«Non preoccupatevi, è una situazione che si risolverà presto, Putin sa quello che fa», ci ha detto nostro zio Roma, da Mosca, quando la mia famiglia, ucraina, lo ha chiamato dopo che le prime bombe sono cadute sul nostro Paese, anche un po’ per chiedergli spiegazioni. Estati intere passate da Roma e la sua famiglia in Ucraina, nella mia città, senza percepire nessuna differenza nemmeno culturale, disintegrata dalla sua frase per cui siamo «dei nazifascisti che stanno per essere liberati, andrà tutto bene». Ma le bombe cadono, e seppur Putin sia considerato ormai come l’Orlando di Ariosto a livello globale e si assumerà la responsabilità a livello storico della sua follia, un po’ di polvere da sparo nei suoi cannoni l’ha messa anche mio zio Roma.
Nell’opinione pubblica mondiale, oggi è il settimo giorno dell’invasione russa in Ucraina. Che tuttavia è cominciata nel 2014. Anche allora, i mass media occidentali guardarono con paura l’inizio di una guerra in Europa con l’annessione della Crimea e l’occupazione informale del Donbass da parte dei russi. Tutto venne però presto dimenticato e la Russia riuscì a congelare il conflitto tramite gli accordi della capitale bielorussa Minsk del 2015, che peraltro lo scorso lunedì sono stati bruciati con il primo dei folli discorsi di Vladimir Putin in questa settimana. L’assurdità di quegli accordi è ancora più evidente ora che lo stato vassallo di Lukashenko, in cui essi si tenevano, si è dimostrato essere l’altro invasore.
Nella giornata di lunedì, forse perché gli ucraini hanno il vizio di essere sempre troppo fiduciosi del prossimo, si è tornati in Bielorussia. Le delegazioni russe e ucraine si sono incontrate per dei colloqui che Volodymyr Zelensky ha definito «asimmetrici ma su cui vale comunque la pena provare»: un vertice mafioso avrebbe avuto condizioni più eque. Mentre Lukashenko ha giurato ieri a al presidente ucraino che durante le trattative «nessun missile o soldato bielorusso sarebbe entrato in Ucraina durante le negoziazioni», i Grad russi non hanno mai smesso di colpire le città e i civili di Kharkiv e Chernihiv. Questo non può che aumentare la sfiducia negli accordi e sul rispetto di essi.
Secondo le informazioni della Sbu (i servizi segreti ucraini) e dell’intelligence americana (sbeffeggiata per settimane in Russia e Occidente perché colpevole di «fomentare la paranoia su normalissime esercitazioni dei soldati russi al confine»), le forze di invasione russa si aspettavano di conquistare Kiev, Kharkiv e Kherson in soli due giorni e arrivare al Parlamento ucraino. Nessuna di queste conquiste si è tramutata in realtà e sono già tantissime le perdite da entrambe le parti (forse più di cinquemila tra l’esercito russo) e tra i civili (circa cento secondo l’ONU e trecentocinquanta secondo Kiev), che stanno vedendo distruggersi tutta la vita che avevano costruito con fatica nelle loro città. Il fallimento del blitzkreig russo potrebbe aver reso del tutto isterico il dittatore russo, che domenica a pranzo ha ordinato la messa in allerta dei sistemi di deterrenza nucleare, scatenando il panico globale.
Putin non si aspettava una difesa a oltranza né da parte dell’esercito ucraino né da parte della popolazione, che ovunque si è mobilizzata con coraggio, operando come una resistenza partigiana. Decine di migliaia di volontari sono pronti a difendere con le armi Kiev, in ogni città ci si prepara ad accogliere gli occupanti con le bombe molotov, cittadini disarmati scendono in strada cacciando l’esercito russo che aveva occupato la città di Berdyansk sul mare d’Azov, altri video di persone comuni riprendono alcuni soldati russi che vengono costretti a fermarsi o a tornare indietro.
