Goliardia, una parola abusata (in mala fede)

A seguito delle molestie ai danni della giornalista Greta Beccaglia, il colpevole si è giustificato parlando di goliardia. Questo è solo un caso come tanti, al punto che la mera cronaca degli eventi è quasi secondaria rispetto a un’abitudine piuttosto consolidata.

In sostanza, un tifoso ha palpato la giornalista durante un servizio in diretta, innescando la gogna mediatica e cercando di giustificarsi in maniera piuttosto goffa nel momento in cui si è reso conto di aver rovinato la sua reputazione. Parlare di goliardia, in realtà, è sbagliato non soltanto per i motivi dettati dal buon senso, ovvero che non c’è nulla di goliardico o quanto meno tollerabile in una molestia sessuale (che non può essere spacciata per nient’altro), ma perché queste persone hanno idea sbagliata di cosa sia la goliardia. Partiamo dalla cosa più plateale: la goliardia non ha niente a che vedere col calcio, quindi quando se ne parla anche per i pestaggi delle tifoserie si continua a essere in errore (o in mala fede).

Che cos’è dunque la goliardia? Per chi non ha mai incontrato un goliarda, e quindi bazzicato gli ambienti universitari di alcune città, è difficile dare una risposta, e i dizionari non ci sono tanto d’aiuto. Se il vocabolario Treccani ci dà una definizione tanto accurata quanto poco utile se non si conosce un goliarda, la definizione del dizionario del Corriere va a confondere ulteriormente le idee in quanto la definisce come “spirito e tradizione goliardici caratterizzati da spensieratezza e da chiassose esibizioni”. Stando a questa descrizione vaga e ampia, anche le tifoserie calcistiche potrebbero dirsi tali se non fosse per un piccolo dettaglio: la definizione riportata risale al 1947 quando essere studenti ed essere goliardi erano sinonimi.

La goliardia ha origini nel medioevo, nel periodo in cui nascevano effettivamente le università, tra storia e leggenda attibuita alla figura di Pietro Abelardo, detto Golia, noto per il suo stile di vita insolito: per primo iniziò a comporre dei poemi leggeri e anticlericali, traendo un certo seguito tra gli altri studenti. La parola “goliarda” finì per sovrapporsi al concetto di clerici vagantes, studenti non ordinati (secondo i sacri ordini della Chiesa Cattolica), o solo parzialmente ordinati, con dei privilegi tipici dei chierici e noti per il loro dover viaggiare per poter studiare presso i massimi esperti delle poche università, ai tempi specializzate quasi sempre in una sola materia. Occorre ricordare che per quanto la condizione di studente fosse esclusiva e privilegiata fino alla rivoluzione studentesca del Sessantotto, la condizione di studente per tutta l’età medioevale e moderna comportava degli effettivi privilegi riconosciuti legalmente dai vari Stati: ne è un esempio l’esenzione dal servizio militare, rimasto in Italia (per gli studenti universitari) fino all’abolizione della leva militare nel 2004.

Membri della goliardia barese in un'auto mal concia trainata come un carro.
Testimonianza della goliardia barese del 1953. Foto pubblicata dalla pagina Facebook Bari tanto tempo fa.

Quando parliamo di goliardia, tuttavia ci riferiamo alla goliardia moderna, nella forma che ha preso a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e della quale esistono maggiori testimonianze. Sappiamo, per esempio, che Giosué Carducci ha creato la Feluca, cappello che tutt’oggi contraddistingue i goliardi italiani in occasione della celebrazione degli ottocento anni dell’Università di Bologna, così come abbiamo traccia di alcuni papiri, documenti goliardici, a firma di Giovanni Pascoli. In realtà le testimonianze sono abbastanza da avere delle vere esposizioni museali, una in una sala del MEUS di Bologna (inizialmente solo museo della goliardia e successivamente esteso a museo degli studenti) e una nel GaudeaMUS di recente apertura a Padova.

La goliardia è un fenomeno tutt’altro che morto, sebbene a seguito dello scioglimento di tutte le associazioni studentesche e l’apertura dell’istruzione superiore a potenzialmente chiunque abbia cambiato forma. In diverse città universitarie si trovano numerose associazioni goliardiche quasi sempre con rapporti formali con le università e/o i comuni di appartenenza. Pur avendo perso il suo peso nelle istituzioni universitarie (non c’è più una rappresentanza goliardica in senato accademico) e con numeri più contenuti, i goliardi continuano a mantenere vive non solo le antiche tradizioni ma soprattutto lo spirito goliardico.

Membri della goliardia bolognese nella sede del rettorato per le celebrazioni formali delle matricolari.
Goliardi bolognesi durante le feriae matricularum del 2021.

