La Russia circonda l’Ucraina su tre lati. Centomila soldati sono schierati lungo i confini ucraini da mesi. Lungo quello orientale, dove si trova la regione del Donbass con i separatisti filorussi. Su quello meridionale, in Crimea, già annessa nel 2014. E su quello settentrionale: alcune truppe sono state inviate in Bielorussia, secondo il Cremlino, per delle esercitazioni congiunte. Vista così sembra già un’invasione, ma Mosca nega.
Le condizioni della Russia e la risposta della Nato
La Nato, da par suo, si prepara. La promessa è di applicare alla Russia durissime sanzioni economiche, anche se nella pratica l’impressione è che l’Alleanza atlantica fatichi nel trovare un vero accordo sulla risposta da dare a Vladimir Putin. Il presidente statunitense Joe Biden ha già messo in stato di allerta 8500 soldati che potrebbero essere impiegati in Ucraina in caso di invasione. Il dipartimento di Stato ha ordinato l’evacuazione di tutti i familiari del personale dell’ambasciata americana a Kiev. Più diplomatici si dimostrano gli alleati europei, che dipendono sempre di più da Mosca per l’approvvigionamento energetico. Se Washington è pronta a rispondere con decisione, Bruxelles s’inoltra di nuovo all’interno del conflitto russo-ucraino con andatura leggera e un po’ esitante, come se ogni passo che l’avvicina a sanzionare Mosca rappresentasse un autosabotaggio. L’intero fronte occidentale resta tuttavia unito nel fare il possibile al fine di evitare una guerra e offre alla Russia una via diplomatica.
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Dal canto suo, il Cremlino ha posto le solite condizioni: che l’Alleanza atlantica non si espanda a Est, che l’Ucraina non entri nella Nato. Le tensioni fra Russia e Ucraina nascono proprio dall’aspirazione del Cremlino di preservare i suoi interessi e il suo ascendente sui territori della fu Unione Sovietica. A partire dalla metà degli anni Duemila, agli occhi di Putin, l’espansione della Nato a Est ha rappresentato un’invasione di campo nelle proprie sfere d’influenza che andava fermata. Il desiderio espresso dall’Ucraina di aderire alla Nato, già dal 2008, ha esacerbato il senso di vulnerabilità e di isolamento che la Russia prova rispetto all’Occidente. Un’insopportabile umiliazione. La situazione è precipitata nel 2014 con la cacciata del presidente filorusso Viktor Yanukovich, sostituito da un governo filoeuropeo non riconosciuto da Mosca guidato da Oleksandr Turčynov. Putin ha risposto annettendo la penisola della Crimea e incoraggiando i ribelli filorussi nel Donbass, insistendo sull’importanza di preservare e difendere l’identità delle minoranze russe nella zona orientale dell’Ucraina. Infatti, più che di aggressione e sovversione, il presidente russo ha parlato di «ricongiungimento», affermando di fatto che Russia e Ucraina siano «una nazione».
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La guerra si combatte anche nel cyberspazio
Dentro i confini ucraini, il presidente Volodymyr Zelens’kyj chiede «che c’è di nuovo? La guerra è lontana e nella capitale non si sente, la paura è più all’estero che qui».
Il conflitto con la Russia va avanti da otto anni. Anche se la situazione nella regione del Donbass è congelata, la guerra è già una realtà a Kiev. Un’invasione sarebbe solo un tassello in più. E i vecchi strumenti militari si mischiano a nuove tecniche di guerra. A partire dal 2013, i siti web delle istituzioni e dei parlamentari ucraini sono stati presi di mira da hackeraggi e virus informatici. La Russia si è impegnata al fine di ridurre al minimo la possibilità dei cittadini ucraini di recuperare informazioni affidabili, in una perfetta esemplificazione della gestione bellica degli spazi mediali, sia broadcaster che digitali.