In spregio della devastazione e della paura che Putin vuole instaurare su un territorio il cui popolo, nella sua idea genocida, non esiste, il presidente ucraino Zelensky sembra per adesso vincere la guerra psicologica. È rimasto a Kiev, ha unificato pressoché del tutto la popolazione contro l’invasore e si rivolge di continuo ai cittadini russi che sono contro la guerra e alle madri dei soldati che hanno invaso l’Ucraina. Ha organizzato una linea verde per le chiamate dalla Russia per far tornare i soldati – vivi o morti – alle loro famiglie, e invoca che quelli rimasti sul suolo ucraino depongano le armi e non rispondano agli ordini criminali dei generali del Cremlino.
Forte dell’unione – almeno apparente – di ormai tutti i Paesi occidentali (e non), alza sempre più il tiro firmando la richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, il sogno di decine di milioni di ucraini che chiedono e lottano per l’adesione da quasi vent’anni, sempre di più anche nelle regione dell’Est. Dopo la confusione di giovedì mattina e le sanzioni piuttosto morbide, le piazze di tutto il mondo e le pressioni diplomatiche del governo ucraino hanno portato all’isolamento economico e politico della Russia dall’Occidente. Se Putin aveva previsto nel suo folle piano la presenza di forti sanzioni e mobilitazione dell’opinione pubblica, di certo non si aspettava che queste avrebbero spinto in così breve tempo il Paese sull’orlo del baratro economico, rendendolo l’equivalente di uno Stato canaglia.
Circa un decennio di lavoro dei portavoce della propaganda russa in Europa si è sgretolato nel giro di pochi giorni. Leader sovranisti che fino al mese prima posavano al Cremlino sono stati costretti a rinnegare il loro più recente passato. Scoperchiando il vaso di Pandora della propaganda russa, si è scoperto ciò che gli ucraini dicevano da otto anni. I russi vivono fuori dal mondo in un contesto in cui ogni opposizione è sedata sul nascere.
Tra l’altro, anche una sacca di opinione pubblica occidentale è stata vittima per via diretta o indiretta dei canali informativi del Cremlino secondo una matrice comune di disinformazione portata avanti negli anni dall’Inter Research Agency, conosciuta come la “fabbrica di troll russi”:
centinaia di migliaia di persone solo in Italia che hanno forti e infondate posizioni complottiste in tutte le sfere e sfiducia nell’informazione mainstream propagano sui social contenuti di estremo cinismo e ritorsione verso le tragedie, siano esse quelle ucraine di questi giorni o quelle mondiali che in tempi di pace sono all’ordine del giorno nei media, supportati da narrative altrettanto tendenziose se non apertamente negazioniste.
Se nei Paesi occidentali questa è stata una componente minoritaria ma comunque rumorosa dell’opinione pubblica, in Russia la dottrina dell’Ira è portata agli estremi livelli e ha una profonda penetrazione nella popolazione. Difficile fare dei numeri ora, ma la maggioranza dei russi sostiene che questa sia una guerra giusta e appoggia in modo incondizionato persino la minaccia nucleare, convinta che tutta la situazione sia causata da una russofobia occidentale.
I concittadini che denunciano anche solo l’insensatezza della guerra, fortunati nel possedere una diversificazione dei canali informativi e l’accesso ai media liberi, sono arrestati e accusati dalla maggioranza di essere al soldo degli agenti segreti occidentali. Persino l’oscuramento di quasi tutti i principali social network occidentali (gli altri vengono filtrati per eliminare le notizie non conformi alla narrazione del Cremlino) riceve il plauso della popolazione poiché in tempi di guerra “girano troppe fake news”. Insomma, c’è poco da girarci attorno, la tv russa tratta i propri cittadini come idioti.
