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Imputabilità: una scappatoia per l’imputato?

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Michele Corato

Il processo in Italia è sorretto da un complesso sistema di norme atte a garantire la giustizia. Nel procedimento penale, particolare importanza riveste il concetto di imputabilità (capacità di intendere e di volere del soggetto al momento della commissione del reato). Questa è un elemento essenziale ai fini della condanna, che fonda le sue radici su precise norme costituzionali dirette a garantire l’efficacia della pena.

Agli occhi della vittima o dei familiari della stessa, l’imputabilità si traduce spesso in una sorta di affronto perché viene vista come un modo, per il colpevole, di evitare la condanna. In questi casi il giudice diventa il nemico, portatore di una giustizia a metà. Il sistema giudiziario, invece, viene additato come espressione di una giustizia inesistente, di impunità per i colpevoli. Ma così non è. L’imputabilità, invece, rappresenta un baluardo diretto sia di efficacia della pena, sia di civiltà.

Il concetto di imputabilità

L’imputabilità, prevista dall’art. 87 del codice penale, è un presupposto necessario all’applicazione della pena. Per quanto riguarda la capacità di intendere, si riferisce alla capacità di comprendere il valore delle proprie azione e omissioni. Il concetto di capacità di volere, invece, coincide con la consapevolezza del singolo di distinguere fra cosa è sbagliato e cosa è giusto. 

Il concetto di imputabilità, così come delineato dal codice, coincide allora con la salute mentale dell’individuo, con la consapevolezza delle proprie azioni e l’accettazione delle conseguenze derivanti dalla propria condotta. L’imputabilità è strettamente collegata alla funzione ultima della pena, così come alla rimproverabilità e pericolosità del criminale. La pena in Italia ha una triplice funzione: è diretta alla prevenzione di crimini attraverso la minaccia di una reazione; ha finalità punitiva e di giustizia sociale; ha funzione rieducativa e di reinserimento sociale. Chi non è capace di autodeterminarsi, dunque, non ha possibilità di comprendere il disvalore della propria condotta, né di regolare i propri impulsi. Da ciò deriva che da un lato non potrà essere punito in quanto non moralmente rimproverabile e, dall’altro, qualora fosse punito la pena non potrebbe assolvere al suo scopo.

La capacità di intendere e di volere può essere influenzata da diversi fattori anagrafici, fisiologici e tossicologici.

La minore età

Il primo elemento che può incidere sull’imputabilità è di tipo anagrafico e, più precisamente, coincide con la maggiore età. Un soggetto è pienamente imputabile se maggiorenne; tuttavia, i minori non sono del tutto esclusi dalla scure della giustizia.

In questi casi si rende necessario distinguere fra il minore di età compresa fra i 14 e i 18 anni e il minore di 14 anni. Nel primo caso, il Giudice è chiamato a valutare, nel caso concreto, se vi sia o meno la capacità di intendere e volere dello stesso. La ricerca, in quest’ottica, sarà quindi orientata all’effettivo sviluppo cognitivo del minore, alla capacità di intendere e volere dello stesso. La pena, in caso di imputabilità, avverrà in maniera ridotta. Nel secondo caso, dove il soggetto abbia meno di 14 anni, la legge dà per presunta l’incapacità del minorenne.

Il vizio di mente

Di particolare rilievo è la non imputabilità del soggetto incapace di intendere e volere per vizio di mente. 

La definizione di vizio di mente individuata dal codice penale non coincide con quella di tipo medico che, invece, prevede una serie di distinzioni patologiche fra cui rientrano anche i disturbi della personalità. Con riguardo a queste ultime patologie, in passato escluse dalla giurisprudenza come determinanti ad incidere sull’imputabilità, si è di recente iniziato a riconoscerle nel caso in cui influiscano sulla normale formazione della volontà al momento della commissione del crimine. Del tutto irrilevanti sono invece gli stati emotivi o passionali, come la gelosia, la paura o un impeto di rabbia, che non escludono l’imputabilità.

Con riferimento al vizio di mente, è necessario distinguere fra il vizio totale e quello parziale. Qualora il vizio sia tale da escludere del tutto la capacità di intendere e volere il soggetto non sarà imputabile si parla di vizio totale. Nel caso, invece, in cui il vizio di mente comporti solo una diminuzione della capacità di intendere e volere, questi sarà imputabile, tuttavia la pena verrà ridotta.

Droga e alcool

Un discorso a parte meritano le alterazioni della capacità di intendere e volere causate da sostanze alcoliche o stupefacenti, equiparate nella disciplina dal legislatore. L’intossicazione è punita con particolare severità: la stessa non è idonea a escludere l’imputabilità e, anzi, può portare a un aumento della pena.

L’ubriachezza o l’intossicazione volontaria sono del tutto ininfluenti rispetto all’applicazione della pena. Esse però possono incidere sull’imputabilità qualora siano abituali, croniche o accidentali.

Nel caso di intossicazione abituale, infatti, la pena subisce un aumento e ciò in un’ottica punitiva di uno stato di vita antisociale. Negli altri casi, invece, porta a un’esclusione dell’imputabilità. Con intossicazione cronica si intende lo status del tossicodipendente o dell’alcolizzato cronico, che viene equiparato al vizio di mente totale, o parziale, a seconda dei casi. L’intossicazione accidentale, infine, è quella non attribuibile al soggetto perché causata da altri o per sua colpa scusabile. In quest’ultima ipotesi il soggetto non sarà imputabile.

Il codice penale prevede dunque diverse ipotesi di imputabilità, tutte collegate alla non rimproverabilità del soggetto colpevole. In questi casi, la prima conseguenza è quella che lo stesso non potrà essere condannato.

Nell’immaginario comune, ciò equivale a un’assoluzione piena, ossia alla possibilità per il soggetto di poter tornare indisturbato nella società e, possibilmente, ripetere i propri crimini. Ma non è sempre vero e, anzi, nella maggior parte dei casi sono comunque previste tutele per il comune vivere dirette, al pari della pena, al reinserimento sociale. In Italia il sistema penale si struttura in un duplice binario: alla pena si affiancano le misure di sicurezza il cui scopo, appunto, è quello di far fronte alla pericolosità sociale di un individuo. Queste possono essere disposte a seguito della pena ordinaria, nei casi di riduzione della pena, o alternativamente a essa nei casi di imputabilità. Determinante per l’applicazione delle misure di sicurezza è il concetto di pericolosità sociale mediante il quale il giudice è chiamato a valutare, nel caso concreto, la possibilità di commissione di nuovi reati. Le misure di sicurezza sono molteplici, come l’assegnazione a una colonia agricola, a una casa di lavoro, a una casa di cura o a una R.E.M.S. (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Le misure di sicurezza, a differenza delle pene, non sono determinate nel tempo: perdurano fino all’esistenza della pericolosità sociale.

Sbaglia dunque chi ritiene la non imputabilità del colpevole una semplice via di fuga o, peggio, una dimostrazione dell’assenza di giustizia in Italia. L’istituto dell’imputabilità, al contrario, è una dimostrazione di giustizia. Non è infatti possibile condannare a una pena detentiva chi non è in grado di comprendere o controllare le proprie azioni, per età o per vizio di mente che sia. Non può esserci giustizia se lo strumento della pena viene visto come una ripicca o, meglio, come mera vendetta per la vittima. La pena ha lo scopo di rieducare, non di crocifiggere. Diversamente, si ritornerebbe alla legge del taglione attraverso l’annullamento di tutte le garanzie processuali.

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Michele Corato

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