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Fedez si inventa una campagna finta per dirci che non gli piace la politica italiana

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Fabiana D'Eramo

Una trollata. O una trovata pubblicitaria, una burla, una critica sociale da artista impegnato, insomma: una campagna finta. «Ma d’altronde quale campagna elettorale non è finta?», ci chiede Fedez, in uno slancio di ottimismo nei confronti della politica italiana. Per questo ha registrato un dominio online dal nome FedezElezioni2023 – il quale ha prodotto, naturalmente, fraintendimenti e anche una certa dose di indignazione e polemiche – per poi spiegare su Instagram, giorni dopo, che si tratta di una semplice trovata per promuovere l’uscita del suo nuovo disco, Disumano, con tanto di cartellonistica. «Credo che questa cosa la dica lunga sullo stato di salute della stampa e del giornalismo italiano», commenta il rapper. «Nonostante tutti fossero consci che fosse una trovata, per loro era più importante fare finta di non saperlo».

Il primo manifesto per la finta campagna elettorale in occasione dell’uscita di Disumano. Foto dal profilo Instagram di Fedez.

Da tempo Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, e la moglie Chiara Ferragni hanno mostrato l’intelligenza di usare i social network come veicolo di idee più che di semplici merci, ad esempio promuovendo un atteggiamento responsabile durante la pandemia, o dando sostegno alle battaglie per i diritti civili. Possiamo discutere all’infinito sul ruolo sociale degli influencer, ma se un totale di 38,5 milioni di follower che scrollano annoiati trovano un paio di idee in buona fede in chilometri di selfie e sponsorizzazioni, non fa male a nessuno.

Nemmeno il tempo di dare una chance al buon uso dei social ed ecco che il rapper trentaduenne, in una volta sola, si scaglia contro politici e giornalisti, denunciando a colpi di Instagram stories il grottesco, il cattivo gusto, lo squallore e il disumano del nostro paese. Sbaglia? E sono solo esagerazioni cialtronesche quelle che mette in scena sui cartelloni della sua finta campagna elettorale? Francamente no. Il problema è quando Fedez, per criticare l’attuale assetto della politica italiana, inciampa in una strada che abbiamo già visto: la via del peggior populismo.

Leggi anche: Piccolo vademecum sul populismo. Parte prima.

Un fotogramma dal video in cui Berlusconi ha annunciato la sua discesa in campo nel 1994.

Facciamo un salto indietro. È il 26 gennaio del 1994 quando il capo di Fininvest, poi Mediaset, Silvio Berlusconi, appare sugli schermi dei nostri televisori annunciando la sua discesa in politica. La scena – dietro la scrivania, in giacca e cravatta, una libreria come sfondo per guadagnare credibilità – e la formula d’apertura – «L’Italia è il paese che amo» – sono le stesse del remake-parodia postato da Fedez su Instagram per annunciare l’inizio della sua finta campagna elettorale. Una trovata un po’ stantia, visti i tempi: avrebbe potuto imitare un esponente della Terza Repubblica, anziché della Seconda. Di materiale ce n’è a volontà.

Tuttavia, resta una buona operazione di marketing, come sempre in casa Ferragnez. Per giorni ci si è chiesti cosa significasse quel dominio, e il video di smentita ha voluto mettere in imbarazzo chi ci è cascato, come se l’intenso attivismo social degli ultimi mesi non potesse trarci in inganno. Ma no, Fedez non scende in campo veramente. Si occupa di politica, ma non ha intenzione di farlo in Parlamento.

Un altro manifesto per la finta campagna elettorale in occasione dell’uscita di Disumano. Si riferisce alla polemica sollevata dalle dichiarazioni di Alfonso Signorini al Grande Fratello. Foto dal profilo Instagram di Fedez.

Quanto a Berlusconi, ha in comune con Fedez solo la provenienza: il mondo dello spettacolo. Se proprio vogliamo fare paragoni, lo stile del rapper può somigliare più a quello di Grillo: la sua formula è l’indignazione, che passa talvolta per la burla. D’altronde anche il fondatore del MoVimento ci è stato prestato dal mondo della televisione. Ma la dinamica che lo ha reso capace di imprimere una rotta diversa al clima di apatia registratosi tra i cittadini e la politica durante la Prima e anche la Seconda Repubblica, è stata la capacità di convogliare la rabbia nella critica aspra di un’antagonista: nel suo caso, la casta.

Leggi anche: Il comico, il politico e il depoliticizzato.

