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Obi-Wan Kenobi, le considerazioni di metà stagione – WiSerial

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Giacomo Stiffan

Attenzione: questo articolo contiene spoiler della serie Obi-Wan Kenobi fino al terzo episodio della prima stagione.

Obi-Wan Kenobi, un nome che a qualsiasi appassionato di Guerre stellari fa correre un brivido lungo la schiena.

È uno dei personaggi più amati in assoluto di tutto il franchise: allievo di Qui-Gon Ginn, maestro di Anakin e Luke Skywalker, fraterno amico di Ahsoka Tano e Yoda e uno dei più grandi maestri jedi di tutti i tempi.

Se sommiamo l’hype a livelli cosmici che gira intorno a questo personaggio a un fandom tra i più pignoli in assoluto possiamo comprendere l’enorme difficoltà che la showrunner/regista/produttrice Deborah Chow si è trovata ad affrontare.

Hello, general Kenobi

Diciassette anni dopo La vendetta dei Sith Ewan McGregor riprende il ruolo. Invecchiato come un buon vino pregiato, mette davanti alla cinepresa un Obi-Wan Kenobi disilluso, in apparenza depresso, alienato in una routine che lo costringe a soffocare se stesso chiudendosi alla Forza. Solo e solitario, fa quello che deve fare: tiene d’occhio il giovane Luke e svolge una vita misera, evitando qualsiasi sospetto e tenendosi alla larga dagli inquisitori imperiali alla ricerca dei jedi sopravvissuti all’ordine 66, che ne aveva decretato l’annientamento.

Ma quando la giovane Leia viene rapita (da Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers, nel caso non l’aveste notato), Obi-Wan deve mettere in pausa la ripetitiva vita su Tatooine per lanciarsi alla sua ricerca.

Obi-Wan Kenobi, una serie non perfetta

Diciamolo: le aspettative erano altissime ed è giusto valutare la serie attraverso questa lente distorsiva. Fosse la storia di qualsiasi altro personaggio secondario su alcune cose si potrebbe passare sopra, ma con Obi-Wan Kenobi non ci può essere il minimo margine di errore.

Leggi anche: The Book Of Boba Fett, la recensione – WiSerial

Deborah Chow, sapendolo, non si prende grossi rischi, eppure la regia è altalenante. Se nelle fasi di approfondimento dei personaggi Chow tira fuori il suo talento, nei momenti più concitati mostra tutti i suoi limiti. Gli inseguimenti, in particolare, sono inguardabili, soprattutto quello su Alderaan in cui rapiscono Leia. Una scena ai limiti dell’imbarazzo: i sequestratori corrono più lentamente di una bambina di dieci anni e si scontrano contro i rami come se non li vedessero.

Anche l’incontro/scontro tra Obi-Wan e Darth Vader termina con modalità poco plausibili: non è certo un fuocherello che dovrebbe fermare un signore oscuro dei Sith, eppure accade. Attendiamo, nella speranza che vengano date motivazioni più strutturate (sempre che arrivino).

I difetti ci sono…

La resa degli inquisitori è posticcia. Ci sono chiari e scuri per quanto riguarda le interpretazioni (benissimo la terza sorella di Moses Ingram, così così gli altri) ma c’è un filo comune che penalizza tutte le loro performance ed è la presenza di costumi e trucco sotto la media a cui ci ha abituato Star Wars. Il grande inquisitore è stato molto criticato da una fetta della fanbase e c’è un fondo di verità: fa specie vederlo così poco curato quando nello stesso franchise gli altri membri della sua razza sono stati resi in maniera di gran lunga superiore. Questo purtroppo va a inficiare la performance generale del personaggio.

La razza Pau’an nei film è molto diversa da com’è stata resa nella serie.

La trama, per ora, tende al banalotto. Non si osa niente di innovativo ma si rimane nell’archetipo classico dell’eroe riluttante. Obi-Wan è chiuso alla forza da dieci anni e tale sembra voler rimanere. Fa specie vederlo negare aiuto a un jedi in fuga e non fare niente per salvare innocenti dalle rappresaglie degli imperiali, in primis proprio il suo ex allievo, Darth Vader.

Eppure…

Nonostante i difetti è impossibile non emozionarsi. La differente forma del prodotto (serie invece di film) permette a Chow di delineare in maniera molto efficace lo stato di partenza di Obi-Wan Kenobi. Il parallelismo con il disilluso Luke della trilogia sequel è evidente, ma questa volta funziona: il primo episodio si prende il giusto tempo per tratteggiare il cambiamento avvenuto in Obi-Wan, cosa che non è stata fatta per Luke e che per questo è risultato alieno nel suo comportamento per molti fan. In altre parole, Luke non era più Luke e non è stato dato il giusto tempo ai fan di assimilarne la ragione, cosa che con Obi-Wan invece è stata fatta in maniera esemplare dedicandovi un intero, lunghissimo episodio. Potere della serialità.

