Questa settimana si è aperta con la notizia peggiore possibile: Richard Benson, leggendario musicista e intrattenitore della scena romana, ci ha lasciati dopo una lunga malattia. Quando iniziarono i suoi problemi di salute, per aiutarlo e supportarlo nell’acquisto dei farmaci salvavita, noi di theWise eravamo andati a trovarlo a casa sua, realizzando questa intervista sul suo percorso artistico. La riproponiamo in questo numero per omaggiare Richard e la sua sfolgorante carriera.
Intervista di Christian Conti, a cura di Francesco Stati
Guardando indietro a questo 2016 non possiamo non immaginare che, con ogni probabilità, verrà ricordato come uno degli anni più neri in assoluto per quel che riguarda la scomparsa di volti noti e personaggi illustri. Da David Bowie ad Alan Rickman, passando per Prince e Leonard Cohen, molti sono gli ambiti e i Paesi che piangono i loro VIP. Il nostro non è stato risparmiato: abbiamo dovuto dare l’ultimo saluto a personaggi del calibro di Giorgio Albertazzi, Carlo Pedersoli (alias Bud Spencer), Anna Marchesini, Dario Fo e Umberto Veronesi. Il 2017 per noi rischia di aprirsi così come il 2016 si è concluso, nel segno delle morti eccellenti. Un altro nostrano personaggio infatti, a suo modo “illustre”, rischia di lasciarci presto: Richard Benson.
Per chi non lo conoscesse, Richard Philip Henry John Benson è un musicista e cantante romano dalle origini britanniche, nato a Woking, una cittadina di sessantamila anime situata circa cinquanta chilometri a sud di Londra, il 10 marzo 1955. È diventato famoso dapprima nell’underground della musica metal nella capitale e in seguito in tutto il territorio nazionale grazie ai video dei suoi concerti circolati su internet, nei quali i fan sono soliti gettargli contro qualsivoglia genere alimentare, dai classici ortaggi fino a interi polli e pesci. Richard è tornato a far parlare di sé per un’intervista rilasciata a Repubblica il 22 novembre 2016: rivolgendosi direttamente ai propri fan, Benson annuncia di essere affetto da gravi problemi cardiovascolari e chiede sostegno economico.
Checché se ne dica, Richard Benson è (soprattutto nella Capitale) un artista entrato a far parte dell’immaginario collettivo e nella cultura popolare. I suoi video sono cliccatissimi su internet e sebbene abbia raggiunto la popolarità grazie proprio alla goliardia di questi ultimi e sulla costruzione e la cura del personaggio che ne è derivato, è pur vero che prima di arrivare a esibirsi dal vivo, con annessi e connessi, numerosi meriti gli vanno riconosciuti.
È di questi che vi parleremo: quando una leggenda dell’internet chiede aiuto, noi de Il meglio di Internet non possiamo non rispondere alla chiamata. Così siamo andati a fare un’intervista a Richard Benson, per rinnovare il suo appello e soprattutto per strappargli i segreti di una carriera e far luce sulle vicende più oscure del chitarrista, oltre che per conoscere meglio l’uomo che è dietro al personaggio. Quanto segue è un sunto, spurio (per scelta dell’autore) di tutte le parole che non trovano riscontro nella cronaca, del lungo racconto che Richard ci ha concesso.
COME STA?
«Purtroppo non sto molto bene. Ho problemi al cuore, respiro male. Non ho neanche i soldi per comprare le medicine. Continuo a fare concerti, che mi pagano anche bene, ma io devo anche mangiare e badare a mia moglie. Ho bisogno di una casa: tra poco sarò in mezzo a una strada. Spendiamo solo in medicine, per me, circa trecento euro mensili, quasi l’intera pensione di invalidità di mia moglie; per tutto il resto ci appoggiamo al mio reddito, ma non basta. Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuto fino a ora, e rinnovo il mio appello: aiutatemi».
«Non intendo abbandonare la musica neanche adesso che sono malato di cuore e faccio fatica a respirare. Anzi, la mia maggiore aspirazione è proprio quella di morire sul palco. Non è questione né di sensibilità, né di religione. È solo quel “Dio” ipotetico, che per me non è altro che una parola, che mi dà la forza di continuare. Devo registrare il mio ultimo disco, dopo L’Inferno dei Vivi, che si chiamerà Il Delirio della Psiche, ossia Psycho Delirium. Ho ricevuto anche un’offerta da una casa discografica di Como e sto cominciando a costruire i pezzi. Ho già pronti una decina di brani, solo musicati, cui mancano ancora i testi».
«No, prima, molto prima. Sono cinquantatré anni che faccio questo mestiere. Ho iniziato da ragazzino, formando la prima boy band, alle elementari, con la quale vinsi alcuni premi».
«Questo dopo aver formato “The Horses”, “The Light” e “I Baronetti”, il gruppo che lavorava di più nei locali. Anzi, ti dirò di più: io scappai di casa a tredici anni, esibendomi al Piper, facendo finta di avere sedici anni, suonando come “Richard Benson e gli Atomi”. Poi mi misi con gruppi più famosi, come “Il Rovescio della Medaglia”, che era il terzo gruppo più popolare in Italia. Eravamo i primi ad avere un tir privato per i nostri spostamenti».