La legge dello spettacolo vuole infatti che il protagonista si trovi un’antagonista ben definito. Fedez potrà anche biasimare l’intero sistema partitico italiano, ma si pone di fatto contro l’opposizione e non contro un governo. In questo può ricordare anche l’esperimento delle Sardine. Ci siamo chiesti se quelle piazze fossero davvero solo contro qualcuno (Salvini) o anche a favore di qualcosa, ma l’ambizione di Mattia Sartori, uno dei quattro organizzatori della prima piazza bolognese, non è mai stata quella di fare un partito.

Come Fedez, era solo un trentenne che ha provato a richiamare l’attenzione di migliaia di persone assiepate sotto la pioggia e al freddo. Esattamente due anni fa c’era lui a prendersi gli spazi mediatici e le manifestazioni di interesse di quasi tutti i leader politici. Ora, lungi dall’accusare le Sardine di populismo – dopotutto erano nate proprio come sue antagoniste – è interessante notare con quanta determinazione facessero politica ma, come Fedez, insistessero a farla fuori dalle Camere. Come se non fossero più il luogo adibito a tale pratica.

Ma Fedez è un prodotto moderno, e la modernità è liquida, sfugge, scivola via troppo in fretta perché una piazza possa contenerla. I cartelloni della sua finta campagna sono appesi ai muri delle città, ma sono le Instagram stories gli spazi in cui il rapper lancia una polemica, o ribatte a questo o a quel politico – quando non lo fa in Rai, luogo dal quale immaginiamo sia stato bandito.

Leggi anche: Fedez, la censura e la Lega: una bella storia.

Uno dei manifesti per la finta campagna nella città di Napoli. Foto dal profilo Instagram di Fedez.

In ogni caso, quando vuole informarci su cosa pensa di Salvini, della proposta di legge Zan, o del servizio pubblico, lo fa inondando gli spazi mediatici. Così, con una platea di follower tanto ampia, anche l’opinione di Fedez diventa rilevante per un politico, un giornalista, un dirigente Rai, o un qualsiasi cittadino informato. Nonostante i like non verranno tradotti in voti. E probabilmente accumulando più consensi di chi starebbe dicendo le stesse cose, ma con molto meno carisma.

Non è niente di nuovo nella democrazia dell’intrattenimento, dove media e reti portano avanti processi di sostituzione rispetto a molti sistemi, compreso quello politico e dei partiti. Processi di sostituzione, dunque, e non più di integrazione. È il collasso del significato (la politica) nel significante (la comunicazione), per usare una bella formula coniata da Francesco Giorgino.

Così la più aspra critica al sistema arriva dal profilo Instagram di un influencer sotto forma di «trollata», tra l’accusa alla stampa di aver finto di non riconoscerne la natura e la derisione dell’ – a quanto pare – inutile «grande dibattito sugli influencer in politica», tra un «c’è da ridere!» e un «veramente surreale!», accompagnati dall’emoji di un clown, che ricordano un po’ lo stesso sbalordimento derisorio di una parte politica che non sta simpatica nemmeno allo stesso Fedez.

Quindi diciamo che sia in buona fede – anche se abbiamo già visto cosa succede a un Paese che si affida a chi è in buona fede sperando che sappia di cosa sta parlando – ma essa si esaurisce proprio qui, quando lo storytelling dell’influencer che si fa attivista degenera nel parlare in modo superficiale e riduttivo attorno a questioni di cui non si è letto il manuale delle istruzioni, e nel deridere un paio di istituzioni che sono già derise, che soffrono già di mancanza di credibilità e disaffezione politica.

La finta campagna di Fedez tocca picchi di antipolitica quando marcia sulla retorica del disprezzo per le forme e le attività della politica, per i suoi protagonisti e le istituzioni. Quando accusa i media di essere bugiardi e, addirittura, di fingere di non sapere. Quando sceglie di parlare di politica ovunque, fuorché nei luoghi in cui possono avvenire i veri cambiamenti politici.

Se l’obiettivo del rapper era avvicinare i suoi tredici milioni di follower ai temi della cosa pubblica, forse dovrebbe aggiustare un po’ il tiro. Ma non sarebbe nemmeno giusto fargliene una colpa. Dopotutto, se non è interessato al grande dibattito sugli influencer in politica, non sa nemmeno perché ci importa tanto di quello che fa quando posta su Instagram.

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Fabiana D'Eramo

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