Molte le interpretazioni di gran livello, e la bravura della regista nel delineare i personaggi ne massimizza l’effetto. Ewan McGregor è sempre spettacolare, sebbene si carichi l’intero show sulle sue spalle. Un’interpretazione profonda la sua, fatta di sguardi intensi e poche battute: basta un primo piano sul suo viso per capire tutto, senza bisogno di parole, che comunicherebbero molto meno.

Anche il falso jedi interpretato da Kumail Nanjiani sembra a prima vista un personaggio con grandi potenzialità. Nanjiani lo interpreta bene e soprattutto durante il suo commiato con Obi-Wan s’intravede una profondità che mette nello spettatore la curiosità di saperne di più. Speriamo di rivederlo in Andor, altra serie di prossima uscita che si svolge poco dopo Obi-Wan Kenobi. Ben fatto.

Degna di nota anche la prestazione della piccola Leia Organa interpretata dalla bravissima Vivien Lyra Blair. Sveglia, sferzante, ribelle, proprio come la mitica Carrie Fisher.

Molto belle le ambientazioni, tutte. Tatooine, Alderaan (una bellissima fusione di urbanità e natura) e Daiyu, con le sue atmosfere a mezza via tra Hong Kong, la Los Angeles di Blade Runner e Gotham City, soprattutto sopra i tetti.

I combattimenti

Qui c’è una chicca che un aikidoka (come chi scrive) non può non notare, lo stile di combattimento a mani nude di Obi-Wan Kenobi: Aikido, quasi in purezza.

Arte marziale giapponese sviluppata da Morihei Ueshiba nel secolo scorso, l’Aikido è una disciplina aggraziata ed «elegante, per tempi più civilizzati», proprio come una spada laser. È un’arte marziale per definizione difensiva, nonostante derivi dalle devastanti tecniche da guerra dei samurai. L’Aikido sfrutta l’energia dell’avversario con movimenti circolari, prese, leve articolari e proiezioni, sfruttando colpi irradianti piuttosto che dirompenti. È un’arte “gentile”, che nonostante l’efficacia non si prefigge di arrecare danno se non strettamente necessario, esattamente com’è l’indole di Obi-Wan.

Nel breve combattimento poco prima della liberazione di Leia, Chow riesce a enfatizzare con la sua regia i tipici movimenti circolari dell’Aikido. Si tratta di riprese dall’alto davvero suggestive per chi apprezza questi aspetti.

Tutto questo è un meraviglioso parallelismo con lo stile di combattimento con la spada laser di Obi-Wan, il Soresu. Nel canone di Star Wars infatti esistono stili di combattimento codificati, ognuno con le sue peculiarità. Il Soresu è lo stile difensivo ed energicamente meno dispendioso per antonomasia, di cui Kenobi era il più grande maestro in assoluto. Scegliere l’Aikido come stile di combattimento per lui è per tale ragione una scelta oculata e coerente con la storia del personaggio.

Trilogia prequel vs trilogia originale

Uno degli aspetti più stridenti della serie prequel era la spettacolarità dei combattimenti, completamente diversi da quelli della trilogia originale, molto più composti. Lo stile, al tempo limitato anche dalle possibilità tecniche, era preso di peso dai film di Kurosawa: samurai, gioco di sguardi, piccoli movimenti alla ricerca di una falla nella difesa avversaria per entrare. Nei prequel invece assistiamo ad acrobazie degne del circo con scambi di colpi al fulmicotone. Basti pensare al duel of the fates o al duello tra Obi-Wan e Vader ne La vendetta dei Sith.

Nella serie assistiamo a un approccio di transizione. Obi-Wan è appannato da un decennio di chiusura alla forza e di mancanza di pratica con la spada laser. Vader ha tutti gli arti mutilati e combatte grazie alle protesi cibernetiche, che non sono all’altezza delle sue vere braccia e delle sue vere gambe ma di converso gli conferiscono una forza fisica smisurata. Infatti non è un caso che Vader affronti Obi-Wan con la sola mano destra, tenendo la sinistra libera per eseguire proiezioni con la Forza. Vader, dopo il suo passaggio al lato oscuro, adotta uno stile di combattimento molto meno acrobatico e molto più fisico, fatto di potentissimi e reiterati attacchi la cui devastante energia richiede a Obi-Wan entrambe le mani per resistere.

Giudizio

Al momento voto 8 su 10, con ottime prospettive di crescita.

Dita incrociate per la seconda parte.

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Giacomo Stiffan

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