Il fulminante successo mediatico del prof. Alessandro Orsini ha colto di sorpresa i frequentatori dei salotti televisivi italiani (e non solo). Ormai onnipresente, la sua figura ha polarizzato l’opinione pubblica, tra attestati di stima e accuse di diffondere propaganda filorussa.
Nello spazio di quest’analisi metteremo sotto la lente del microscopio il fenomeno mediatico rappresentato da Orsini: prima di tutto, però, è fondamentale inquadrare la persona.
Originario di Napoli, quarantasei anni, Alessandro Orsini si è specializzato al Mit di Boston ed è professore associato del dipartimento di Scienze politiche presso la Luiss. Insegna Sociologia generale e Sociologia del terrorismo, è direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale ed è stato consulente del governo.
Scrittore prolifico, ha pubblicato vari libri, soprattutto inerenti il suo campo di interesse accademico.
In altre parole, rientra nell’identikit del classico “esperto”.
Orsini è apparso come ospite in numerose puntate di vari talk show a tema Ucraina. A renderlo celebre è il suo pensiero fuori dal coro, firma intellettuale che va ben oltre la questione ucraina, come vedremo.
Fin dal principio del conflitto Orsini ha posto l’accento sulla necessità di tutelare i civili e in tal senso ha proposto la sua exit strategy: dare a Putin quello che vuole.
Motivazione: «L’Ucraina è fondamentalmente persa». Essendo una guerra che a suo dire non può essere vinta (cosa tutt’altro che scontata), ritiene che per tutelare i civili sia necessario non illudere gli ucraini inviando loro aiuti militari, quanto piuttosto convincerli a cedere.
Sebbene si professi filoccidentale, la sovrapposizione di molte sue tesi con le posizioni sostenute dalla propaganda russa ha insospettito vari commentatori, generando un tam tam mediatico che lo ha reso virale.
Un’ulteriore spinta alla sua notorietà l’ha data la cancellazione del suo contatto da parte della Rai, che prevedeva duemila euro di compenso a ospitata nel talk show di Bianca Berlinguer Carta bianca.
Molti hanno parlato di censura, cosa inesatta dato che la Rai non ha mai vietato a Orsini di partecipare alle proprie trasmissioni.
Non che non lo possa fare: la Rai non può dare spazio a chiunque, ed è normale che faccia da filtro. Non è però questo il caso.
Quanto al compenso, nessuno ospite può vantare il diritto a essere pagato (con i soldi dei contribuenti): è l’azienda a determinare se si tratta di un’operazione vantaggiosa oppure no, quindi non c’è nulla di strano. Casomai è la mancanza di trasparenza sui compensi a essere controversa, ma è un altro discorso.
Alcuni dicono che sembri sull’orlo di una crisi di pianto perenne. Quel che è più probabile è che si tratti di una caratteristica peculiare del suo linguaggio non verbale, com’è per esempio l’abbassamento dello sguardo quando spiega qualcosa, la gesticolazione ampia o la propensione a proiettare le braccia verso l’interlocutore.
A volte chiude ad anello pollice e indice e muove la mano in senso verticale, quasi stesse scrivendo con una penna immaginaria la punteggiatura della frase che sta pronunciando. Ciò suggerisce un lavoro certosino nel preparare le argomentazioni, declamate più che costruite sul momento.
Orsini fa della comunicazione emozionale la sua arma principale: più che duellare in punta di brillanti argomentazioni, cerca di generare nel pubblico reazioni emotive. Il che, però, non depone a favore del suo ruolo di esperto che dovrebbe veicolare dati e fatti, più che sentimenti.
Ad esempio, tende ad alzare le sopracciglia e sgranare gli occhi quando gli rivolgono la parola. Espressioni tipiche anche della paura e della sorpresa: si tende per istinto a stare dalla parte di chi percepiamo come minacciato, e chi è intimorito dalla guerra vi si riconosce.
È possibile scorgere anche microespressioni tipiche della rabbia, quando viene punto sul vivo: sopracciglia corrugate, palpebre superiori retratte, contatto visivo con l’avversario, labbra serrate, corpo proiettato in avanti.