Ria Novosti, il principale organo di stampa russo, ha dimenticato di fermare la pubblicazione programmata di un articolo dai termini agghiaccianti. «Un nuovo mondo sta nascendo davanti ai nostri occhi. L’operazione militare russa in Ucraina ha inaugurato una nuova era» scrive il propagandista russo Akopov, salvo poi essere eliminato appena il Cremlino si è reso che conto che non sarebbe riuscita entrare a Kiev entro sabato.
Tuttavia, è questo il pensiero che prevale nella popolazione, e, purtroppo, le forti sanzioni che ne cambieranno la vita non fanno altro che rafforzare la percezione di accerchiamento e senso di rivalsa dei russi su un resto del mondo percepito come ostile. La vittima perfetta della propaganda putiniana riproduce lo stesso tipo di comportamento dell’uomo occidentale che vede a ogni angolo eterofobia e razzismo al contrario e deve agire per impedire che i suoi nemici – immaginari ma reali nella sua testa – possano causarne la capitolazione.
Zio Roma, da Mosca, avrà la scomodità di non poter fare transazioni con la propria carta di credito, mentre mio cugino Edik è con un anti-carro in mano a difendere Chernigov sotto i missili bielorussi. Tra l’altro, Edik è di famiglia russa e la sua famiglia ha lavorato prima per il Partito Comunista e poi per il partito di Yanukovich, il presidente ucraino che nel 2014 è scappato a Rostov dopo che la piazza del Maidan lo aveva esautorato: aveva ordinato ai cecchini sui tetti dei palazzi di Kiev di sparare sui manifestanti, il suo popolo. Sui canali della propaganda russa, forse sentirete che è stato «un colpo di Stato finanziato da Usa e Ue, mentre i cecchini ancora non abbiamo capito chi fossero. Americani? Forse». Queste le testuali parole di Putin nell’intervista al regista Oliver Stone, nel 2016.
A proposito di Stone, mercoledì sera la trasmissione Atlantide su La7 ha mandato in onda la sua intervista al dittatore pochissime ore prima che Putin desse il comando di far partire le prime decine di missili sull’Ucraina. Più volte Purgatori ha dovuto, nelle pause, puntualizzare di prendere con le pinze questa intervista poiché era preparata, parlava solo Putin e non c’era contraddittorio da parte di Stone, che anzi ha formulato le proprie domande in maniera tendenziosa per far giungere Putin sempre al punto del discorso a cui questi voleva arrivare.
Ecco, si è sempre lodato – specie in ambienti di sinistra – la presenza di informazione occidentale anti-americana e multipolare, che mostrasse l’altra faccia della medaglia soprattutto in complesse vicende geopolitiche che abbiamo sempre visto dalla nostra sponda privilegiata, e, nel frattempo, in questi lunghi decenni di pace (percepita) abbiamo sempre più cominciato a sentirci “anti-americani” e “anti-Nato” perché eravamo e siamo “anti-guerra”.
Tuttavia, Stone dopo pochi anni ha firmato con Putin anche Capire l’Ucraina, un documentario di due ore in cui riproduceva la visione di Putin sull’Ucraina e “intervistato” Medvedchuk, l’oligarca ucraino che Putin voleva come fantoccio durante l’invasione di questi giorni che, però, vedendo le cose mettersi male è scappato dagli arresti domiciliari nella sua villa di Kiev sabato ed è oggi disperso. Questo documentario è stato trasmesso dalla tv russa nei giorni dell’invasione e, purtroppo, non sono riuscito a vederlo tutto perché già soffrivo per il mio Paese: una tale messinscena mi avrebbe logorato ancor di più.
Il solo esempio di Stone, percepito in Occidente come un giornalista anti-sistema autorevole, rende lampante come il Cremlino negli anni abbia finanziato, in modo diretto e non, un sistema di disinformazione globale che è servito a spaccare l’opinione pubblica occidentale (soprattutto quella lontana dalla ex cortina di ferro e quindi dalla consapevolezza dei pericoli russi) e a servire i propri interessi. Putin aveva in Occidente decine di milioni di sostenitori fino a mercoledì scorso. Li ha messi in imbarazzo: ora devono dosare bene le parole, ma non per questo smetteranno di propagare gli interessi del Cremlino.