La goliardia è quindi lo spirito studentesco, cosciente del suo privilegio (che tutt’oggi rappresenta l’essere studente), dove la leggerezza diventa un atto involontariamente sovversivo. La goliardia è per sua stessa natura progressista, apolitica (o meglio apartitica) e progressista, e nella sua accezione più contemporanea ripudia la violenza. La componente di scherzo, tanto richiamata da chi abusa della parola a suo vantaggio esiste, ma è uno scherzo che non si fa mai bullismo. La goliardia è una parodia del potere e delle sue istituzioni, ed è per questo che non ha senso richiamarla per difendere gesti che rinforzano delle strutture di potere soverchie, come quelle sessiste: è contro la sua stessa definizione e quindi intrinsecamente errato.

Di fronte a una definizione così positiva sorge spontaneo il dubbio su come si è finiti ad associare una tradizione così antica e gioiosa ai comportamenti delle peggiori tifoserie o che ammiccano al mondo fascista. Innanzitutto va detto che per chi non conosce questo mondo, i goliardi hanno sempre avuto una nomea negativa e continuano ad averla. C’è la componente di parodia della massoneria, che spesso viene vista in modo serio, non notando che per esempio, nonostante viga il segreto goliardico, quasi tutte le attività goliardiche si svolgono in luogo pubblico e i goliardi sono sempre ben aperti ai curiosi. Altre motivazioni sono legate al fatto che lo stile di vita goliardico è un punk ante litteram, ma senza la componente autodistruttiva. Alcuni canti goliardici, come le Osterie, riescono ancora a essere scandalosi e scomodi come lo erano quando sono stati scritti decadi fa. La goliardia schernisce le regole e le gerarchie del mondo reale, mettendo in discussione tutto ciò che parodizza.

Goliardi sassaresi nella tradizionale discesa dei carruzzi. Foto via Facebook.

Ci sono anche delle motivazioni di natura storica, dovute a momenti in cui la goliardia è stata sciolta dalle istituzioni. La prima è stata durante il ventennio fascista, in cui il partito sciolse tutte le associazioni che rifiutavano di schierarsi apertamente. Per quanto ci fossero dei singoli che aderirono alla causa, la goliardia, per sua natura apolitica ma liberale (non in senso economico), rifiutò di convertirsi: il partito creò quindi una versione edulcorata e puramente di facciata. In quel periodo, persino il simbolo della feluca fu sostituito dal fez, segno di quanto questa parentesi differisca dallo spirito goliardico in senso stretto. Per quanto i goliardi abbiano da subito cercato di ripulirsi da questa immagine, l’associazione è ancora dura a morire.

Un secondo momento, già citato, è stato nel 1968, con lo scioglimento di tutte le associazioni studentesche e l’espulsione di ogni rappresentanza goliardica dalle istituzioni accademiche. Dopo questo duro colpo ci vollero diversi anni perché la goliardia si risvegliasse, trovandosi un mondo studentesco molto diverso: innanzitutto l’istruzione superiore era diventata di massa e non più relegata alle élite culturali del passato ma solo del futuro, e soprattutto erano gli anni di piombo. Da una parte era difficile ricreare un mondo di associazioni che riunissero l’interezza degli studenti; dall’altra ci si trovava di fronte a un mondo studentesco politicizzato e soprattutto schierato. Ancora una volta la natura apolitica divenne scomoda, con i nostalgici del fascismo che accusavano i goliardi di essere comunisti, e questi ultimi che li accusavano di essere gli stessi della parentesi fascista.

È così che la goliardia è diventata un fenomeno misterioso e di nicchia, relegato a un’immagine di studente anacronistica. Per quanto ci tenga a mantenere la tradizione, la goliardia è spirito degli studenti di una specifica epoca. L’immagine degli studenti pre-Sessantotto è inadatta a descrivere gli attuali goliardi, ma è quella che è rimasta impressa nel mondo comune e associata solo al lato sovversivo. Certo, rimangono dei refusi, come la goliardia sienese che non accetta donne (con il dissenso delle altre città) ma non per questo si può dire che tutti i goliardi (o la maggior parte) siano sessisti. Anche gli altri elementi, come un nonnismo quasi cameratista più tipico del mondo militare, erano probabilmente parte dell’identità degli studenti di diverse decadi fa, ma non possono che discostarsi dal concetto attuale di universitario. Anche la parte più violenta è stata ripudiata formalmente, seppur in tempi relativamente recenti, dalla goliardia più “istituzionale”: alzare le mani rimane un vero tabù per i goliardi quando indossano i loro abiti.

In sostanza, quando gli ambienti calcistici o fascistoidi si appropriano della parola goliardia – quando non sono inconsci dell’enorme tradizione e storicità che si porta dietro questo concetto – lo fanno per cercare di giustificare con finta leggerezza gesti che sono in realtà automatismi di persone che si rifiutano di pensare, al contrario della spensieretezza critica alla base di un fenomeno che dovrebbe essere un vanto storico (e non solo) per gli italiani.

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