I heard it through the grapevine
(Mi è giunta voce)
Not much longer would you be mine.
(Che non sarai mia per molto tempo ancora)
Oh I heard it through the grapevine,
(Mi è giunta voce)
Oh and I’m just about to lose my mind.
(Oh e io sto per perdere la testa)
Il processo dell’anno è cominciato: Johnny Depp ha portato la sua ex moglie, l’attrice Amber Heard, a processo per diffamazione. Il casus belli è un articolo, pubblicato nel 2018 sul Washington Post, in cui la donna si autodefinisce vittima di violenza domestica, accusando l’ex marito di averla picchiata, minacciata e insultata durante il loro matrimonio lampo, durato appena due anni.
In questi giorni l’attore, che ha perso la causa intentata contro il tabloid The Sun che l’aveva definito “picchiatore di mogli”, deve difendersi da accuse pesanti: le ultime dichiarazioni di Amber Heard parlano addirittura di tentato omicidio. Johnny Depp, d’altro canto, ha accusato a sua volta di violenza domestica la donna che, con le sue dichiarazioni ai giornali, ha letteralmente distrutto la sua carriera. Ad Amber è bastato rilasciare qualche intervista in cui accusata l’ex marito perché nessuno, nel mondo del cinema, volesse più lavorare con lui.
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La consuetudine, figlia dei tempi, di stroncare la carriera a una persona non ancora processata e nemmeno formalmente accusata, ma solo diffamata a mezzo stampa, era già costata molto a un predecessore non meno illustre di Depp, Kevin Spacey.
Le accuse di violenza su minore, risalenti a decenni orsono, sono state ritirate e, in definitiva, l’attore è uscito pulito da questa brutta storia. Ma così non è stato per la sua carriera: ostracizzato dal mondo di Hollywood, che lo ha scansato come un appestato sulla base di un «mi è giunta voce».
Un destino che, in parte, è già toccato a Johnny Depp, rimosso dal franchise di Animali Fantastici e dalla saga Pirati dei Caraibi, della quale era protagonista assoluto fin dall’esordio. Sponsor ritirati, collaborazioni cancellate, dichiarazioni sdegnate da parte delle case produttrici: uno sdegno a senso unico, però, dal momento che Amber Heard, anch’essa accusata di violenza domestica da Johnny Depp, non ha subito alcuna ritorsione lavorativa.
Il processo per diffamazione è ancora in corso e, per il momento, sembra volgere in favore di Johnny Depp. La star, però, ha dichiarato sconsolato che, comunque vada, la sua carriera è finita e la sua vita è rovinata per sempre.
«Ho perso tutto. Indipendentemente dall’esito di questo processo, ho già perso. Ho perso quando sono state fatte queste accuse, perché rimarranno con me per sempre. La mia vita è rovinata per sempre».
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Può una persona accusata di un crimine vedere la propria vita sgretolarsi ancor prima che inizi il processo, nello stesso istante in cui le accuse escono dalla bocca dell’accusatore e finiscono impresse sui giornali? La risposta a questa domanda, che dovrebbe essere retorica, è tutt’altro che scontata. Può accadere eccome, nonostante il principio del garantismo: ma perché accade solo a una delle due parti in causa?
La risposta la fornisce la stessa Amber Heard che, in una registrazione citata dai legali di Johnny Depp in tribunale, ridicolizza l’ex marito dicendogli che nessuno crederà alla sua storia.
«Dillo al mondo, io Johnny Depp, un uomo, io sono vittima di violenza domestica. Nessuno ti crederà».
L’aspetto più atroce delle parole di Amber a Johnny è che la donna ha ragione: nessuno crede a un uomo che accusa una donna di violenza. O peggio, nessuno prende sul serio un uomo che accusa una donna di violenza. Lo scorso marzo ha fatto scalpore il caso di un ventunenne della provincia di Firenze, che ha accusato una donna di circa quarant’anni di averlo molestato per strada e aver tentato pesantemente un approccio sessuale.
