Questa recensione contiene spoiler di The Batman.
Se non l’avete ancora visto vi consigliamo di tornare qui dopo averlo fatto (cosa che raccomandiamo con calore).
Oscurità. Un pianoforte. Le corde più spesse suonano cupe. Il petto trema.
Spari. Le vampate come luci stroboscopiche.
Lo stridio ossessivo degli archi. La tensione monta, e monta, sembra non finire mai.
C’è lui, che mena come un fabbro.
The Batman è un film potente, un po’ un giallo, un po’ un gangster movie, un po’ un noir. Come Balto «sa soltanto quello che non è», ovvero un classico cinecomic.
Il titolo non è un caso. Non è Batman e basta, non è Il cavaliere oscuro, non è “Batman qualcosa“.
È The Batman.
In questa pellicola Matt Reeves rovescia la logica a cui siamo stati abituati e si avvicina al Batman detective dei fumetti.
La tuta nera e la maschera non sono più l’alter ego del miliardario playboy, bensì il contrario: come Superman indossa gli occhiali per mascherarsi da Clark Kent, così Batman indossa i gemelli per travestirsi da Bruce Wayne.
Il problema è che non gli riesce. La trasposizione di Bruce Wayne è forse l’unica nota anomala: pallido, lugubre, triste. In una parola, emo. L’esatto opposto del miliardario sciupafemmine e ben inserito nella Gotham bene che ci si aspetterebbe. Ma se da una parte questo azzoppa le possibilità narrative riguardanti l’uomo, dall’altra arricchisce di sfaccettature il detective.
Perché Batman è pur sempre il miglior detective del mondo.
Se l’inizio del film è una citazione di Blade Runner grande come una casa (e davvero molto apprezzata), il filone principale della trama è un giallo degno di Arthur Conan Doyle.
Una serie di omicidi, un misterioso killer, una coppia di investigatori. Batman è quello bravo, coadiuvato dal suo fedele compagno, l’ispettore Gordon. Insieme sono complementari: Batman – come Sherlock – ha una mente svelta ma ha bisogno di un Watson che sappia riportarlo con i piedi per terra e che lo aiuti a interfacciarsi con un mondo reale fatto di leggi e di norme sociali.
Cosa che non gli riesce granché bene come Bruce Wayne, figuriamoci da supereroe.
Bruce è un bambino che ha dovuto assistere all’assassinio dei genitori. Come molti altri bambini la sua mente adotta dei meccanismi di autodifesa per gestire dei ricordi dall’impatto emotivo devastante.
Bruce crede di esserci riuscito attraverso la sua lotta al crimine, che vede come un modo di onorare quei genitori che reputava delle brave persone (ma che poi si riveleranno essere solo persone che, come tutti, fanno errori).
Quando scorge il figlio del sindaco, appena assassinato, il suo castello di carte mentale viene giù. Per inciso, in questa scena viene fuori un Robert Pattinson da brividi: con una maschera che copre mezza faccia e la parte inferiore immobile, fa sua l’intera scena usando solo i propri occhi, che si riempiono di lacrime che non devono scendere, perché Batman è Batman. La magistrale interpretazione di Pattinson, la delicata regia di Reeves e la perfetta gestione della luce del responsabile della fotografia Greig Fraser, trasmettono allo spettatore il profondo senso di irrisolutezza del suo trauma e il legame emotivo con la vicenda che ora si trova a gestire.
Chi dopo tutti questi anni ancora associa un attore dal talento sterminato come Pattinson a Twilight merita solo disprezzo e quella schifezza di Batman e Robin del 1997.
Al di là della bellezza di questa scena, qui vediamo la prima crepa del “vendicatore”: Batman non è un freddo supereroe ma un normale uomo con normali sentimenti, che cerca di fare il meglio che può con le risorse a sua disposizione.
Questo è un Batman giovane ma non giovanissimo, che fa il vigilante da un paio d’anni e deve ancora farsi davvero le ossa. Non è ancora l’eroe che sarà, quanto piuttosto un ragazzo che reagisce al trauma subito nell’unico modo che crede possa dargli sollievo.
La sua è la storia di un’evoluzione. Prima conosciamo il Batman che cerca di riparare la morte dei genitori vendicandosi su qualsiasi criminale gli capiti a tiro.
