Il 7 dicembre un tribunale egiziano ha ordinato la scarcerazione di Patrick Zaki, studente egiziano all’Università di Bologna detenuto da ventidue mesi in Egitto. Le autorità egiziane avevano arrestato Zaki all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020. Da allora, dopo essere stato torturato dalle autorità egiziane, Zaki si trovava in condizione di detenzione preventiva in attesa del processo, che è iniziato lo scorso 14 settembre, un anno e mezzo dopo l’arresto. Il verdetto del tribunale è provvisorio. Zaki dovrà presentarsi a una nuova udienza il prossimo 1 febbraio e il tribunale deciderà se condannarlo o assolverlo definitivamente.
L’accusa che ha portato alla detenzione e al processo di Zaki è di avere diffuso «notizie false dentro e fuori dal Paese», per un articolo di ricerca sulla discriminazione della minoranza religiosa cristiano copta, a cui la famiglia di Zaki appartiene. A Bologna, Patrick Zaki stava frequentando un master in Studi di genere e delle donne.
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theWise Magazine ha parlato con Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione non governativa Amnesty International Italia, che ha espresso grande felicità e soddisfazione per il verdetto del tribunale. «In un angolo dei nostri cuori c’era speranza in questo scenario. Ci auguravamo che si interrompesse una catena di decisioni negative nei confronti di Patrick durata ventidue mesi», ha detto Noury. Nonostante il sollievo, il portavoce ha sottolineato che la scarcerazione è provvisoria e rappresenta solo un primo passo, non una vittoria.
Non ci sono ancora informazioni certe riguardo alle condizioni della scarcerazione. Secondo Noury è probabile che Zaki non potrà lasciare l’Egitto e potrebbe essere soggetto a misure di controllo come l’obbligo di firma in commissariato fino alla prossima udienza. Alice Franchini, attivista dell’associazione italo-egiziana per i diritti umani EgyptWide, ha dichiarato a theWise Magazine che Patrick Zaki si trova ora in una «prigione a cielo aperto». Una condizione che, racconta Franchini, «è sicuramente meglio che dormire sul cemento, ma non deve farci abbassare la guardia. Il risultato che vogliamo ottenere è la chiusura del processo con una assoluzione piena e per questo è importante continuare a tenere alta l’attenzione sul caso».
«Le autorità manipolano il sistema giudiziario penale egiziano. Succede spesso che all’ordinanza di scarcerazione non faccia seguito un provvedimento effettivo», ha aggiunto Franchini. L’attivista ha spiegato che non è raro che un prigioniero politico – come Patrick Zaki – venga rilasciato per un breve periodo e poi nuovamente arrestato sulla base di nuove accuse, come è accaduto per esempio a Haithaam Mohamedeen e Walid Shawky, leader dei movimenti rivoluzionari egiziani.
All’inizio della vicenda nel febbraio 2020 le autorità egiziane avevano accusato Zaki di altri quattro reati: minacce alla sicurezza nazionale, incitamento di manifestazioni illegali, sovversione e propaganda per il terrorismo. Queste accuse sono ancora valide, ma non fanno parte del procedimento in corso. Noury ha spiegato che gli sviluppi positivi della vicenda giudiziaria potrebbero portare a una chiusura definitiva del processo e alla caduta di tutte le accuse, tuttavia non ci sono ancora informazioni certe a riguardo.
«Avremmo preferito evitare questi ventidue mesi di calvario», ha dichiarato il portavoce, che ha comunque apprezzato la grande mobilitazione attorno alla vicenda di Zaki. Noury ha espresso soddisfazione anche per le parole del presidente del Consiglio Mario Draghi, che in una nota ha ricordato che l’attenzione dell’Italia resterà alta. «È importante che tutti, chi con il rumore di una piazza, chi con il silenzio della diplomazia, continuino a fare la propria parte per raggiungere l’obiettivo dell’assoluzione», ha aggiunto Noury.
Sia Amnesty International Italia che EgyptWide continueranno le loro attività di monitoraggio e campagna sul caso di Patrick Zaki, nei prossimi mesi. «Patrick non è il solo studente egiziano all’estero vittima di persecuzione per motivi politici. Il suo è un caso tipico», ha detto Franchini, spiegando che a partire dalla rivoluzione del 2011 le autorità egiziane hanno inasprito il proprio atteggiamento nei confronti di ricercatori che svolgono attività accademica all’estero. Un’osservazione confermata anche recentemente: lo scorso agosto la ministra per l’Immigrazione Nabila Makram ha definito gli studenti egiziani all’estero «il più pericoloso gruppo di emigranti».
Nelle prossime settimane, oltre a occuparsi degli sviluppi del caso Zaki, Amnesty International seguirà anche il processo a Alaa Abd El Fatah, leader della rivoluzione del 2011, insieme al suo avvocato Mohamed el-Baqer e al blogger Mohamed Oxygen. L’udienza si terrà il 20 dicembre e, secondo Noury, sarà un banco di prova per capire se è cambiato qualcosa nell’approccio della magistratura egiziana al dissenso. «La scarcerazione di Patrick e la grazia concessa la scorsa settimana a Hossam Bahgat [direttore di EIPR, l’organizzazione non governativa con cui collaborava Zaki, N.d.R.] sono dei segnali», ha detto Noury, aggiungendo che se il 20 dicembre arrivasse un verdetto favorevole anche per Alaa Abd El Fatah «potremmo cominciare a segnare un cambio di rotta concreto».
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