La guerra è un evento devastante. Annienta popoli, famiglie, persone. Distrugge l’ambiente. Dilania sistemi economici interi. L’aggressione, ingiustificata e ingiustificabile, della Russia putiniana all’Ucraina non ha conseguenze prevedibili.
Il numero delle vittime civili e militari non si è ancora stabilizzato, perché gli attacchi e la resistenza continuano. Lo stesso si piò dire per la conta dei rifugiati, perché l’esodo dal Paese non si arresta. I danni ecologici sono una minaccia concreta, perché il territorio ucraino ospita quindici reattori nucleari. Gli scienziati parlano già di nubi tossiche alzatesi da Chernobyl dopo l’azione dei russi. Cosa succederà alla centrale di Zaporizhzhya, la più grande d’Europa con sei reattori e occupata il 4 marzo dalle truppe russe, è ancora un mistero. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha però espresso la sua preoccupazione rispetto alla condizione dell’infrastruttura. Ha sottolineato l’importanza di preservare l’integrità e la funzionalità di tutti gli impianti nucleari ucraini e la sicurezza di chi vi lavora e abita attorno.
Gli effetti economici delle bombe si fanno già sentire, perché borse e mercati internazionali sono instabili da giorni. Ma la magnitudo di queste scosse non è misurabile: troppe sono le variabili legate a un conflitto insensato. Un fatto è certo, ossia che non sarà l’Ucraina sola a pagare il prezzo della follia di Putin. Sarà la Russia, l’Europa, la regione mediterranea, il mondo.
In Italia, i problemi (per lo meno economici) cominciano a palesarsi. Secondo una recente indagine di Altroconsumo, il 93 per cento degli italiani è preoccupato perché teme che il conflitto generi una nuova crisi economica, dopo quella innescata dalla pandemia. A dar pensiero è soprattutto la prospettiva di un ulteriore aumento delle bollette e del carburante. Ma esiste un’altra voce del loro bilancio di cui gli Italiani dovrebbero preoccuparsi: la spesa alimentare. La guerra russo-ucraina sta avendo un peso notevole sul settore agroalimentare italiano.
A risentire della situazione saranno gli alimenti per la cui preparazione è necessario il grano.
L’Ucraina è infatti il terzo produttore di grano a livello globale. L’attuale guerra sul suo territorio trasforma i campi coltivati in campi di battaglia e gli agricoltori in miliziani, rovinando raccolti e commerci relativi, rendendo difficile reperire una materia prima essenziale per l’alimentazione di una buona parte della popolazione mondiale e mettendo in difficoltà quei Paesi che non possono contare su una filiera interna ben organizzata.
L’Italia, che pure per tradizione culinaria è fortemente dipendente dal grano, non ne coltiva abbastanza per il fabbisogno interno. È costretta a importarlo. In particolare, dai dati Ismea emerge che a entrare dall’estero è circa il 40 per cento del grano duro e il 65 per cento del grano tenero. Sempre Ismea ha calcolato che il conflitto russo-ucraino mette in pericolo circa un quinto dell’importazione nazionale del cereale.
È doveroso a questo punto fare una precisazione. La situazione è complicata soprattutto per il grano tenero. Quello duro, che serve per produrre pasta, arriva in Italia da Kazakistan e Canada. L’altro invece, ingrediente indispensabile per pane e dolci, viene proprio dall’Ucraina. E in quantità non trascurabile: il 20 per cento.
Guerra significa allora difficoltà, o forse impossibilità, di approvvigionamenti. Coldiretti afferma che le scorte di grano basteranno all’Italia per i prossimi due mesi, fino a Pasqua. La crisi all’orizzonte potrebbe aggravarsi in modo ulteriore perché il 30 per cento delle imprese, attraverso tutti i settori del comparto agroalimentare, sta programmando di ridurre la produzione a causa dell’aumento dei costi di materie prime ed energia.
I rincari hanno colpito anche i cereali. La guerra li rende una merce rara, e quindi preziosa. La speculazione degli operatori finanziari legata a questa scarsità ha contribuito a farne lievitare i prezzi, insieme ad altri due fattori strutturali: i già citati costi energetici di produzione e i costi dei fertilizzanti. La sostituzione del mercato ucraino è una soluzione che funziona solo in minima parte. Le alternative, Stati Uniti e Australia, vendono infatti i loro raccolti a prezzi superiori a quelli richiesti da un’Ucraina in pace.
Coldiretti insiste però nel precisare che il costo del grano incide in parte minima sul costo del pane: un chilo di grano pagato 31 centesimi al produttore produce un chilo di pane venduto a tre o quattro euro al consumatore. Il prezzo del cereale ha un peso del 10 per cento sul prodotto finale. Quindi, sono prima di tutto gas e fitofarmaci a pesare nelle tasche dei consumatori. La penuria della materia prima è un plus in una situazione non facile.
Nonostante ciò, Coldiretti e altre associazioni di produttori e consumatori si dicono allerta rispetto alla situazione del grano ucraino. Sono tutte concordi che il pane si pagherà di più. Federconsumatori stima un rialzo del 30 per cento.
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Del grano tenero che dall’Ucraina viaggia in Italia, solo una minima parte è destinata all’industria alimentare. La maggior parte finisce nel comparto zootecnico, impiegato per la produzione di mangimi per gli allevamenti da stalla e da latte.