Intere legioni di troll hanno marciato in digitale su Kiev e criticato post e articoli contro Putin, sfruttando gli algoritmi per rendere virali le fake news. Questo tipo di guerra è detta ibrida perché si sviluppa dispiegando insieme tattiche militari e non militari, dove le seconde – sovversione, propaganda, spionaggio e attacchi informatici – hanno un peso e un ruolo sempre più rilevante rispetto alle operazioni militari tradizionali. Sappiamo che con la diplomazia e (in ultima risorsa) con l’esercito un’invasione militare si può riconoscere, evitare o respingere. Se c’è da combattere, ci si prepara. Anche Zelens’kyj sa che sul campo di battaglia la sua Ucraina non può vincere. Ma il campo di battaglia oggi ha un secondo fronte: si chiama Internet.
Le conseguenze a Occidente: disaccordo Usa-Ue
La possibilità che l’Ucraina si unisca alla Nato in tempi brevi è remota. Prima ha bisogno di intraprendere una serie di riforme politiche, oltre che combattere la corruzione che domina nel Paese. E poi le forze dispiegate da Mosca sono forse abbastanza per conquistare il Donbass, ma non sufficienti a invadere l’intero paese. E una guerra e una vittoria in Ucraina comporterebbero comunque un significativo numero di vittime fra i soldati russi. Si tratterebbe della più grande invasione nel continente dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Che queste considerazioni razionali siano sufficienti a impedire l’invasione dell’Ucraina non è certo. Putin continua a tenere una pistola puntata alla testa di Kiev, dice l’inviato della BBC Paul Adams, e può farlo perché nel suo disegno politico la dissoluzione dell’Unione Sovietica è un errore che è autorizzato a correggere, e soprattutto perché sa che non sarà il suo Paese a pagarne le maggiori conseguenze economiche. Certo, anche la Russia ci rimetterebbe, ma può sempre contare su un mercato alternativo, la Cina, mentre l’Europa ha più interesse a rimanere prudente e cercare la via del negoziato. Più sono dannose le sanzioni per la Russia, più costeranno care agli europei. La crisi geopolitica in Ucraina potrebbe bloccare l’import di gas russo in Europa, che rappresenta la principale fonte energetica del continente. E oltre a essere appese al gas di Putin – il segretario della Lega Matteo Salvini ha dichiarato che se l’Italia dovesse prendere iniziative contro la Russia Putin potrebbe chiudere «i rubinetti del gas» e lasciare il Paese «al buio e al freddo da domani» – Italia e Germania, le meno propense nell’impegnarsi contro la Russia, sarebbero più esposte in caso di ritorsioni di Mosca, perché il mercato russo è molto più importante per le esportazioni di imprese italiane e tedesche che per quelle di qualunque altro Paese europeo.
L’amministrazione americana è preoccupata soprattutto per la riluttanza della Germania, che con la sua forza economica e il suo peso in Europa potrebbe rendere più evidenti gli attriti tra le due sponde dell’Atlantico. L’influenza dell’Italia è limitata e nonostante la russofilia dimostrata dal centrodestra – Salvini non ha mai nascosto la sua ammirazione per Putin, Berlusconi lo ritiene un amico personale – il presidente del Consiglio Mario Draghi si mantiene su posizioni atlantiste. Per ora il governo italiano non si oppone a possibili sanzioni contro Mosca, e ha anche chiesto formalmente agli amministratori delegati delle sue maggiori aziende di non partecipare a un incontro virtuale in programma con il presidente russo. Ma mentre alcune compagnie come Eni e Snam hanno accettato la proposta di Draghi, altre, come Enel, hanno deciso di presenziare comunque. E poi, quel tradizionale disinteresse per le questioni estere è stato accentuato dal lungo iter che ha portato all’elezione del nuovo – vecchio – presidente della Repubblica, che ha catalizzato l’intera attenzione del mondo politico italiano. Uno sguardo fuori dai nostri confini avrebbe rallentato ancora di più una situazione già in stallo.
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