I Pop X sono uno un caso sui generis per il mercato italiano: nonostante la sperimentalità sono riusciti a ottenere un ottimo riscontro, soprattutto nella sottocultura itpop. A essere originale non è solo la loro musica ma anche le loro performance. In occasione del loro Pest of Tour, noi di theWise Magazine siamo andati a vederli a Bologna.
Le (poche) date che compongono il Pest of Tour erano originariamente del tour Antille che avrebbe promosso l’omonimo album nel 2020. Per via del Covid-19, le date sono state rinviate prima al 2021 e poi al 2022. Nel 2021 c’è stato un mini-tour in cui Davide Panizza (unico membro stabile del gruppo) ha reinterpretato da solista i maggiori successi del gruppo in chiave meno elettronica. Nel frattempo il gruppo ha rilasciato un nuovo album, Enter Sandwich, i cui remix sono stati raccolti in un EP che ha anticipato il tour. Sono proprio gli autori del remix ad aprire le date.
Ad aprire la data bolognese è stato Troyamaki, artista hyherpop (di cui i Pop X possono essere considerati dei precursori), accompagnato da Le Major e Cecilia Esposito. L’esibizione parte con una lunga introduzione e un brano inedito, come se sapesse di dover attirare l’attenzione di un pubblico ancora fuori dal teatro. In realtà, ci ha messo ben poco a raccogliere tutto il pubblico e scaldare l’atmosfera. Le sonorità hyperpop convincono il pubblico che continua ad aumentare a ogni canzone e si lascia coinvolgere nelle danze. I brani sono intervallati da intermezzi che li preannunciano con voce regista: questo funge da cornice narrativa tra il serio e il faceto. La scaletta prevede brani inediti e altri presi principalmente dall’ultimo mixtape dell’artista TROYA.CUM Nel complesso, un’apertura ottima e un preludio più che degno di quello che sarebbe seguito.
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Per chi non avesse mai visto i Pop X in concerto, è necessario raccontare le loro peculiarità. Negli show, guidati ovviamente dal frontman Davide Panizza, le canzoni sono spesso reinterpretate, riarrangiate con sonorità più forti e ballabili, spesso in chiave hardcore. Il lato performativo è allo stesso modo fondamentale. Sebbene tra un brano e l’altro ci sia solitamente poco o niente, è durante le canzoni che può succedere di tutto. Panizza e i suoi accompagnatori di turno (che tendono a variare nel tempo) possono assumere ruoli diversi, scatenarsi, suonare oggetti improbabili e lasciarsi completamente andare. Spesso i protagonisti appaiono tutto tranne che sobri. Consegue spesso che le performance canore di Panizza non siano tecnimente eccellenti, ma questo generalmente non importa al suo pubblico, che è lì presente per vivere un’esperienza diversa da quella di artisti mainstream.
Nel tempo, soprattutto dopo l’esplosione del gruppo con la pubblicazione del loro disco più di successo Lesbianitj, il lato “delirante” è andato sempre più scemando. Il culmine di questo processo si è toccato nel tour del 2018 dedicato all’album Musica per noi, in cui il gruppo si è esibito sobrio in una forma più classica, accompagnato da strumenti più concenvenzionali e con una dimensione performativa meno estrema.
Dopo quel tour la band ha affrontato diversi cambiamenti. Il primo è stato la pubblicazione di un disco con una preponderante componente reggae, dalla promozione assente e generalmente poco apprezzato dai fan. I dischi successivi sono stati caratterizzati da un ritorno alle sonorità iniziali, complice anche il ritorno di Walter Biondani, co-fondatore del progetto, e autore di buona parte del materiale di Antille. Considerando che il tour del 2021 vedeva un Panizza “anomalo” riarrangiare i suoi successi in versione unplugged, non era chiaro la direzione che avrebbero preso i concerti con il ritrovato sound delle origini. In sostanza, non si sapeva cosa aspettarsi.
Il concerto del Pest of Tour si apre con una lunga intro di chitarra, sunonata da un musicista mascherato, che sfocia in una versione acustica di Maniaco Sexual. Un inizio calmo, in netto contrasto con l’esibizione di Troyamaki e che lascia presagire un’esibizione in continuità con quelle dei tour precedenti. Non ci vuole molto per rivelare l’inganno. Segue infatti il brano Motoretta, una canzone molto energica che scalda rapidamente gli animi e la folla, che si scatena nel pogo. Il palco a questo punto è riempito da vari membri, tutti con la stessa maschera. Alla fine di questo momento adrenalinico, seguono due brani dell’ultimo disco, riarrangiati per essere più ballabili, ma sempre mantenendo la verve più calma e introspettiva che le caratterizza.
