Giacarta è una città enorme, piena di inquinamento e in una terra a forte rischio sismico, e Giacarta sta anche affondando. Lo sentiamo dire da anni che una delle conseguenze maggiori del cambiamento climatico è l’innalzamento del livello del mare, non è di certo una novità. E di conseguenza sono tante le città e le zone della terra che rischiano di scomparire sott’acqua. Anche questo lo sappiamo da un po’ di tempo, ormai. Eppure, continuiamo a interessarci poco del cambiamento climatico, nonostante sappiamo che le conseguenze saranno devastanti. Anche Giacarta, così come Venezia e Trieste, è una di quelle città che da anni è considerata a rischio, ma la situazione si è aggravata e il governo ha preso una decisione drastica: spostare la capitale.
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Le acque di Giacarta
In Indonesia i terremoti sono all’ordine del giorno. Nel 2020 ci sono stati 8264 terremoti. Nel 2018 furono 11920. L’Indonesia si trova in nella “cintura di fuoco”, una zona dell’oceano Pacifico caratterizzata da terremoti profondi ed eruzioni vulcaniche. Si stima che il 90 per cento dei movimenti sismici del mondo avvenga proprio in questa zona.
Nonostante la posizione infelice, l’Indonesia è un posto incredibile, con tante spiagge e luoghi da esplorare, e Giacarta è una delle città più grandi e abitate del Sud-Est asiatico e conta più di dieci milioni di abitanti. Giacarta è anche una città trafficata, povera e corrotta, con forti disuguaglianze sociali, ma soprattutto è la città che sta affondando più velocemente al mondo. La parte settentrionale della città è sprofondata di 2,5 metri in dieci anni e, in certi punti, affonda ogni anno di 25 centimetri. Venezia, per fare un confronto, affonda di qualche millimetro ogni anno.
La situazione di Giacarta è preoccupante già da tempo. Parte della città a nord è già stata abbandonata dalla popolazione a causa di edifici affondati e terreni paludosi. Le dighe vengono costruite, distrutte e ricostruite continuamente nel vano tentativo di bloccare l’acqua proveniente dai fiumi e dal mare.
Giacarta, d’altronde, è lambita dal mare ed è attraversata da tredici fiumi, il terreno è paludoso e non è in grado di sopportare la crescita esponenziale che ha visto negli ultimi anni. I continui terremoti, il suolo fragile, le forti piogge e l’innalzamento del livello del mare non hanno aiutato. Nella città, oltretutto, i cittadini possono estrarre liberamente l’acqua sotterranea, contribuendo al cedimento del terreno. Se da una parte, il mare si alza, dall’altra il terreno si abbassa. La combinazione è disastrosa.
Nusantara: terra promessa per il governo
Lo scorso 18 gennaio, il parlamento indonesiano ha approvato l’istituzione di una nuova capitale, un progetto molto voluto anche dal Presidente Joko Widodo. La nuova capitale sarà chiamata Nusantara, letteralmente “arcipelago”, proprio per omaggiare l’importanza dell’acqua in quelle terre. Il progetto di Nusantara era in cantiere già nel 2019, poi rallentato a causa della pandemia. Oggi, pare che la nuova capitale sarà inaugurata già nel 2024.
Nusantara sorgerà sull’isola di Borneo, a duemila chilometri da Giacarta. Per raggiungerla, dall’attuale capitale, ci vorrebbero più di cinquanta ore di viaggio tra macchina e traghetto. Nusantara vuole essere una città tecnologica, a basse emissioni, che supporterà lo sviluppo farmaceutico, sanitario e tecnologico. Insomma una città che, sulla carta, promette sostenibilità. Sulla carta, ci teniamo a sottolinearlo, perché per costruire Nusantara servono soldi, tanti soldi, e un terreno dove gettare le fondamenta.
Un incubo per l’ambiente
I finanziamenti, al momento, non sembrano mancare. Nusantara costerà 32,5 miliardi di dollari e lo Stato ne finanzierà il 19 per cento. Il restante sarà coperto da finanziamenti pubblici e investimenti privati. Il Giappone e gli Emirati Arabi, forse, contribuiranno alla spesa. Anche il terreno sembra non mancare e il governo ha già previsto e riservato 180mila ettari di terreno per la nuova città. Terreno che, però, verrà ricavato tramite la deforestazione di migliaia di ettari in cui oggi vivono indisturbati, tra gli altri, orangotanghi, orsi malesi e scimmie nasiche. Di queste scimmie rimane solo qualche migliaio di esemplari e sono a rischio estinzione proprio a causa della deforestazione e dell’inquinamento. Anche le popolazioni indigene della zona sarebbero in pericolo.
Si sta risolvendo un disastro ambientale, quello di Giacarta, creandone un altro. Il presidente indonesiano ha assicurato che l’isola di Borneo è il luogo ideale per la creazione di Nusantara e che il rischio di dissesti ambientali è minimo. Viene da chiedersi come una città sostenibile possa definirsi tale se per essere costruita necessita di abbattere milioni di alberi e di mettere a rischio una delle foreste pluviali più antiche del mondo. Sì, Giacarta ha problemi ambientali – e sociali – importanti da risolvere, ma costruire da zero una nuova città non può comunque essere considerata una soluzione sostenibile.
A oggi, comunque, il governo è entusiasta. Il piano prevede di mantenere Giacarta come capitale economica e di rendere Nusantara il centro politico, anche per la sua posizione geografica che è centrale rispetto all’arcipelago indonesiano. In questo modo, assicurano, gli abitanti di Giacarta non avrebbero la necessità di trasferirsi in massa a Nusantara per lavorare.
Questa sicurezza, però, si aggiunge alle critiche mosse verso la creazione di Nusantara, che sembra sempre più un progetto che si dimentica non solo dell’ambiente, ma anche della popolazione, che sarebbe costretta a rimanere in una città inquinata e che affonda. Se Giacarta è già complicata da governare, quanto verrà dimenticata a fronte della creazione di Nusantara? Come verranno affrontati i problemi ambientali di Giacarta se deve rimanere il centro economico del Paese? E, con questi problemi da affrontare, non era forse meglio dedicare i miliardi di dollari di Nusantara a Giacarta?