Per quanto riguarda l’Ucraina, temi complessi e marginali sono stati ingigantiti sia da complottisti che da utili idioti come Salvini, Le Pen e Melanchon, oltre che dalla sinistra extra-parlamentare. Semplici e intuitive cartine sull’allargamento della Nato degli ultimi trent’anni legittimavano l’aggressività di Putin verso i suoi vicini. Peraltro, tutti i Paesi coinvolti stanno in questi giorni festeggiando per la seconda volta di aver preso la legittima scelta di essere entrati nell’alleanza difensiva nei primi anni del 2000: chiamare qualsiasi amico est europeo per credere.
Negli scorsi giorni, Putin ha chiamato gli ucraini «drogati e neonazisti», le cui uniche tesi a suffragio sono due battaglioni di ideologia di estrema destra di poche centinaia di soldati e una raffinata opera di revisionismo storico su fatti risalenti alla seconda guerra Mondiale. Sulla televisione russa, però, gli ucraini sono stati visti per otto anni come potenziali aggressori e furiosi contro chiunque parlasse in russo. Una narrazione del tutto lontana dalla realtà, portata avanti in Italia da paginette di comunisti rizziani e rilanciata dai complottisti (classica frase che vedi sui sociali: «Vai a vedere come gli ucraini bombardano il Donbass da otto anni ormai»).
La verità è che il pericolo dell’Ucraina per la Russia proveniva molto più dall’Ue che dalla Nato. Per evitare isterie e paranoie nel secondo caso sarebbe bastato non ospitare missili balistici sul suolo ucraino, invece l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue avrebbe comportato la presenza troppo ingombrante e vicina di un modello di vita alternativo (e migliore, non ci sono più dubbi, nonostante ciò che i sovranisti nostrani ci hanno raccontato per anni con le loro favolette) da parte di un popolo che aveva stretti contatti quotidiani con quello russo, un modello che non doveva assolutamente vedere.
C’è un efficace e breve proverbio russo: Ни себе, ни людям. «Né a sé stessi, né agli altri». Putin, nell’impedire il riversarsi di idee e valori occidentali in Russia, ha dovuto in ogni modo – da vent’anni – fare sì che essi non sfociassero nemmeno in Ucraina. Non abituato a vedersi respinto, ha dovuto mandare a morire il suo popolo per uccidere il mio, che nelle ultime settimane tratta ormai con terminologie da genocidio etnico.
La sua operazione, tuttavia, ha fortificato l’unità dell’Ucraina nonostante tutte le sue differenze etniche e linguistiche. Provocherà, però, la devastazione di una guerra che nessuno vuole combattere, se non chi è costretto a difendere la propria città dalla distruzione e dall’odio, oltre al collasso economico e politico del suo Stato, non pronto per una transizione democratica. In Ucraina ha già causato un dramma generazionale nel 2014 costringendo una popolazione ad armarsi ed essere costantemente allarmata da una possibile invasione ulteriore, e ora la costringe a sopportare la morte, la distruzione delle proprie case, a rifugiarsi nel nazionalismo per non morire (e sarà difficile uscirne lucidi) e a organizzare un processo di ricostruzione del Paese che già dopo una settimana di guerra può assumere proporzioni gigantesche.
Ma, soprattutto, Putin ha rotto milioni di legami di amicizia tra i due popoli, ha ucciso persone che senza le sue idee folli ora farebbero tutt’altro nella vita, segnando col ricordo della guerra una terra martoriata da secoli da disastri e carestie che, però, è sempre riuscita a riprendersi. Putin si è scavato la sua fossa: ma questa non sarà sul suolo ucraino, finché sarà libero.
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