In generale, appare poco a suo agio nei talk show con contraddittorio, a differenza di quando viene chiamato in solitaria. Ne è un esempio il seguente video, in cui appare molto più rilassato (e in cui, tra l’altro, non si accorge di commentare un palese fotomontaggio, in seguito confermato come tale)
Il tono basso e il ritmo veloce del discorso associato a una pronuncia pulita, di rado balbettante e con pochissimi hesitation marker (ehm, uhm), è una costante della comunicazione del prof. Orsini, con ogni probabilità dovuta al suo mestiere: la preparazione di lezioni e conferenze è un allenamento costante, che forma il modo di comunicare di chi lo svolge.
Anche il paraverbale quindi ci suggerisce una scrupolosa pianificazione degli interventi in televisione, delle possibili obiezioni e delle controargomentazioni. Se viene interrotto – cosa che gli crea un evidente fastidio – non ha grosse difficoltà a riprendere il filo del discorso, che sembra una sorta di copione mentale.
Atteggiamento del tutto opposto quando la parola passa agli altri. Orsini interrompe tutti, di continuo. L’intenzione è chiara: spezzare il discorso altrui, monopolizzare su di sé l’attenzione della telecamera e depotenziare le obiezioni dei suoi avversari.
Funziona, ma non è certo fair play.
Che Orsini ami le opinioni controverse non è certo una novità. Nella galleria seguente, alcuni screenshot emblematici.
Si tratta di una selezione per questioni di spazio, ma è sufficiente una rapida visita ai suoi profili per constatare il tenore medio dei suoi contenuti.
Orsini ama vantare opinioni forti, che possano differenziarlo dalla massa, ma che spesso lasciano intravedere posizioni reazionarie e classiste: dall’immigrazione alla discriminazione, dall’opinione nei confronti dei giovani a quella sulle droghe ricreative (alcol compreso), da una “peculiare” visione della pedagogia al sessismo al victim shaming.
In questo editoriale Orsini mostra la visione narcisista che ha di sé, nonché la percezione classista che ha del mondo nel suo complesso: si ritiene un essere superiore che ha il diritto di dominare gli altri, considerati inferiori.
Alla luce di questo, molti dei fenomeni cognitivi che vedremo tra poco trovano una spiegazione. Authority bias e Texas sharpshooter fallacy sono il suo pane quotidiano: nella sua mente le opinioni diventano fatti incontrovertibili, giustificate dalla sua auto-attribuita superiorità di casta. Così se la realtà esce dal recinto che lui le ha costruito attorno, cerca – in maniera più o meno consapevole – di manipolarla.
Vediamo di seguito alcuni fenomeni che dal punto di vista cognitivo sono tipici della narrazione del prof. Orsini e che, da ora in poi, non potrete non notare.
Tendiamo a fidarci di chi riteniamo autorevole, senza sottoporre i suoi argomenti a un adeguato fact checking.
Orsini sfrutta di continuo questo bias, facendo pesare il suo grado accademico al fine di far passare per fatti quelle che sono le sue opinioni. Come abbiamo visto, l’uso di questo bias da parte di Orsini ha radici molto profonde.
Che un professore universitario sostenga una tesi non la rende vera: dovrà essere comunque dimostrata sul piano logico.
Tecnica che prevede l’attacco alla persona anziché ai suoi argomenti.
Orsini ne fa largo uso, celebre in questo senso il «se fossi a un mio esame ti boccerei» rivolto a Parenzo, il cui scopo era imporre al pubblico due pregiudizi con un colpo solo: la propria supposta superiorità (authority bias) e l’inferiorità dell’avversario, la cui opinione per questo motivo non ha per lui alcun valore (ad hominem).
Ossia, costruire una tesi quale concatenazione di conseguenze in apparenza inevitabili, associate in maniera arbitraria.
La narrazione da talk show di Orsini è costellata di slippery slope, nel quale argomenti di per sé slegati sono spesso concatenati con nessi causali forzosi, come se uno fosse conseguenza inevitabile dell’altro: la Nato si è allargata a Est, quindi l’Ucraina è stata tentata di aderirvi, quindi la cosa ha dato fastidio a Putin, quindi è scattata l’aggressione russa, quindi l’Ucraina è già persa e tanto vale dare a Putin quello che vuole.
Sembra tutto predeterminato ma in realtà è una costruzione mentale. Per esempio, la guerra per Putin sta andando molto peggio del previsto e non è affatto scontato che porti a casa gli obiettivi che si era prefissato: basta questa considerazione per far crollare lo slippery slope di Orsini come un castello di carte.
