Se lasciassimo un primate a premere tasti a caso per un tempo infinitamente lungo, questo prima o poi scriverebbe un’opera di Shakespeare, almeno secondo il teorema della scimmia instancabile. Se affidassimo a un’intelligenza artificiale (IA) lo stesso compito, potrebbe metterci pochi giorni. E avrebbe bisogno di molte meno banane. In un mondo dove reale e digitale sono sempre più intrecciati, distinguere la mano umana da quella robotica è un’impresa, e il giornalismo non fa eccezione. Con le nuove tecnologie, presente e futuro della professione sono a un bivio: affidarsi all’innovazione o restare legati a piuma, mente e calamaio?
Se in Italia la questione è dibattuta, oltreoceano hanno già la risposta. «La sperimentazione delle IA applicata al giornalismo è partita oltre dieci anni fa negli Stati Uniti», spiega Marco Pratellesi, vicedirettore del settimanale Oggi. «I primi esperimenti di scrittura automatizzata, in particolare, risalgono al 2009. Si è partiti analizzando i campionati universitari di baseball e da quel progetto è nata la società Automated Insight, ancora oggi attiva nel settore».
Intelligenza artificiale e giornalismo: i nuovi scenari
Non solo scrittura automatizzata: alle nuove tecnologie vengono delegate funzioni sia alternative, sia di supporto alla professione. «Ci sono quattro macro scenari» dice Aldo Fontanarosa, giornalista di Repubblica e autore del libro Giornalisti Robot (2020). «Nel primo, è il redattore che usa l’IA per essere più veloce e produttivo; nel secondo, l’IA al servizio del giornalismo investigativo fa un lavoro approfondito di data mining [analisi e ricerca dei dati, ndr], consentendo al cronista di occuparsi di altro; nel terzo, le intelligenze artificiali scrivono autonomamente articoli con schemi sempre uguali (partite di calcio, resoconti finanziari, meteo; si tratta di pezzi incentrati su pochi e semplici dati) e, soprattutto in questo caso, gli scritti delle macchine sono indistinguibili da quelli di matrice umana; nel quarto scenario, le IA sono al servizio del marketing e delle aziende editoriali. Osservano il comportamento degli utenti dei siti web, indagano sui loro gusti, misurano la propensione al pagamento degli articoli o di un abbonamento e al suo rinnovo».
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A svolgere un ruolo chiave nell’automazione del giornalismo, la creazione di laboratori di ricerca e sviluppo (R&D Labs) da parte dei grandi gruppi editoriali, soprattutto negli Stati Uniti. La loro funzione è capire quali siano gli strumenti tecnologici e i software che possono aiutare i redattori a produrre informazione e a ottimizzare i tempi di scrittura. Un ambito, secondo Pratellesi, in cui l’Italia è indietro: «È una questione di cultura: è vero che la rivoluzione vera e propria si fa con le tecnologie, ma per far sì che qualcosa cambi serve una mentalità nuova, aperta al futuro. Negli Usa, dove questo è accaduto, il rapporto di collaborazione tra IA e giornalismo (e giornalisti) è ormai consolidato». La responsabilità di innovare è in capo agli editori: «Tutti quelli che hanno adottato questi strumenti – continua – hanno avuto benefici sostanziali. Sono tecnologie altamente scalabili: una volta che cominci ad adottarle, ti rendi conto che puoi ampliarne sempre più il raggio di applicazione».
Saper scrivere e saper programmare
Il giornalista del futuro, oltre a saper scrivere, dovrà forse imparare a programmare. Per Fontanarosa, «si sta affermando sempre più il redattore dal curriculum ibrido, che oltre a competenze umaniste ha nel suo bagaglio studi meccanici e matematici. Ne è un esempio Jeff Ernsthausen, che ha lavorato per l’Atlanta Journal Constitution e che, a cavallo tra 2016 e 2018, ha smascherato alcuni medici che restavano in servizio malgrado fossero accusati di molestie sessuali nei confronti delle loro pazienti, il tutto grazie all’assistenza delle IA nell’analisi di banche dati particolarmente vaste».
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Cos’altro rallenta la diffusione dei “giornalisti robot” in Italia? «Abbiamo una cultura diversa dagli Stati Uniti – prosegue Fontanarosa – dove il presidente di Amazon, Jeff Bezos, può comprare una testata come il Washington Post e riempirla di intelligenze artificiali senza che nessuno batta ciglio. Da noi esiste un contratto nazionale di lavoro, c’è un sindacato di categoria. Credo che se un giornale ammettesse di aver iniziato a far scrivere articoli alle macchine, potrebbero esserci scioperi e molte critiche. È giusto preservare i posti di lavoro, ma bisogna trovare un nuovo punto di equilibrio. Non siamo in Cina, dove non esistono limiti di questa natura e dove un’agenzia di informazione come Xinhua può dotarsi di un avatar poliglotta, indistinguibile da un conduttore in carne e ossa, per risparmiare sul personale. Qualcosa, però, può essere fatto».
Un nuovo approccio alla professione
Nessun pericolo per i redattori: a cambiare, secondo il giornalista di Repubblica, sarà l’approccio alla professione. «Gli editori emergenti, anche con scarsi capitali, potrebbero adottare un nuovo modello: le macchine si occupano delle notizie di rullo; i giornalisti di poche e grandi inchieste, magari aiutati dalle tecnologie intelligenti. Ne è un esempio la vittoria del premio Pultizer da parte di Associated Press, nel 2015, con l’indagine ibrida Seafoods from slaves, dove le IA hanno aiutato i cronisti a scoprire un giro di pescatori schiavi in un’isola indonesiana. Credo che in circostanze come questa, ma anche in situazioni più ordinarie, le intelligenze artificiali possano migliorare il lavoro umano, più che deprimerlo».
Un’implementazione che, oltre a incrementare la produttività, ridurrebbe i costi di un settore da tempo in crisi. Secondo Pratellesi, «i giornali continuano a perdere copie da anni, anche i ricavi pubblicitari sono in calo. L’utilizzo di sistemi simili può rilanciare le testate e migliorare la qualità dei loro prodotti: togliendo ai giornalisti le attività da “catena di montaggio”, che possono essere svolte dalle IA, si danno loro più tempo libero e più spazio allo spirito creativo. La produttività potrebbe aumentare, e con essa la qualità del lavoro. Le nuove tecnologie – conclude – ci aiuteranno a individuare le notizie con più precisione, eliminando il rumore di fondo. E a guadagnarci saranno non solo i giornali e gli editori, ma soprattutto i lettori».