Ma si sbaglia. La vendetta è un sollievo fugace, un anestetico che copre i sintomi ma non li cura e dà una tremenda assuefazione. È un giovane uomo incapace di mettere insieme i cocci della sua vita, che trascura le persone che gli stanno vicino e la sua vita diurna, tanto che l’azienda di famiglia è in grave difficoltà.
Alla fine del film invece vediamo uno scorcio di ciò che sarà il suo futuro: si lascia alle spalle la personificazione immatura del vigilante e scopre un lato più altruista di sé stesso. Non più «io sono vendetta», bensì una guida che, in quella magnifica immagine dall’alto, è un faro nella notte che porta i cittadini di Gotham alla salvezza.
A proposito delle persone che gli stanno vicino, non si può non citare l’Alfred Pennyworth di quel mostro di bravura che è Andy Serkis.
Alfred, il papà non papà, colui che non ha scelto chi sarebbe stato suo figlio, colui che si trova nella posizione più difficile di tutti: amare una persona come nient’altro al mondo ma dover reprimere questo sentimento dietro il rapporto professionale.
Perché va detto a chiare lettere: il vero padre di Bruce Wayne è Alfred Pennyworth. Lui l’ha cresciuto e amato, lui l’ha addestrato, lui si è preso cura di quel piccolo orfano e ne è stato il tutore amorevole e premuroso, tanto quanto un maestro di vita e di rettitudine.
In questo senso lo sguardo di Serkis in risposta a quel «non sei mio padre» strappa il cuore in mille pezzi: un leggero movimento delle sopracciglia, un brivido sulle guance, le rughe si increspano, gli occhi si inumidiscono.
Maestria.
Temi complessi come l’adozione, la fedeltà (anche verso qualcuno che non c’è più) e l’amore agrodolce per un figlio che non ricambia come desidereremmo vengono trattati con tatto, e rischiando con un’interpretazione intimistica piuttosto che esplicitando tutto con dei dialoghi che non avrebbero saputo restituire la stessa intensità emotiva.
Ben fatto.
L’Enigmista, il Pinguino, Carmine Falcone (più il cameo del Joker nel finale). Ci sono vari villain in questo film.
Ciò che salta all’occhio è la distinzione tra due diversi modi di intendere l’essere cattivi: da una parte i casi patologici degni dell’Arkham Asylum, come l’Enigmista e il Joker; dall’altra i cattivi più umani e per questo più familiari, come Falcone e il Pinguino, ovvero i mafiosi.
Qui i cattivi veri – quelli che fanno marcire Gotham – sono magnaccioni che ricordano fin troppo bene le vicende che accadono nel mondo reale.
Reeves gioca bene le sue carte. Fa sembrare che il perno della storia sia l’Enigmista, quando in realtà è Falcone. A tal proposito, come questo film non è l’origin story di Batman, non lo è nemmeno per il Pinguino e l’Enigmista.
Il Pinguino da leccapiedi di Falcone si fa sempre più strada e sviluppa quelle che sono le sue armi d’elezione: l’astuzia, il tradimento, la corruzione e soprattutto la gestione delle informazioni.
L’Enigmista pur essendo un serial killer si crede un vigilante ma, oltrepassando quella linea che lo stesso Batman raccomanda a Catwoman di non varcare, passa al lato oscuro. Togliere la vita a un criminale rende a propria volta criminali.
Il paragone è con la fenomenale trilogia del cavaliere oscuro. Se Nolan fa un ritratto rivoluzionario dei villain, cui conferisce una visione anarchica e quasi idealista (in particolare lo strepitoso Joker di Heath Ledger), l’Enigmista di Reeves è molto più concreto: non uccide per un generico ideale di caos, ma per eliminare fisicamente il marcio da Gotham City, che è reale e certificato, con tanto di presentazione delle prove.
Verso la fine però questa disciplina viene meno e abbandona la sua personale concezione di sé stesso, attivando una dinamica che ricorda fin troppo bene le immagini dei fanatici dell’alt-right americana che, aizzati via social, assaltarono armati il Campidoglio poco più di un anno fa.
No, se non per apprezzarne le differenze, che ci sono e sono tante.
Pur non essendo una origin story, la scrittura non dà niente per scontato e il film è godibilissimo anche per chi è del tutto all’oscuro di chi o cosa sia Batman, per quanto questo sia improbabile. Anche gli altri personaggi principali sono tutti ben delineati.
Non è dato saperlo al momento in cui questo articolo viene scritto. Ma c’è da augurarselo, se la qualità rimarrà la stessa.