Consiste nell’attaccare il tono con cui l’interlocutore si esprime, invece delle sue argomentazioni.
È evidente nel seguente video, nel quale Orsini si confronta con Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali.
Si ha quando un problema complesso viene ridotto a sole due scelte, per convenienza retorica.
È una fallacia logica che Orsini sfrutta abbastanza spesso, per esempio quando pone la questione degli aiuti militari sotto forma di ricatto morale: se inviamo armi prolunghiamo il conflitto causando più morti tra i civili, se non le inviamo velocizziamo la pace. La realtà non è così semplice, a partire dal fatto che il bombardamento degli ospedali civili è prassi consolidata della dottrina militare russa a prescindere dall’invio delle armi, come già dimostrato in Siria.
Ovvero, assumere un argomento quale causa di qualcosa solo perché è avvenuto prima a livello cronologico.
Nel caso di Orsini, quando per esempio sostiene che l’aggressione russa è conseguenza delle esercitazioni Nato degli ultimi tempi. In realtà la preparazione di un’invasione del genere richiede molto tempo ed era con ogni probabilità in cantiere fin dall’annessione della Crimea nel 2014.
È quando si usa un esempio ipotetico più semplice da smontare rispetto all’argomento principale.
È il caso di quando Orsini paragona l’intervento russo in Ucraina a quello che farebbero gli Usa se il Messico si alleasse con Putin. L’argomento è inverosimile e costruito per essere smontato, pertanto le conclusioni non hanno valenza sul tema principale.
È la fallacia logica per cui se una misura ha funzionato bene in un caso, funzionerà altrettanto bene anche negli altri.
È il caso di Orsini che paragona la situazione Ucraina alla crisi dei missili di Cuba. Eravamo in piena guerra fredda, si trattava di missili nucleari e non di espansione territoriale, non ci fu alcuna invasione di terra ma solo una prova di forza: sono due cose diverse, il paragone non sussiste.
È quando una persona con un gran numero di dati a disposizione si focalizza solo su alcuni e costruisce la sua tesi a posteriori. Per renderla con l’esempio che l’ha battezzata, immaginiamo un tiratore che spara una serie di colpi, per poi dipingere un bersaglio dove si raggruppa il numero maggiore di fori, al fine di dimostrare la propria mira.
Per certi versi è una combinazione di cherry picking (selezionare solo le informazioni che fanno comodo omettendo il resto) e apofenia (la tendenza a percepire connessioni tra argomenti diversi quando in realtà non ce ne sono).
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Nel caso del prof. Orsini il suo ruolo accademico gli permette di avere accesso a un numero smisurato di informazioni ma, come abbiamo visto in precedenza, tende a omettere dati in realtà significativi. Sembra inseguire una narcisistica percezione di sé quale esperto che non può fallire il colpo, e per questo non ammette altri argomenti oltre a quelli da lui selezionati. Questo lo porta a “dipingere il bersaglio” ingigantendo le sue previsioni corrette e tralasciando quelle scorrette, finendo per costruire tesi che più che descrivere la realtà puntano a confermare le sue supposizioni.
Per esempio, le enormi difficoltà russe sul piano logistico che stanno mettendo a repentaglio l’intera campagna, che lui giudicava vincente per i russi già prima dell’effettiva invasione.
Oppure, il suo cocciuto j’accuse nei confronti della Nato e del suo allargamento a est quale evento scatenante, omettendo che una delle principali cause che hanno portato la Russia a invadere prima la Crimea, poi il Donbass e poi ancora l’intera Ucraina è stata l’oppressione del governo autocratico filorusso che per decenni ha schiacciato le libertà civili, fino a sfociare nella rivoluzione del 2014 e nella cacciata di Yanukovich.
Si tratta della dottrina politica per cui, quando un dittatore armato fino ai denti reclama qualcosa, è buona norma concederglielo dietro la promessa di non aggiungere ulteriori rivendicazioni, al fine di evitare un’escalation militare dal grande potenziale distruttivo.
L’appeasement venne applicato dai Paesi liberali negli anni Trenta nei confronti di Adolf Hitler: gli fu concesso di annettere l’Austria, poi i Sudeti, infine l’intera Cecoslovacchia per scongiurare la guerra. Nonostante tutte le promesse, però, il Fürher invase comunque la Polonia.