Dallo stesso Paese arrivano anche altre materie prime necessarie a sfamare il bestiame, quali piselli, polpa di barbabietola e farina di girasole. Se per il grano tenero è possibile cercare mercati d’origine sostitutivi con una relativa facilità, non è lo stesso per gli ingredienti secondari dei mangimi: l’Ucraina è specializzata nella loro produzione. A complicare il quadro, si aggiungono le importazioni di soia e mais, di nuovo due materie fondamentali per l’alimentazione animale. In particolare, dallo Stato est-europeo giunge nei nostri allevamenti il 20 per cento del granoturco: una percentuale fondamentale.
La guerra in Ucraina, quindi, rappresenta un duro colpo anche per gli allevatori italiani, già provati dagli aumenti dei costi dell’energia. Coldiretti interviene anche in questo caso per delineare meglio una situazione in cui si profila una discrasia tra produzione e consumo potenzialmente letale per un intero settore. Da una parte, infatti, la minore fornitura e il contestuale innalzamento dei prezzi degli ingredienti per i mangimi zootecnici significano che gli allevatori sono costretti a pagare di più il cibo per i loro animali. Dall’altra, i loro compensi sono fermi perché i contratti ai quali sono sottoposti non sono aggiornati dalle istituzioni competenti. Significa che il latte, ad esempio, è prodotto a 46 centesimi al litro, ma è pagato 38 centesimi a molti allevatori. Per molti, non è una condizione a lungo sostenibile. La guerra potrebbe essere il colpo di grazia.
A rendere ancora più difficile l’accesso alle materie prime ucraine sono i problemi logistici, soprattutto quelli legati ai trasporti via mare.
La guerra blocca le attività delle infrastrutture che non sono essenziali per gli scontri. È quanto successo per il porto di Odessa, uno degli scali principali dai quali partivano e transitavano i cargo carichi di cereali, e in altri porti del Mar Nero. Nei giorni scorsi sono stati colpiti da missili e/o mine due cargo proprio in quelle acque. Ancora, la guerra rende rischioso il transito per le aree che coinvolge. Così, i container faticano a navigare il Mar d’Azov, da cui passa il grano proveniente dal Kazakistan. E in questo caso non è solo il grano tenero, quindi pane e dolci, a risentire della situazione in modo negativo. Il Kazakistan è infatti uno dei principali fornitori di grano duro all’Italia. Gli ostacoli alla sua importazione si ripercuotono sui prezzi della pasta: Federconsumatori calcola un rialzo del suo costo pari a circa il 10 per cento.
La guerra spinge poi alla precauzione. Il 2 marzo scorso, il Comitato interministeriale per la Sicurezza dei Trasporti marittimi ha stabilito che le navi di bandiera italiana non possono transitare in acque russe. La decisione è arrivata a seguito di una riunione con la Capitaneria di porto. Le due autorità hanno convenuto di alzare il livello di allerta per la situazione nei mari russi al massimo. Il giorno prima la Msc, il primo operatore container al mondo, aveva rinunciato al trasporto merci da e per la Russia. Unica eccezione, i beni di prima necessità: cibo, attrezzature mediche e aiuti umanitari. Nei giorni successivi, hanno optato per la stessa soluzione anche altre compagnie di navigazione che effettuano trasporto merci.
E in questo caso, non è solo la produzione dipendente dal grano tenero a soffrire della situazione. I pastai denunciano scorte di grano ancora per poche settimane. Poi, prenderanno in considerazione la chiusura di impianti per mancanza di approvvigionamenti dall’estero. Alcuni stabilimenti sono già rimasti chiusi a febbraio, perché lo sciopero degli autotrasportatori li ha privati della materia prima. Come il resto del settore agroalimentare, anche i produttori di pasta solo colpiti dai rincari dell’energia e dalle conseguenze connesse. Quelli riuniti in Unione Italiana Food dichiarano che è a rischio un intero settore, composto da centoventi aziende e oltre diecimila lavoratori.
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Diversi sono i commenti e le proposte avanzate in questi giorni dalle associazioni di categoria legate al mondo agroalimentare. Tutte si rivolgono alle istituzioni.
Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, sostiene però che «nessuna impresa può reggere l’aumento dei costi già acquisito e l’ulteriore corsa verso l’alto che potrebbe scattare nelle prossime settimane, se non ripartiranno rapidamente le trattative diplomatiche per la soluzione della crisi». E rincara la dose: «Noi abbiamo tutto il sistema delle nostre produzioni prossimo al collasso economico». Oltre alla richiesta di un immediato cessate il fuoco, Confagricoltura invoca aiuti da parte del governo italiano e dall’Unione Europea. L’auspicio è quello di soluzioni che possano calmierare almeno i prezzi dell’energia.
Più d’impatto è forse il presidente Coldiretti Ettore Prandini. Chiede che il governo riveda i contratti e la fiscalità legati al mondo agricolo, in particolare per aumentare i compensi dei produttori e la superficie dei campi nazionali. Lo scopo ultimo è l’autosufficienza alimentare dell’Italia, ormai diventata «una questione di sicurezza nazionale».
Di strategicità delle filiere alimentari italiane parla anche Renzo Piraccini, presidente di Macfrut (la principale fiera ortofrutticola della penisola). Come per Prandini, anche per Piraccini bisogna assicurare l’autonomia del settore agroalimentare attraverso investimenti e politiche attente. Il rischio è quello di non poter affrontare emergenze quali il conflitto in Ucraina.
Il clima non è sereno. Gli interrogativi sul futuro sono molteplici, perché il conflitto ancora dura e i suoi contorni cambiano costantemente. Esiste un’unica certezza: la guerra deve finire. Non solo prima che le tavole si svuotino, ma soprattutto prima che scompaiano le persone che del cibo su quelle tavole possano gioire. Qui o in Ucraina.
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