Da settimane ormai soffiano venti di guerra sulla comunità internazionale: la crisi che persevera sul confine tra Russia e Ucraina sembra lontana dal risolversi e alterna momenti di calma e negoziati ad altri caratterizzati da escalation pericolose. Secondo fonti dell’intelligence americana, vi sarebbe stato un certo allarme per quanto riguarda un’imminente invasione russa nei territori ucraini, ma è delle ultime ore una volontà della Russia di percorrere la via del negoziato.
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Un ruolo importante è interpretato dalla Nato: l’operato dell’alleanza militare occidentale dovrebbe rappresentare uno dei maggiori deterrenti a un intervento armato russo. In questa sede, in particolare, effettueremo una panoramica sul fronte europeo Nato.
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Per iniziare l’analisi del fronte europeo Nato, partiamo dall’asse Parigi-Berlino. La parola d’ordine per Emmanuel Macron e Olaf Scholz è quella del negoziato continuo: i due leader, in un incontro di qualche settimana fa, hanno ribadito che non smetteranno mai di cercare di dialogare con il Cremlino. D’altro canto, essi hanno dichiarato all’unisono che, in caso di invasione armata in Ucraina, la Russia andrebbe a pagare un prezzo altissimo.
Sia Francia che Germania concordano sull’evitare di lanciare ulteriori sanzioni verso la Russia: infatti, Scholz aveva dichiarato in passato che i Paesi avrebbero dovuto tenere in considerazione il costo che avrebbero generato altre sanzioni verso Mosca sulle economie nazionali. La stessa Germania, per esempio, è un’importante importatore di gas naturale russo e un aggiuntivo regime sanzionatorio potrebbe andare ad attaccare in maniera piuttosto pesante l’economia tedesca. Anche il leader francese si è espresso sulla questione sanzioni, dichiarando che esse non rappresentano un sistema di deterrenza ottimale verso la Russia.
Non mancano tuttavia aree di disaccordo. Un punto sul quale Germania e Francia non concordano è quello che riguarda le esportazioni di armi. Parigi vorrebbe inviarne all’esercito ucraino un certo numero, mentre Berlino ha deciso di non inviarne alcuna verso Kiev.
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All’interno del fronte europeo Nato, l’Italia risulta essere il Paese più cauto insieme alla Germania di Scholz. Il governo di Mario Draghi si è appunto limitato a prese di posizioni convenzionali a favore della Nato e, inoltre, è rimasto piuttosto vago sulla possibilità di lanciare sanzioni economiche verso la Russia.
La cautela che trapela da Roma è figlia di alcuni fattori endogeni all’Esecutivo: in primo luogo, la divisione politica che caratterizza questo governo di unità nazionale porta a una certa paralisi nella risposta agli eventi esteri. In secondo luogo, la leadership di Draghi si sofferma soprattutto sulla politica economica del Paese, concentrandosi quindi sulla gestione dell’enorme quantità di soldi in arrivo da Bruxelles, e su alcune riforme interne, mettendo in secondo piano gli sforzi sulla politica estera.
Va inoltre ricordato che da alcuni anni il governo italiano ha ottimi rapporti con il Cremlino: anzi, già in occasione di altre crisi internazionali, come durante quella in Crimea del 2014, l’Italia si era dimostrata uno dei Paesi più cauti e restii ad applicare sanzioni verso Mosca.
Un altro elemento che ci riconduce alla stasi italiana in questa grave crisi internazionale è la vicinanza di alcuni importanti partiti al modello ideologico di Putin. Non è certo una novità che formazioni come Fratelli d’Italia e la Lega derivino da una matrice fortemente sovranista di stampo russo.
Sul fronte economico-strategico va riportato che l’economia italiana è piuttosto esposta in Russia: non soltanto perché, come il resto dell’Europa, l’Italia dipende per buona parte dal gas russo per il suo fabbisogno energetico, ma anche perché molte grandi aziende nostrane hanno stabilimenti in loco e di conseguenza significativi interessi nel Paese. Per il settore dell’imprenditoria italiano, evitare scontri con Mosca sembra quindi essere un must.
Il governo Draghi ha quindi posizioni più vicine alla Nato rispetto alle esperienze di governo più recenti, ma sembra impossibile per esso ignorare il passato più recente, e soprattutto ignorare l’esistenza di forze interne che si muovono verso il Cremlino.
All’interno del fronte Nato, la posizione più aggressiva e intraprendente sembra quella del Regno Unito. Il governo di Boris Johnson sembra infatti intenzionato a dare il maggior supporto militare possibile alla causa Nato. L’aiuto britannico potrebbe consistere nel dispiegamento di truppe in Estonia e nell’invio di armi sul fronte ucraino, oltre a jet e navi da guerra, includendo anche un maggior supporto aereo nell’area del Mar Nero.
L’azione del Regno Unito si declinerebbe anche sotto l’aspetto sanzionatorio: la Segretaria degli esteri Liz Truss ha infatti dichiarato di recente che il governo britannico è pronto a lanciare sanzioni di natura economico-finanziaria che andrebbero a colpire, in particolare, un gruppo di oligarchi russi vicini al Cremlino.
Un fronte unito?
La crisi alle porte dei confini ucraini è stata, ed è tutt’ora, uno stress test importante per una risposta comune. Non solo della Nato in generale, ma soprattutto dei Paesi europei, e in particolare dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Arrivare a una linea comune nell’ambito della politica estera si è rivelata nel corso degli anni una questione piuttosto spinosa. Il mancato accordo tra i Paesi membri ha portato spesso a risposte tardive e inefficaci, che hanno mostrato tutte le incertezze del percorso di integrazione, che sul piano estero si sono manifestate molto spesso.
La crisi attuale potrebbe rappresentare invece una risposta in controtendenza rispetto al passato e creare un piacevole precedente che potrebbe tornare utile in futuro. Dare una prova di maturità adesso risulterebbe come uno “svezzamento” dagli Stati Uniti, e non farebbe altro che rafforzare la posizione di Bruxelles in un futuro dove la leadership mondiale americana potrebbe risultare più incerta.
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