Allo stesso modo, Vladimir Putin ha invaso la Georgia, annesso la Crimea, scatenato la guerra civile nel Donbass e, nonostante le varie rassicurazioni, ha comunque invaso l’Ucraina.
In realtà più si concede e più verrà richiesto, col risultato di allargare il conflitto invece di anticipare la pace.
Per Orsini, però, questa è la strategia vincente.
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L’intera narrazione di Orsini si basa su un assunto: è necessario arrivare alla pace subito e a qualsiasi costo per salvare i civili, anche dando a Putin ciò che chiede.
Il dubbio sorge spontaneo: gli ucraini sono d’accordo con questa posizione?
L’intero popolo ucraino sta resistendo con coraggio ed efficacia. Come sostiene Paolo Mieli nel video qui sotto, che li aiutiamo o no la loro battaglia proseguirà comunque.
Orsini è contrario all’invio di aiuti militari, ma questi sono una scelta doverosa per due motivi.
Il primo è quello etico: dopo aver assaggiato la democrazia, tra rinunciare alla propria libertà e combattere per difenderla gli ucraini hanno scelto la seconda. Come dar loro torto? In Italia ci riempiamo la bocca con il mito della Resistenza; con che coraggio dovremmo dire agli ucraini «fatevi conquistare, è per il vostro bene»? Sarebbe più onesto che chi lo dice ammettesse che lo fa per un molto più egoistico suo bene.
Il secondo è quello pratico: la dottrina militare russa prevede quelli che sono a tutti gli effetti crimini di guerra, come lo scrupoloso bombardamento degli obiettivi civili, in particolare ospedali e scuole. Lo abbiamo visto in Siria – ne parla il celebre esperto di guerre contemporanee Tom Cooper in questo post– e lo stiamo rivedendo in Ucraina: basti pensare ai missili sul teatro di Mariupol, davanti al quale era scritto a caratteri cubitali “bambini”, o il più recente bombardamento della Croce rossa, sempre a Mariupol.
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Non è pertanto consegnando i civili nelle mani dei russi che garantiamo la loro incolumità. Dandogli i mezzi per difendersi, invece, rendiamo la guerra insostenibile per le finanze russe massacrate dalle sanzioni, abbreviandola ed evitando che queste dinamiche succedano di nuovo in futuro.
A tal proposito, è curioso come nel video qui sopra il prof. Orsini sia così restio a rispondere a una domanda diretta: «Va bene che Putin si prenda l’Ucraina?».
Orsini sostiene da tempo che l’invasione russa in Ucraina sia una diretta conseguenza delle “gigantesche esercitazioni” Nato dell’ultimo anno.
Quelle esercitazioni a cui affibbia aggettivi roboanti a ben vedere sono piuttosto piccole: poche migliaia di soldati l’una (tra i mille e i cinquemila), con la partecipazione di una manciata di Paesi alla volta, non di tutta la Nato.
Definire “gigantesca” un’esercitazione senza fornire alcun metro di paragone è una manipolazione: l’esercitazione russa Zapad del settembre scorso ha coinvolto la bellezza di duecentomila uomini tra Russia e Bielorussia, compresa l’enclave di Kaliningrad, in piena Unione europea.
Se le esercitazioni occidentali sono una provocazione, sarebbe interessante sapere come Orsini definirebbe quelle russe, centinaia di volte più grandi e all’interno dei nostri confini.
Nel video qui sotto assistiamo alla tesi di Orsini per cui il presidente ucraino Zelensky rischia di diventare un ostacolo alla pace, ora che l’Ucraina sembra avere concrete possibilità di respingere i russi, e per questo vada rimosso.
La capacità di Orsini di infischiarsene del volere degli ucraini e del governo che si sono scelti ha dell’incredibile: sembra considerare l’Ucraina alla stregua di un territorio del Risiko invece di uno Stato sovrano e rema contro Zelensky, colpevole di sabotare le sue “infallibili” previsioni.
Orsini propone di legare le sanzioni in maniera proporzionale alla quantità di bambini morti.
Sostiene che sia una misura già adottata dall’Onu in Yemen e che funzioni. Non è così.
Al di là del l’evidente cinismo (i morti adulti non contano?), quantificare con precisione la reale portata delle vittime in una zona di guerra mentre il conflitto è in corso è impossibile. Il tentativo in Yemen lo dimostra in maniera inequivocabile.
