simile e riconducibile a François. Forse si tratta più di un’amicizia ideale che avrei voluto avere nella mia adolescenza, ma che non ho incontrato. Come del resto le ambientazioni del romanzo, dove nella mia vita non ho mai vissuto né a Milano né a Parigi».
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