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Da sfigati a influencer, la parabola dei videogiocatori

Published by
Francesco Stati

Fumo di sigaretta, luci soffuse e, nel silenzio generale, un rumore continuo di tasti premuti. Si presentava più o meno così una sala giochi negli anni Ottanta, quando i videogames si fecero conoscere attraverso i “cabinati”, strutture con una o due pulsantiere e uno schermo con un singolo videogioco installato. Un’attività vista come da “sfigati”, nerd se preferite, emarginati sociali che si isolavano davanti un monitor con colori sgargianti e lotte fra agglomerati di pixel.

Con il passare del tempo, però, il mondo videoludico è cambiato. A porre le basi della transizione, l’idea che quei nerd potessero uscire dai cabinati per incontrarsi tra loro e creare una comunità. Oggi ci sembra normale un gioco come Fortnite (Epic Games), un battle royale (tutti contro tutti) dove attraverso qualsiasi piattaforma si fa amicizia con giocatori di tutto il mondo, ma la strada per arrivarci è stata lunga e tortuosa.

Già l’avvento di internet aveva generato vivaci gruppi online di videogiocatori su PC, anche grazie a servizi come IRC (protocollo di messaggistica istantanea creato nel 1988) ma la scarsa diffusione del mezzo telematico rendeva il tutto confinato a pochi eletti. Tra questi, la segretaria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, attiva su mIRC (una community basata su IRC) con il nickname di Khy-ri la draghetta

La pagina personale di Giorgia Meloni su Undernet Italia

Le console, invece, restavano appannaggio di individui isolati. A fare da apripista, almeno per il grande pubblico, Alien Front Online (WOW Entertainment), uno sparatutto (gioco in cui si devono sconfiggere orde di nemici con un’arma da fuoco) dove per la prima volta fu permesso non solo di giocare a squadre (per un massimo di 8 giocatori, 4 contro 4), ma anche di comunicare. Con il videogame, infatti, era venduto un microfono per la console di gioco, il Sega Dreamcast, che grazie alle sue avanguardistiche funzionalità di rete consentiva di collegarsi con altri giocatori. Né il titolo, né il Dreamcast ebbero grande fortuna, vuoi per la poca espansione di internet, vuoi per la concorrenza della ben più famosa PlayStation targata Sony, ma la strada era ormai aperta.

Fu poi Microsoft a capire appieno le potenzialità di rete e videogames combinati. Con il lancio nel 2001 della sua prima console, l’Xbox, venne predisposta l’infrastruttura per un servizio privato di gioco online, che fu poi rilasciato l’anno successivo. Xbox live, questo il nome della piattaforma, aveva come modello l’esperienza già maturata a supporto del Dreamcast, progetto in cui Microsoft aveva partecipato come supporto operativo (e attento osservatore). Esattamente un anno dopo l’uscita della sua console, Bill Gates e soci rilasciarono l’Xbox Live starter pack: una cuffia, un abbonamento da 50 dollari, una buona connessione internet, e il mondo del multigiocatore online era a portata di mano

L’headset di serie venduto con l’Xbox 360, che permetteva di chattare online in stanze private dette “Party”

Con il passare degli anni (e delle console), Microsoft ha ulteriormente ampliato il servizio, rendendo gratuita la comunicazione tra utenti e lasciando a pagamento solo l’esperienza cooperativa di rete. Ben prima dei social network, Xbox live permetteva la creazione di gruppi e liste di amici con cui parlare, passare del tempo, giocare insieme e, secondo qualcuno, preparare attentati (Jan Jambon, ministro degli Affari federali del Belgio, affermò che l’attacco terroristico di Parigi, del 2015, fosse stato preparato attraverso la comunicazione su queste piattaforme). 

Anche Sony ha intuito le potenzialità del servizio di rete abbinato al gaming: già la Playstation 2 offriva la possibilità di acquistare un ingombrante adattatore di rete, ma è con il lancio sul mercato della Playstation 3 (2006) che viene presentato un servizio vero e proprio, il PlayStation Network. Le funzionalità sono le stesse di Xbox Live, con l’aggiunta in un secondo momento di due titoli gratuiti per chi sottoscriveva l’abbonamento al servizio “Plus” (equivalente del “Gold” di casa Microsoft). La maggiore diffusione del prodotto “Made in Japan” ha reso questo servizio disponibile su grandissima scala. 

Come collegare due reti sì grandi, ma rivali? A questa esigenza hanno risposto le piattaforme Discord (2015) e Twitch (2011). Già TeamSpeak, nel 2001, aveva dato ai gamer da PC la possibilità di interagire tra loro attraverso un sistema VoIP (Voice over IP, un mezzo che permette di comunicare attraverso la rete come se si fosse al telefono), migliorando quanto offriva loro IRC, ma questi due servizi integrano la funzionalità vocale con le caratteristiche dei social network. 

Se Discord aggiunge a TeamSpeak la facoltà di condividere il proprio schermo e di creare trasmissioni radiofoniche, Twitch (oggi di proprietà di Amazon) porta l’esperienza di condivisione videoludica su un altro livello. Combinando le funzionalità di YouTube ai social network testuali, lo strumento consente di trasmettere in diretta ciò a cui si sta giocando e permette agli spettatori di intervenire e commentare in tempo reale. Una funzionalità ripresa anche dal social di Google, con minori fortune.

C’è chi, grazie alla sua passione e a questi strumenti, ha trasformato il suo hobby in un lavoro, fatturando migliaia di euro al mese combinando la sua abilità nei videogiochi a doti di intrattenitore: adulti che hanno preso il gioco molto sul serio. Oltre che professionisti, i padroni di queste piattaforme sono influencer: non gli esuberanti protagonisti di Instagram, con le loro clip divertenti, ma quegli “sfigati” che solo 30 anni fa sarebbero finiti emarginati nelle sale giochi.

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Francesco Stati

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