Libri e social network: idillio o relazione complicata?

La canzone di Achille di Madeline Miller (Marsilio)

Chi segue le vicende editoriali potrebbe aver notato che nelle classifiche di vendita non ci sono più soltanto le nuove uscite o gli instant book. Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, libri pubblicati ormai qualche anno fa rientrano in classifica, ricoprendo anche le posizioni più alte. Una vita come tante di Hanya Yanagihara (2015) e La canzone di Achille di Madeline Miller (2011) sono soltanto i casi più eclatanti. Dietro questo sistematico ritorno di fiamma non ci sono complotti o forze occulte, ma la potenza dei social. I libri e i social network intrattengono una relazione curiosa, per comprendere la quale è necessario fare prima un passo indietro.

Community

Se c’è una parola che riassume al meglio gli ultimi vent’anni di internet quella è comunità, o, ancora meglio, community. Il web delle origini era infatti un luogo selvaggio in cui si navigava e ci si scontrava al largo con altri utenti casuali. Oggi, invece, internet possiede una struttura sociale molto più definita. Mentre il web va navigato, i social network sembrano rive e porti sicuri. Approdando sulle varie piattaforme (YouTube, Twitch, Instagram, TikTok) l’utente si inserisce in specifiche comunità riunite attorno a uno o più temi. All’ombra di queste comunità tramonta il mito dell’internet caratterizzato da un rapporto orizzontale e democratico fra gli utenti. La relazione che quest’ultimi intrattengono sulle piattaforme appena citate è soprattutto verticale: in alto i creator e in basso i fruitori. Quest’ultimi possono tutt’al più commentare e interagire in maniera basilare.

Alcune di queste comunità sono in effetti gigantesche, tanto che, nell’immaginario collettivo finiscono per connotare per intero la piattaforma che le ospita. Secondo questa logica TikTok sarebbe soltanto un social per i balletti, Instagram dominato da fashion influencer e YouTube la terra esclusiva dei videogiocatori. È evidente che una lettura del genere sia superficiale. L’ossatura centrale di tutte queste piattaforme è infatti costituita da una serie di comunità più o meno di nicchia, ma, nonostante ciò, solide e partecipate. Fra queste, le community riunitesi negli anni attorno ai libri hanno conquistato un’identità così forte da ottenere nomi specifici come Booktube, Bookgram o Booktok.

Da Booktube a Booktok

Una vita come tante di Hanya Yanagihara (Sellerio).

L’esistenza di molteplici piattaforme comporta che online la community del libro non sia un’entità monolitica, ma che parli linguaggi diversi. I video su YouTube, ad esempio, sono adatti a riflessioni piuttosto articolate e ragionate, mentre TikTok impone una comunicazione immediata anche ai discorsi sui libri. La rapidità, però, costringe a lasciare fuori qualcosa, e l’elemento che viene tagliato è quasi sempre il pensiero critico o riflessivo. TikTok necessita di messaggi che siano al cento per cento emozionali.

Questo non è per forza un male. Certo, escludere per intero la razionalità da un discorso è sempre un pericolo. Tuttavia, sembra quasi che l’opinione pubblica provi una specie di venerazione nei confronti dell’argomentazione razionale, sempre a discapito della componente emotiva. Siamo ancora, per certi versi, alla distinzione platonica fra pensiero e passione, tra testa e pancia. La pancia subisce ancora un certo pregiudizio. “Parlare alla pancia del Paese” ad esempio, è qualcosa di deprecabile, così come “prendere decisioni di pancia”.

Libri e social network: il linguaggio emozionale

Ma ci sono contesti che ineriscono per loro natura al campo passionale ed emotivo. Fra questi c’è anche la letteratura, o quanto meno un certo tipo di discorso intorno ai libri. I romanzi sono arte, non scienza. Per quanto esisterà sempre uno spazio per la critica letteraria, la letteratura conserva una componente emozionale comunicabile soltanto in maniera semplice e diretta.

Allo stesso tempo, se si tiene conto che tutti i social network si fondano su un linguaggio amichevole e affettivo (amici, mi piace, cuoricini e pollici in su), è naturale che su una piattaforma come TikTok si possa parlare di libri soltanto come se ne parla agli amici.

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Da questo punto di vista Booktok non è altro che un’enorme versione digitale del passaparola. Come ha scritto Cristiano Saccoccia su un articolo per Singola: «Un video dove si piange per un libro ha un forte impatto emotivo e soprattutto crea legami empatici con gli spettatori». Riprendendosi mentre piangono o creando meme sulla storia che hanno letto, i creators comunicano che quel libro li ha fatti piangere o che li ha appassionati. Lo fanno con i narcisistici mezzi che il social mette loro a disposizione, ma contribuiscono comunque a creare un consiglio di lettura di massa.

