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Economia

Baerbock e la nuova politica estera tedesca

Published by
Antonio Junior Luchini

Lo scorso dicembre ha visto l’insediamento del nuovo governo tedesco, una coalizione eterogenea tra socialdemocratici, verdi e liberali con a capo l’ex ministro delle finanze del governo Merkel IV, il socialdemocratico Olaf Scholz. Un cambio di leadership avvenuto sullo sfondo di nuove tensioni in Ucraina e sulla frontiera polacco-bielorussa che ha subito messo a dura prova i propositi di Annalena Baerbock, co-leader del partito verde tedesco e nuova ministra degli Esteri. Sostenitrice di una politica estera post-pacifista, attenta alla promozione dei diritti umani e della democrazia ma anche al rafforzamento della Nato e dei progetti di difesa pan-europei, Baerbock non è la prima esponente dei Verdi tedeschi ad avere idee simili: come ricorda il professor Federico Niglia, docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università per Stranieri di Perugia, «già durante i governi Schroeder I e II il vice-cancelliere verde e ministro degli esteri Joschka Fischer si era fatto promotore di questa idea di tutela ampia dei diritti umani, anche al di fuori dei confini nazionali». Rompendo con la tradizione strettamente pacifista del suo partito, Fischer supportò il dispiegamento di truppe tedesche durante l’intervento NAto in Kosovo del 1999, giustificandolo con la necessità di impedire un genocidio dei kosovari albanesi da parte delle autorità serbe.

La prima azione di nota della Baerbock è stato appoggiare il blocco (temporaneo) del gasdotto Nord stream 2, nato per consentire il trasporto diretto del gas naturale russo in Germania. Scontrandosi con i compagni di coalizione dello Spd, la Baerbock ha definito il progetto Ns2 «incompatibile con i requisiti della legislazione europea in materia energetica e non sicuro» e ribadito la posizione del ministero degli Esteri: nel caso di ulteriori tensioni in Ucraina, il gasdotto non verrebbe allacciato alla rete energetica. Baerbock si è inoltre concentrata sulle attività di spionaggio russe in Germania, ordinando l’espulsione di diversi diplomatici di Mosca dopo la condanna di Vadim K., cittadino russo residente in Germania responsabile dell’omicidio di un dissidente ceceno a Berlino, atto che le corti tedesche hanno definito una forma di “terrorismo di Stato”.

Oltre al dossier Russia, la ministra verde ha anche calcato forte il tema dei rapporti Ue-Cina e in particolare del genocidio culturale perpetuato dalla Repubblica Popolare ai danni dell’etnia musulmana uigura, tematica cara anche al capogruppo dei verdi tedeschi nel parlamento Reinhard Butikofer, sanzionato dalla Cina a causa delle sue attività in seno alla commissione europarlamentare sui diritti umani. Baerbock ha annunciato di voler boicottare a titolo personale le prossime olimpiadi invernali a Pechino, e incoraggiato le istituzioni Europee a varare legislazione atta a vietare l’importazione di beni prodotti tramite il lavoro forzato in Cina, una fattispecie simile a quella della legge anti-schiavitù varata dal congresso americano il 23 dicembre 2021 . Le posizioni “da falco” della Baerbock non hanno colto di sorpresa lo staff diplomatico cinese, che in risposta alla nuova coalizione di governo aveva già messo in guardia le sue controparti tedesche sulla necessità di ‘costruire ponti invece che muri’.

Un approccio, quello di Baerbock, che ha subito aperto faglie con il cancelliere Scholz, sostenitore di una linea estera più cauta e somigliante a quella della precedente amministrazione Merkel. Scholz ha definito Nord Stream 2 “un progetto del settore privato” la cui eventuale approvazione dipenderebbe da una decisione apolitica dell’ente regolatore energetico tedesco. Un tentativo, retorico, di acuire la diatriba interna alla coalizione di governo sulle ramificazioni geopolitiche del progetto, da tempo osteggiato dai verdi anche per le sue implicazioni più ambientali. Il leader dei socialdemocratici ha allo stesso modo rassicurato il premier cinese Xi Jinping sulla buona salute dei rapporti diplomatici e commerciali tra Germania e Cina, mostrandosi anche aperto alla possibilità di ridiscutere il Common Agreement on Investment (Cai), un controverso trattato commerciale tra UE e Cina congelato dall’Europarlamento per via di molteplici dubbi sulla tutela dei diritti dei lavoratori e della proprietà intellettuale delle aziende europee nel paese orientale.

Tali fratture, anche se più sentite da verdi e socialdemocratici, non rischiano però d’impattare sulla salute generale della coalizione di governo. I Verdi sono comunque disponibili al dialogo, e a evitare di sabotare l’operato della coalizione. «Hanno comunque più da guadagnare realizzando gli obiettivi domestici, come la transizione energetica» aggiunge Niglia. La nomina di Robert Habeck al ministero dell’Economia, diventato ‘Ministero dell’Economia e dell’Azione Climatica’ è stato un altro colpo grosso del partito ambientalista, che ha subito lanciato un piano da 500 miliardi di euro per de-carbonizzare l’economia tedesca, riducendo anche il ruolo preponderante del gas naturale (spesso d’importazione russa) nell’ attuale rete energetica in favore di nuove fonti rinnovabili.  

La cosiddetta “coalizione semaforo” è ancora agli inizi, ma la possibilità di un’azione sinergica da parte dei ministeri guidati dai due leader dei Grünen, volta al conseguimento degli obiettivi di tutela ambientale tanto quanto a quelli della politica estera post-pacifista non è affatto da escludere. Resta da vedere come le audaci ambizioni del partito verde saranno accolte dai loro partner di coalizione socialdemocratici e liberali e dall’establishment industriale della Germania, incarnato dal potente Bundesverband der Deutschen Industrie (Bdi), la Confindustria tedesca.

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Antonio Junior Luchini

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