Reeves fa benissimo il suo lavoro. Il taglio da detective movie – che ha voluto con grande determinazione – è azzeccatissimo. Lavora di chiaroscuro e rende la tenebra che pervade il film spessa, pervasiva, quasi soffocante. A differenza di altre trasposizioni del cavaliere oscuro – in primis quello di Nolan – la luce del giorno è quasi del tutto assente, al massimo filtrata da una pesantissima coltre di nuvole, o nelle scene all’alba. Il cielo azzurro non si vede, e va benissimo così.
Alcune scene sono da pelle d’oca. Oltre a quelle già citate nell’overview: la batmobile che sbuca in volo dal fuoco, stile Flagello di Durin ne Il signore degli anelli; l’inquadratura sottosopra mentre Batman incede con un incendio alle spalle verso il Pinguino cappottato; l’esplosione della diga, che trasforma Gotham in una novella New Orelans post Katrina; il corridoio buio, reso stroboscopico dalle vampate dei mitra, con Batman che mena gente su gente fregandosene dei proiettili.
I difetti sono pochi e perdonabili, solo nel finale il ritmo cala e le tre ore si fanno sentire.
Si tratta comunque di uno dei migliori Batman mai visti.
Bravissimo.
Voto: 9
La scelta di una narrazione noir è efficace e approfitta di uno stile simile al true crime, genere molto popolare negli ultimi anni. Il rimando a thriller come Seven è evidente: l’investigatore ingaggia una sfida contro il tempo, seguendo il serial killer nella sua caccia al tesoro prima che possa arrivare alla prossima vittima.
Per il resto si tratta un film che come già detto punta molto sull’interpretazione non verbale dell’ottimo cast.
Funzionale.
Voto: 7,5
Greig Fraser: un nome, una garanzia. Dopo il suo magistrale lavoro sul Dune di Denis Villeneuve, estrae dal cilindro un’altra meraviglia. In maniera diametralmente opposta dal luminosissimo Dune, qui il nero è onnipresente, soffocante, ansiogeno. Ma il vero protagonista è il rosso in tutte le sue sfumature: dall’arancione delle luci al sodio, delle esplosioni e delle vampate stroboscopiche degli spari, al rosa delle immagini catturate dalle bat-lenti-a-contatto. È un Batman anomalo, caratterizzato dai toni caldi (se notate i fari dei suoi mezzi hanno tutti una luce più gialla degli altri) invece del solito – e banale – accostamento tenebra=freddo.
Al rosso si oppone il blu via via sempre più presente, fino al finale nel quale i due colori si rimbalzano al ritmo dei lampeggianti della polizia, a simboleggiare il vecchio e vendicativo Batman che lascia il posto al nuovo, più umano cavaliere oscuro. Quasi del tutto assenti i colori tipici dei villain, in particolare il verde dell’Enigmista, presente solo verso la fine e in versione slavata, quasi impercettibile.
Fraser mantiene quindi la sua firma artistica, con un linguaggio dei colori gestito in maniera impeccabile.
Gioca con la luce come un prestigiatore, si diverte e si vede.
Il top del top.
Voto: 10
Michael Giacchino supera se stesso. Ottima la gestione degli archi, con distinti sentori dei film di Hitchcock. Tensione, scomodità e disagio sono la cifra stilistica della colonna sonora.
Usa con maestria l’intero spettro dell’udibile, dai bassi tonfi che fanno vibrare le costole per il tema di Batman, allo stridio dei violini nei momenti di maggior nervosismo, fino alle atmosfere quasi arabeggianti per la sinuosa Catwoman di Zoë Kravitz.
La sua musica è una compagna presente, che si fa notare, che aggiunge e che racconta la storia tanto quanto le immagini. Ma non risulta mai eccessiva.
Piacevolissima l’aggiunta di Something in the Way dei Nirvana.
Azzeccatissima.
Voto: 9,5
Dietro c’è la collaborazione della Industrial Light and Magic, ovvero una garanzia. Il risultato è impeccabile, le esplosioni sono spettacolari così come la gestione dell’acqua. Nessun difetto da rilevare, c’è da dire che l’ambientazione scurissima agevola molto il lavoro dei tecnici, che non devono smadonnare come con le scene diurne.
Ottimo lavoro.
