Se c’è una notizia che è stata fagocitata da quanto sta succedendo in Ucraina è quella che riguarda l’inchiesta Suisse Secrets. Un leak, una fuoriuscita di informazioni che ha aperto un filone d’inchiesta sui patrimoni investiti nella seconda banca più importante della Svizzera, Credit Suisse. Quello che emerge dallo scoop pubblicato il 20 febbraio dal consorzio giornalistico Occrp è una lista di più di trentamila correntisti, tra cui personaggi dalla dubbia morale che hanno scelto la banca svizzera per mettere al sicuro i proventi dei loro affari illeciti.
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Cos’è Suisse Secrets?
Suisse Secrets è un’inchiesta internazionale, frutto di un lavoro investigativo durato più di un anno da parte del consorzio giornalistico Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp). Il tutto nasce dalla soffiata di una fonte interna a Credit Suisse, la quale ha fornito al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung una lista di nomi e conti correnti. La talpa stessa, tramite un messaggio allegato ai documenti, spiega i motivi delle sue azioni.
« Credo che le leggi bancarie svizzere siano immorali. La pretesa di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere come collaboratori degli evasori fiscali. […] Questa situazione consente la corruzione e priva i Paesi in via di sviluppo di entrate fiscali indispensabili».
Centosessantatré giornalisti, provenienti da trentanove Paesi diversi, dopo un anno di indagini hanno confermato la veridicità delle prove ricevute. Le informazioni finanziarie sono da sempre materiale sensibile e, come puntualizza il consorzio stesso, non è un problema possedere un conto in una banca svizzera. A meno che sapere chi sia il proprietario di questi conti non rientri nella sfera dell’interesse pubblico. Non si tratta di guardare nelle tasche di politici, imprenditori o personaggi di spicco. Si tratta di capire se Credit Suisse abbia permesso a criminali di ogni specie di preservare le proprie ricchezze accumulate grazie a crimini e corruzioni.
Chi è coinvolto nell’inchiesta?
L’inchiesta prende in esame conti correnti aperti presso Credit Suisse a partire dalla fine dagli anni Quaranta fino al 2010. La maggior parte di questi conti sono stati aperti tra il 2007 e il 2008, mentre molti hanno chiuso nel 2014. Non è un caso, in quanto quell’anno coincide con l’introduzione delle nuove regole di trasparenza finanziaria in Svizzera.
Nonostante le informazioni dicano che i clienti coinvolti siano di centosessanta nazionalità diverse, i Paesi più grandi come Stati Uniti, Russia, Cina e Brasile sono poco rappresentati. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che molti clienti vivono in Stati che non hanno aderito al Common Reporting Standard (CRS). Il CRS è uno standard informativo per lo scambio di informazioni finanziarie tra banche e istituzioni statali estere, che ha lo scopo di combattere l’evasione fiscale.
Tra i nomi di quella lunga lista compare, per esempio, una spia dello Yemen accusata di torture. Oppure il capo di un cartello della droga serbo. Personaggi del governo venezuelano che avrebbero causato una crisi umanitaria interna, intascandosi i proventi derivati dal commercio del petrolio. E poi businessman di vario genere che, come in Nigeria o Zimbabwe, sono stati condannati per corruzione, nel tentativo di ottenere appalti per le proprie imprese.
Come dichiarato da un rappresentante anonimo della banca, i Paesi in via di sviluppo sono i principali mercati di riferimento di Credit Suisse. Paesi che pagano un caro prezzo per questi reati, visto che le proprie finanze finiscono in conti offshore e difficilmente potranno essere recuperate. Sul sito dell’Occrp è possibile consultare la lista, al momento parziale, delle personalità più in vista che erano, o sono tuttora, clienti di Credit Suisse.
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Suisse Secrets: i profitti prima di tutto
Durante le indagini, i giornalisti hanno sentito diversi dipendenti ed ex dipendenti di Credit Suisse. Visto l’argomento sensibile e il rischio di ritorsioni, nessuna di queste interviste è stata rilasciata on the record e non sono state presentate prove a supporto. Quello che emerge però dalle testimonianze è da una parte un sistema che contrappone una rigida osservazione della legge a protezione dei suoi clienti, in cui la privacy è un diritto invalicabile, ma in cui, dall’altra, la fedina penale dei potenziali clienti non è richiesta per aprire un conto bancario.
I dirigenti avrebbero spinto i propri impiegati ad aprire dei conti correnti a rischio, sapendo di poter aumentare i profitti e chiedere interessi più elevati. Addirittura, i bonus erano legati agli introiti netti che i dipendenti riuscivano a portare nelle casse della banca.
In molti casi, le stesse alte sfere si prendevano l’impegno di gestire i patrimoni dei clienti più facoltosi. Secondo un ex dirigente di Credit Suisse «la banca incentiva l’impiegato a guardar dall’altra parte se sa che un conto è tossico. Se un conto tossico viene chiuso, soprattutto se questo supera i venti milioni di dollari, l’impiegato si ritrova in un buco profondo. Un buco profondo da dove è quasi impossibile uscire».
Suisse Secrets: la cultura della segretezza
Questo scandalo è l’ultimo di una serie di casi che hanno colpito le banche svizzere dagli anni Cinquanta in poi. Per questo, negli ultimi vent’anni il governo elvetico ha approvato delle leggi a favore di una maggiore trasparenza degli istituti bancari. Misure che, ancora una volta, non risultano all’altezza della “cultura della segretezza” e delle leggi bancarie svizzere, le quali prediligono la privacy dei patrimoni e dei loro possessori. Per non parlare dell’inchiesta stessa, condotta da giornalisti da tutto il mondo, ma non svizzeri. Nello stato elvetico, infatti, violare il segreto bancario è reato, la cui pena è il carcere fino a tre anni.
Il segreto finanziario è così radicato da impedire a Credit Suisse di ribadire in modo deciso alle accuse. Nella replica dell’istituto di credito svizzero si può leggere infatti: «Come tutte le banche, Credit Suisse ha un rigoroso obbligo di riservatezza e cura nei confronti dei suoi clienti. […] Sebbene non sia possibile una confutazione pubblica dettagliata di queste accuse, possiamo confermare che sono state adeguatamente registrate e, se del caso, esaminate».