Dopo questi brani, la situazione degenera. Da Loosing (canzone pubblicata ufficialmente solo in versione postuma e live) parte una carrellata dei classici del periodo precedente al successo, caratterizzata dallo stesso livello di delirio proprio di quella fase del gruppo, ma con una enorme differenza. Non si era mai visto prima un Panizza così vocalmente in forma, cosa che ha reso il tutto decisamente più gradevole. Date le atmosfere, le luci e i costumi, nonostante le maschere siano state sostituite dai tipici occhiali luminosi dei Pop X, rimane impossibile (e anche irrilevante) riconoscere i vari musicisti a eccezione del frontman, che è l’unico a cantare. È proprio quest’ultimo a invitare un paio di spettatori sul palco, che crescono tra un brano e l’altro fino a una vera e propria invasione di palco.
Dopo alcuni brani la situazione si calma, il palco viene sgomberato e inizia una fase del concerto più sperimentale. Viene infatti suonata Morti Dietro, in una versione molto simile a quella dell’album. Alle spiccate sonorità elettroniche si aggiunge però un sapore latino, sempre con una componente in levare, in questo caso le percussioni. Segue Barboni, nella versione live caratterizzata da un suono simile sia alla nostrana Ciaramella sia a molti strumenti mediorientali, come le atmosfere suscitate da questo arrangiamento.
Dopo un ulteriore brano, viene eseguita Buena fine estate, che funge da interludio tra la prima e la seconda parte del concerto. Seguono infatti due brani di Antille, relativamente tranquilli, che iniziano un climax che sfocia in una Paiazo in versione hardcore, accorciata e con un ear rape nel finale. Una lunga e inedita introduzione preannuncia Secchio, nella solita versione col ritornello hardcore. Inizia una serie di brani di Lesbianitj, molto movimentati e con i bassi a pompa.
A questo punto c’è l’unico momento del concerto parlato che interrompe il flusso di canzoni di questo Pest of Tour, con Panizza che presenta i vari musicisti. Da qui si riparte con altri brani movimentati tra cui Tanja, con un mix diverso da quello pubblicato in studio con Gabri Ponte, un ritornello senza parole e una strofa modificata. A questo punto, il pubblico ha totalmente perso la cognizione del tempo e l’uscita di scena degli artisti ricorda che il concerto sta volgendo all’epilogo. Infatti seguirà il bis, con il classico dei classici Drogata schifosa; dopodiché un lungo silenzio. Nessuna musica, contrariamente alla prassi, lascia intendere l’effettiva fine del concerto.
Nonostante il racconto più o meno dettagliato è difficile raccontare le sensazioni che la performance è riuscita a generare, soprattutto considerando che solo ora è possibile partecipare nuovamente a grandi eventi con un pubblico più o meno vasto. Piuttosto che a un concerto sembrava di prendere parte a un rito collettivo, in cui quello che appariva sul palco sembrava quasi secondario rispetto alla bellezza di un pubblico danzante, completamente perso in un tipo di esperienza quasi dimenticato. La danza diventava quindi un momento di sfogo, quasi trasgressivo, in risposta a due anni di limitazioni e privazioni. Sembrava di finire in una dimensione parallela lontana dallo spazio e dal tempo, caratterizzata solo dalle atmosfere surreali create dai testi ambigui e criptici dei Pop X.
In sostanza è stata una grande esperienza, con dei Pop X mai così musicalmente precisi, un’enorme varietà di momenti quasi stranianti che creavano un’esperienza mai monotona. Era l’alternare di momenti energici ad altri tranquilli a rendere il tutto bilanciato. Nonostante lo show sia stato relativamente lungo è sembrato brevissimo, come quando da bambini ci si divertiva tantissimo.
Il Pest of Tour è quindi un rito di catarsi, un inno alla vita segno di un pezzo di mondo che è desideroso di ripartire e costruire una nuova normalità dopo l’enorme introspezione più o meno forzata di una pandemia mai veramente conclusa. Inutile rimarcare che è stato un enorme piacere prenderne parte.
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