Da questo punto di vista la data in cui è stato pubblicato il libro è ininfluente. I titoli che diventano successi sui social network obbediscono a meccaniche lontane dalle logiche editoriali, anche quelle più basilari come il puntare sulle ultime uscite. La comunicazione in merito ai libri sui social assomiglia molto di più al processo per il quale alcune opere diventano classici: perché dentro ci sono emozioni universali e universalmente veicolabili.

Atti di persuasione

A dirla tutta, anche la comunicazione dell’editoria classica, fuori dagli smartphone, ha spesso funzionato in questo modo. Strilli, fascette, recensioni e vetrine giocano da sempre allo stesso gioco, ma con la pretesa di legittimare il consiglio con una qualche forma di razionalità. Tuttavia, di rado promozione e critica sono in grado di influenzare un acquisto soltanto in forza degli argomenti proposti. Si tratta pur sempre di atti di persuasione. Nel campo delle tecniche di persuasione, nello specifico applicate alla pubblicità, esiste un concetto che potrebbe prendere il nome di “triangolo retorico”. Quest’ultimo ha come vertici il logos, ovvero l’argomentazione razionale, il pathos, ovvero il richiamo al desiderio e all’emozione e l’ethos, il quale fa riferimento all’etica e alla credibilità.

La critica

Nel contesto della critica, ad esempio, il lettore non si lascia convincere da argomentazioni logiche, ma dall’autorevolezza del recensore; dalla sua capacità persuasiva; o perché intuisce un qualcosa che lo incuriosisce a livello intellettuale. Sono elementi che non hanno nulla di oggettivo, ma fanno riferimento a ciò che l’opera consigliata (o colui che la consiglia) rappresentano per la società. Un fenomeno simile a come funzionano oggi i social network, anche in merito ai libri.

Il fatto che i libri di Yanagihara e Miller siano stati rilanciati dalla condivisione di esternazioni sentimentali o sentimentalistiche non significa infatti che questa logica di promozione sui social network sia l’unica possibile. È emblematico il caso de La sottile arte di fare quello che c***o di pare del blogger statunitense Mark Manson. Già alla sua uscita nel 2016 il saggio dai toni ironici e umoristici aveva riscosso un discreto successo non solo in patria, ma anche in Italia. Non senza una certa dose di schiettezza il libro si poneva come il manuale di anti-selfhelp dispensando una serie di consigli pratici e contestualizzati su come alleggerirsi la vita.

Ma, per quanto potesse essere un libro ben scritto ed efficace, come era entrato in classifica così ne era uscito. Questo fino allo scorso dicembre, quando è bastata una storia Instagram in cui il rapper e influencer Fedez lo consiglia a chi ha «un po’ di ansietta» per rilanciarlo in cima alle classifiche. Sebbene Fedez non sia un critico letterario, né aspiri a esserlo, ciò che è avvenuto non è altro che un atto persuasivo basato sull’ethos, del tutto accomunabile a quello praticato dai critici letterari.

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Il marketing

Il marketing, d’altra parte, si incentra quasi per intero su appelli che ineriscono alla sfera del desiderio passionale o dell’emozione. In questo senso ai booktoker va riconosciuto quantomeno il merito di possedere una comunicazione onesta, per la quale si ha il coraggio di dire e mostrare che un libro commuove, trattando questa commozione da valore in sé. Sarebbe ipocrita condannare il linguaggio usato da alcuni adolescenti che parlano di libri su internet e ignorare le logiche promozionali che l’editoria classica applica con regolarità.

Non bisogna mai dimenticarsi che i posti in classifica che vanno a occupare i libri rilanciati dai social non sono posti tolti all’”alta letteratura”. Si tratta pur sempre di letture “di qualità”, a tutti gli effetti longseller, in un contesto spesso dominato da testi concepiti sin dall’inizio per essere successi commerciali.

Il rapporto fra libri e social network, dunque, non c’entra niente con il dibattito sulla qualità letteraria delle opere. A dire il vero, non ha neppure nulla a che vedere con la letteratura in generale. La comunicazione dei libri su internet è un fenomeno sociale, culturale e comunicativo che attiene alla sfera della promozione. Booktok e Booktube riguardano le vendite dei libri e i discorsi intorno ai libri, tutto un’universo che ruota attorno all’editoria come industria e ai lettori come fruitori e consumatori. Cultori della qualità e intellettuali non hanno di che temere. La letteratura continua a essere qualcosa d’altro rispetto alle top 10 e ai passaparola, anche se interviene TikTok.

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