L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. – Art. 11 Costituzione italiana.
Giunti ormai a tre mesi dall’inizio un conflitto che di lampo aveva solo le intenzioni, l’Italia, così come tutti gli Stati europei, è pienamente coinvoltiae ciò politicamente, economicamente e, a detta di alcuni, direttamente a causa dell’invio di armamenti, oltre alla condivisione delle sanzioni sovranazionali.
Mentre da un punto di vista politico ed economico le scelte sono state sottratte al Governo o, per meglio dire, l’Italia si è trovata coinvolta quale Paese membro di organizzazioni europee e internazionali, per ciò che concerne l’invio di armi e materiali all’Ucraina, così come per la partecipazione alle sanzioni nei confronti della Russia, occorre chiedersi se tali prese di posizione possano conciliare con la Costituzione e, in particolare, con il ripudio della guerra da parte del nostro Paese.
Per comprendere al meglio la posizione italiana nei confronti della guerra è necessario partire dalla base, da ciò che costituisce il fondamento portante dello Stato nonché la rappresentazione storica e culturale del nostro popolo: la Costituzione.
Senza perderci in un’analisi dettagliata sul contenuto della Carta, è sufficiente qui ricordare che i primi dodici articoli della stessa enunciano i principi fondamentali e, pertanto, oltre a essere immodificabili dal legislatore, sono dotati di una particolare e intrinseca importanza. Fra di essi spicca l’articolo 11, nel quale viene espresso il principio pacifista, al primo comma, al quale si affianca l’adesione alla comunità europea esposto, invece, nel secondo comma.
Il predetto articolo è frutto del contesto storico nel quale è stata scritta la Costituzione. L’Italia, appena uscita dal secondo conflitto mondiale e con l’intento di prevenire il ripetersi della storia, ripudia la guerra come strumento di aggressione nei confronti di un Paese sovrano. La norma testualmente prevede il ripudio della guerra come strumento offensivo dunque, di contro, è considerata pienamente lecita la guerra di tipo difensivo, in caso, cioè, di attacco militare ad opera di un Paese straniero.
Il secondo comma, invece, è stato inizialmente previsto dai costituenti al fine di permettere all’Italia la partecipazione alle operazioni militari e alle modalità di risoluzione delle controversie previste dall’Onu. L’Italia, attraverso tale previsione, rinuncia in parte alla propria sovranità nell’uso della forza, rimettendosi nelle mani di altri organismi.
Lo stesso comma, nonostante come appena evidenziato non fosse questa la sua funzione originaria, nel corso della storia è stato interpretato con un’accezione più ampia al fine di permettere l’adesione dell’Italia alle Comunità Europee giustificando, quindi, eventuali recepimenti legislativi che, di fatto, si concretizzano come una limitazione della sovranità, legislativa in questo caso, dell’Italia. Limite invalicabile di tale compressione, parlandosi appunto di sola limitazione e non di totale cessione, è dato dai diritti inviolabili della persona nonché dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano.
La possibilità di una guerra, dunque, non è completamente da escludersi al netto dell’analisi della Costituzione. L’impianto costituzionale italiano infatti prevede diverse norme dirette a un simile scenario che, per come poc’anzi anticipato, è limitato ai soli casi di guerra di aggressione. Rilevano, in quest’ottica, l’art. 78 e l’art. 87 della stessa Costituzione.
Il primo di questi articoli consente al parlamento il potere di deliberare sullo stato di guerra. In questo caso si tratta di un atto politico, con efficacia immediata, che determina l’entrata in vigore della legislazione eccezionale prevista per la guerra.
L’art. 87, invece, attribuisce al presidente della Repubblica il potere di dichiarare lo stato di guerra. Tale funzione è strettamente collegata a quella delineata dall’art. 78: una volta che il Parlamento ha deliberato lo stato di guerra il Presidente della Repubblica rilascia una dichiarazione il cui effetto è quello di efficacia verso l’esterno in quanto, nei rapporti internazionali, una guerra può dirsi iniziata unicamente con esplicita dichiarazione allo Stato nemico.
Tornando, ora, al quesito iniziale ci si deve interrogare sulla natura degli aiuti e delle merci che l’Italia invia all’Ucraina nonché al concetto di guerra così come stabilito dalla Costituzione.
Sostanzialmente la Carta costituzionale vieta lo strumento della guerra quando questo è di tipo offensivo, diretto a opprimere una popolazione o comunque, attraverso l’utilizzo della forza, a conquistarne territori sia direttamente (si pensi al caso di un ipotetico conflitto iniziato dall’Italia) sia indirettamente (nel caso, invece, di partecipazione a una guerra di offensiva da parte di un altro Paese). La Costituzione, al contrario, consente la guerra di tipo difensivo il cui scopo è quello di garantire la sicurezza e l’integrità dell’Italia, del popolo e dei valori fondamentali nel caso di un’aggressione. Anche l’ipotesi di una guerra di tipo difensivo deve essere valutata e interpretata in senso ampio, pertanto l’Italia può intervenire o utilizzare lo strumento della guerra nel caso in cui fosse aggredito un Paese e ciò al solo scopo di difenderlo.
Nel caso dell’Ucraina, al netto dell’interpretazione appena fornita, l’invio di merci non violerebbe l’art. 11 della Costituzione e, anzi, sarebbe pienamente legittimo anche nel caso in cui siano inviati armamenti.
Diverso sarebbe il caso in cui il Paese che riceve aiuti da parte dell’Italia decidesse di utilizzare le stesse armi per l’attacco di un Paese terzo perché, in questo caso, ci troveremo di fronte a una guerra di aggressione, ma non è questa l’ipotesi.
La liceità dell’invio di armi all’Ucraina è stata ribadita, negli stessi termini appena esposti, dal presidente della Corte Costituzionale Amato nella relazione annuale al palazzo della Consulta del 7 aprile 2022.
In quest’occasione egli ha precisato e ribadito la netta e fondamentale distinzione tra guerra di aggressione e guerra di difesa rilevando che, se quest’ultima non fosse possibile, non avrebbero alcun senso gli articoli della Costituzione che disciplinano l’eventualità di una guerra e, nemmeno, il dovere imposto ai cittadini di difendere la patria previsto specificatamente dall’art. 52 della stessa Costituzione. Detto articolo fa parte dei doveri inderogabili che la Costituzione impone al cittadino e, in particolare, al dovere “sacro” di difendere la patria che, oltre al sospeso servizio militare, fa riferimento a tutti quei comportamenti sociali diretti alla difesa non armata della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli nonché alla promozione dei valori fondamentali della Repubblica.
A livello sovranazionale, poi, rivestono particolare importanza sia l’art. 5 del Trattato della Nato sia l’art 42 del Trattato sull’Unione europea. Attraverso questi articoli, se uno Stato membro subisce un’aggressione nel proprio territorio, gli altri Stati sono tenuti a fornire supporto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso e che, diversamente, sarebbero da considerarsi illegittimi.
D’altronde l’art. 51 della carta dell’Onu considera come naturale e fondamentale il diritto all’autotutela in caso di aggressione armata che, come nel caso dell’Ucraina, è mossa nei confronti di uno Stato libero, riconosciuto e dotato dellapropria innegabile sovranità.
Si segnalano, tuttavia, alcune posizioni diametralmente opposte a quanto appena evidenziato secondo cui, attraverso un’interpretazione stretta e letterale dell’art. 11 della Costituzione, anche l’invio di armi di difesa sarebbe incostituzionale non trattandosi, in questo caso, di difesa del suolo italiano.