In questo video vediamo Orsini sostenere che l’Italia dovrebbe staccarsi in via temporanea dall’Ue.
C’è una questione normativa. Chiunque mastichi un po’ di regolamenti europei sa bene che l’opzione ventilata da Orsini non esiste. Le scelte in politica estera prese in maniera collettiva attraverso l’Ue non possono essere disattese dai singoli Paesi a posteriori.
Si può portare avanti una posizione diversa ma solo in seno all’Ue, di certo non staccandosene come chiede lui: l’Europa non ha un interruttore da spegnere a accendere a piacimento, o sei dentro o sei fuori. In tal senso l’unica opzione è l’articolo 50, l’Italexit.
Poi c’è una questione di convenienza. È banale, ma andare contro l’intera Unione europea, la Nato e gli Stati Uniti per fare un piacere a Putin porterebbe il nostro Paese all’isolamento internazionale.
Infine, c’è la questione pratica. Se per assurdo fosse possibile realizzare quanto proposto da Orsini e l’Italia si muovesse in tal senso, da sola non avrebbe nessun influsso sull’andamento della guerra.
Questo esempio dimostra quanto fuori fuoco sia la visione del mondo di Orsini quando tratta di tematiche che esulano dalle sue competenze specifiche.
Questo non significa che Orsini abbia sempre torto a prescindere. Le sue analisi – quantomeno quelle relative al suo ambito di studio – sono spesso valide. Il problema è che lui, da sociologo, tende a percepire il mondo attraverso il filtro della sua disciplina, cosa che crea in lui dei bias, come abbiamo avuto modo di vedere.
Quando parla di negoziato inteso come strada maestra per la pace ha ragione. Ma, a costo di dire l’ovvio, lo si sta già facendo da un pezzo, da prima che questa guerra iniziasse.
Il problema è che se per ottenere la pace si cede su tutto non si sta negoziando, si sta solo calando le braghe di fronte a un criminale. Il mondo reale non è una favola, non sono tutti sullo stesso piano: c’è un aggressore e c’è un aggredito, c’è una vittima e c’è un carnefice e non c’è alcuna attenuante al mondo che possa mitigare questa constatazione. Né l’espansione della Nato a Est né la volontà dell’occidente di non piegarsi ai capricci di un dittatore.
Frasi come quella qui sopra sottintendono un victim shaming che fa il gioco di Putin, alleggerendolo della responsabilità di una scelta devastante, in capo a lui e lui solo.
Ma, da che mondo è mondo, a guerra in corso ci si siede al tavolo dei negoziati quando ci si trova in una posizione di forza, cosa che ora può fare l’Ucraina grazie al valore dimostrato sul campo. Oppure lo si fa per evitare il tracollo: è il caso in cui rischia di trovarsi Putin, che ha dimostrato al mondo la colossale inadeguatezza delle sue forze armate e deve cercare di salvare il salvabile. Per inciso, il fatto che si stia negoziando è solo grazie alla strenua resistenza degli ucraini: se nessuno gli avesse messo i bastoni tra le ruote Putin avrebbe preso tutto, senza alcun negoziato.
Sotto questo aspetto, Orsini non dice una sciocchezza: se si vuole negoziare con Putin gli si deve permettere di salvare la faccia (Kissinger docet). Questo non per paura dell’atomica, ma per buonsenso: è logico che chi dalla pace non ha nulla da guadagnare continuerà a cercare di portare a casa qualcosa con la guerra. Cosa che oltretutto rischia di creare un sentimento revanscista, sulla scorta della Germania post Versailles: quella volta non andò affatto bene.
Dialogare significa aprirsi all’altro, mettere in dubbio sé stessi e i propri argomenti. Essere aperti alla possibilità di cambiare idea non vuol dire essere inferiori dal punto di vista intellettuale, bensì essere maturi.
Ma se uniamo un ego smisurato, una visione classista del mondo e la supponenza di imporre la propria opinione come fosse un fatto oggettivo, otteniamo un cocktail esplosivo, che per gli incontri-scontri cui puntano i talk show nostrani è una miniera d’oro.
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Ma da mediatore a strumento di propaganda è un attimo: il fatto che Orsini venga sfruttato dall’agenzia di stampa Tass è la dimostrazione di come, volente o nolente, viene percepita la sua narrazione.
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