Nella sezione commenti delle testate che avevano riportato la notizia sui principali social, le reazioni andavano da una laugh reaction a commenti come «Magari fosse successo a me», «Beato lui», eccetera. Commenti che, di sicuro, non sarebbero stati scritti se a subire violenza fosse stata una ragazzina per mano di un uomo molto più grande di lei.
In quel caso, probabilmente, molti avrebbero scritto «Com’era vestita?». Un commento che, anche se apparentemente non sembra, è figlio della stessa mentalità che fa esultare per una violenza di una donna su un uomo: la cultura della colpevolizzazione della vittima.
Gli uomini possono essere vittime di violenza, anche da parte delle donne: la tendenza a non uscire allo scoperto e a non denunciare deriva dallo stereotipo della virilità.
Barbara Benedettelli al fenomeno della violenza di genere ha dedicato un libro, in grado di polarizzare la discussione fin dal titolo: 50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia. Accostare i numeri del femminicidio a quelli, silenziosi e decisamente meno impressionanti, della violenza sugli uomini, farà impallidire alcune femministe. Ma è un’operazione che va ugualmente fatta, perché la violenza sugli uomini nasce dagli stessi semi guasti di quella sulle donne.
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Qualche dato: secondo l’ultima rilevazione Istat sono tre milioni e 574mila gli uomini che hanno subito molestie di questo tipo almeno una volta nella vita, un milione e 274mila negli ultimi tre anni (si fa riferimento al 2015-2016). Benedettelli cita uno studio dell’università di Siena, che nel 2012 aveva rilevato cinque milioni di uomini vittime degli stessi tipi di violenza che subiscono le donne.
A compiere violenza sugli uomini, spesso, sono gli stessi uomini: per quanto riguarda la molestia sessuale, nell’85,4 per cento dei casi ad attuarla è un maschio. Ciò significa però che c’è un restante 14,6 per cento di donne che ha compiuto una violenza sessuale su una persona di sesso maschile: secondo Eliana Lamberti e Loredana Petrone, ogni tre pedofili maschi c’è una donna, come riportato in questo articolo.
Al fenomeno della violenza domestica e di quella sessuale se ne aggiunge un altro, ingiustamente sottaciuto: quella “patrimoniale”. Cosa accade ai padri separati che non sono in grado di permettersi il mantenimento dei figli, i costi di un nuovo alloggio e quelli relativi alla separazione? Se per le donne sole con figli esistono molte soluzioni (case famiglia, progetti di sostegno), per i padri molto meno.
A Firenze, nel 2021, è stata ampliata la Casa dei babbi: soluzioni abitative per padri separati che non possono permettersi un alloggio in cui vedere i figli e che rischiavano di perdere il contatto con loro.
«È tra i congiunti che si verificano le situazioni più rilevanti. Se nelle dinamiche di coppia l’uomo sfoga la rabbia per lo più dal punto di vista fisico, le donne agiscono di converso sulla psiche dell’uomo».
Questo sostengono Massimo Arcidiacono e Alessandro Granieri Galilei, fondatori in Sicilia dell’Associazione violenza sugli uomini, che aiuta uomini (e donne) vittime di violenza.
«La violenza sugli uomini da parte delle donne le vede denigrare l’uomo, nelle sue capacità familiari, sessuali, dal punto di vista economico e, quando ci sono i figli, quello che avviene spesso è l’alienazione parentale: gli uomini si vedono privati dei loro bambini per mesi o addirittura anni. Situazioni del genere fanno crollare chiunque».
Infatti, secondo i dati Istat del 2018, su circa quattromila suicidi all’anno circa 200 sono commessi da padri separati. Un dato molto simile a quello, relativo al 2020, sulle donne uccise da un uomo: 118, di cui 102 in ambito familiare e affettivo.
Perché un dato fa indignare e l’altro no?