«Non solo Ciao2001, che all’inizio si chiamava Ciao Amici, inizio a collaborare con diversi giornali. Anzi, facevo proprio il corrispondente da Londra».
«Ho fatto trasmissioni sia a livello regionale che nazionale. Ho lavorato due volte con Bonolis, sono molto amico del suo autore, ho fatto alcuni programmi con Max Giusti, I Solati prima e Stile Libero dopo. Ho collaborato con Pippo Baudo, ho fatto cinque comparse al Chiambretti Night e non solo: Blu TV, Nuova TeleRegione, Rete Oro, TeleVita…».
«Mi è costata duemila euro al mese. Ci fu un certo riscontro, ma poi decisi di abbandonare: troppo cara. Basta mandare un solo messaggio su Youtube, Facebook e Twitter che ti vedono tutti, gratis, quindi perché pagare un sacco di soldi?».
«E non solo a Roma! Ovunque sono andato ho sempre registrato il tutto esaurito. Anzi, di recente hanno dovuto mettere le specchiere davanti ai locali, così che tutti i ragazzi rimasti fuori potessero vedere e non rimanere delusi…».
«Sì, la mia moto ha sbandato e ho fatto un volo di circa trenta metri. Chiunque sia caduto nel punto dove sono caduto io non ce l’ha fatta: sono l’unico che è sopravvissuto. Ricordo solo le luci dell’ospedale e le operazioni; dovetti fare molta riabilitazione, non riuscivo nemmeno a camminare. Ho rischiato altre volte di morire, ma non per incidenti: colpa di alcune donne molto ricche e molto gelose. Nella mia vita avrò avuto circa quindicimila donne: passando di casa in casa ho potuto campare come musicista, sovvenzionato da queste signore sempre ricche, belle e facoltose».
«Io ho avuto diverse ragazze bellissime che facevano da cantanti nei miei gruppi. L’ultima di queste è stata Lara, una ragazza incantevole ma non dotata di una grande voce. In un locale, una sera, mi si avvicinò Ester. Mi chiese una birra, io glie la offrii. Non mi colpì, però: aveva i capelli corti, sembrava un maschiaccio.
Mi cercò altre quattro volte: una di queste gli chiesi se sapeva cantare, e lei mi rispose di sì. Siccome Lara non aveva voce, feci un provino a Ester. Venne in una mia sala di registrazione a Ostia e si presentò truccata in una maniera meravigliosa. Decidemmo di vederci anche a casa mia. Da lì in poi abbiamo percorso la vita insieme. La prima cosa che notai di lei furono gli occhi, intelligentissimi. Dopo ci lasciammo per circa un anno, ma una volta ripresa non ci siamo mai più separati, e ora lei è la signora Ester Benson».
«Come già detto dovrebbe chiamarsi “Il delirio della Psiche”. Il genere è misto: ho già composto alcuni pezzi, che non ritengo però ancora all’altezza… ci devo lavorare, vanno affinati. Devo stare molto attento: mi sveglio molto presto la mattina, verso le tre e mezza, e comincio a suonare a chitarra spenta, comincio a pensare. Devo essere molto concentrato quando lavoro, come ho fatto con L’inferno dei Vivi, in cui tutti i testi e molte delle musiche sono miei. Non dovrà essere per nulla simile all’ultimo album, ma completamente diverso, perché non voglio ripetermi mai».
«Sì. Mancano i testi, devo parlare con il produttore… se li vuole in italiano dovrò procurarmi un collaboratore per la traduzione ma, ripeto, è ancora tutto da vedere. Devo lavorare molto attentamente: non voglio commettere alcun errore».
«Circa tre mesi. Il disco deve piacere innanzitutto a me; quando sarò soddisfatto, allora potrò convincere anche gli altri, altrimenti lascio perdere. A quel punto posso chiedere anche a qualcuno a finanziarmi… scrivo pezzi di continuo, ne butto via tantissimi ma non è lavoro sprecato: mi alleno a suonare, affino la tecnica».
«Sì, due, in videocassetta. Per corde e grida il primo, Heavy agenda il secondo. Poi due video didattici, sulla velocità della chitarra nel metal».
«Tutti i gruppi che ho sentito di recente mi hanno fatto schifo. Posso spendere però una parola su Caparezza, che è un rapper pazzesco: io non riuscirei a mettere tutti quei testi insieme in maniera così veloce. Mi hanno colpito anche i Negramaro per la loro bravura. Un mio sogno nel cassetto resta fare un duetto con Vasco Rossi. Volevo dire poi, riguardo il discorso di prima, che la velocità non è tutto, nel suonare la chitarra: bisogna anche rispettare il pezzo, la musicalità.
L’assolo di chitarra deve sposarsi con il brano in cui è incluso. Può essere lento, veloce, ipertecnico, ma la cosa più importante sono le note che scegli, che si devono incastrare bene nel pezzo, altrimenti non c’è ragione di farlo, l’assolo di chitarra. Magari un brano potrei farlo strumentale! Io amo suonare in trio [chitarra, basso e batteria, ndr]… magari sì, un pezzo lo farei strumentale, mentre gli altri cantati, ma sempre molto ragionati».
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