Voto: 9
Batman mena duro e mena sporco, con uno stile da boxeur di strada, poco elegante e molto di cattiveria. Bada molto al concreto, fare male e farlo in fretta, in stile krav maga. Usa anche molti meno gadget del solito: i sempreverdi rampini (mica vola facile come Iron Man, lui) e solo un singolo batarang, quello che porta sul petto. Piacevole novità è la tuta alare gonfiabile, molto più realistica di un semplice mantello per scendere in volo dai palazzi.
Discorso diverso per Catwoman. Sinuosa come solo Zoë Kravitz sa essere, è l’opposto del cavaliere oscuro: quanto lui usa le braccia, tanto lei usa le gambe. Il suo stile è un piacere per gli occhi, si scorge della capoeira e del taekwondo.
Niente di chissà che complesso, ma ben fatto.
Voto: 8,5
Leggi anche: Matrix Resurrections, la recensione – theWise@theCinema.
I costumi sono una meraviglia. Meno fumettistici e più realistici, per certi versi casalinghi. Carinissimo il passamontagna con l’accenno di orecchie di Catwoman. Un poco deludente l’Enigmista, con quella faccia coperta ricorda quasi di più lo Spaventapasseri.
Anche sul versante trucco siamo su livelli altissimi. Pazzesco il make-up prostetico del Pinguino: rigirare come un calzino quel gran manzo di Colin Farrell e ottenere un risultato così naturale richiede vera maestria.
Tanta roba.
Voto: 9
Robert Pattinson
In molti pensavano che uno gracilino come Pattinson non avesse il physique du rôle per fare Batman. Non avevano tutti i torti. Si vede un lavoro durissimo dietro la sua preparazione fisica ma non si può cavare sangue da una rapa: il suo è un Batman più mingherlino della media.
Ma dove non arriva la genetica, arriva il talento: Pattinson è un Batman oltre ogni aspettativa, la sua interpretazione rasenta la perfezione. Lato Bruce Wayne fa ciò che prevede lo script – che su questo qualche dubbio lo lascia – ma lo fa con dedizione totale. Solo profondo disprezzo per chi continua ad associarlo solo a Twilight.
Pazzesco. Voto: 9+
Zoë Kravitz
È azzeccatissima per la parte. Di più: senza timore di smentita, è forse la miglior trasposizione cinematografica di Catwoman. Sì, migliore (di poco) anche di Michelle Pfeiffer.
Bellissima, sprizza sensualità a ogni battito di ciglia. Forse è l’essere umano più simile a un felino in circolazione. Piace anche la statura minuta, che contrasta con la stazza di Pattinson.
Al di là del lavoro fisico, trasmette un carisma che ruba la scena a chiunque abbia intorno, bravissima.
Felina. Voto: 9
Jeffrey Wright
Gordon sta a Batman come Watson sta a Sherlock Holmes. È la spalla perfetta, affidabile, collaborativa, anche a costo di mettersi contro tutti i suoi colleghi. Wright rende una versione credibile di Gordon, pur senza grandi picchi di eccezionale bravura. Viene comunque voglia di conoscere meglio il suo background, non gli si può non voler bene.
Patatone. Voto: 8
Paul Dano
Grandissima prestazione. Nonostante la maggior parte del tempo abbia il volto coperto, nei pochi minuti in cui lo vediamo in viso restituisce un’interpretazione quasi struggente, per poi diventare diabolica e poi ancora sembrare un bambino disperso.
Era da qualche anno che disertava il grande schermo, ed è un gran peccato.
Eccezionale. Voto: 9
Andy Serkis
Ha poco screen time e sfrutta ogni frazione di secondo per comunicare ciò che prova. Ci riesce alla perfezione.
Ha il controllo totale di ogni muscolo facciale, quest’uomo è pazzesco.
Intenso. Voto: 9
Colin Farrell
Non c’erano particolari aspettative, recitare con un pesante trucco prostetico è sempre limitante, per qualsiasi attore (tranne che per Doug Jones). Invece Farrell porta a casa una buona prestazione. Sarà che il trucco non lo aiuta, ma ricorda un sacco le interpretazioni più macchiettistiche di Robert De Niro.
Ben fatto. Voto: 7,5
John Turturro
Carmine Falcone rientra alla perfezione tra quei ruoli per cui è tagliatissimo, ovvero il mafioso italiano: John Turturro che fa John Turturro, della serie “ti piace vincere facile”. Mezzo voto in più è sulla fiducia: diamo per scontato che in lingua originale abbia una voce diversa da Tony Stark.
Voto: 8
Voto totale al cast, ponderato in base al minutaggio: 8,5
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