Attenzione, questo articolo contiene spoiler della serie Obi-Wan Kenobi
Primo piano, un sorriso appena accennato, sornione. Una pausa, né troppo lunga né troppo corta. Poi, un cenno impercettibile con la testa anticipa la voce.
«Hello there».
BOOM. Pelle d’oca, i feels pompano prepotenti nelle vene: basta questa singola scena per esaltarsi.
Ma è fatta di alti e bassi questa Obi-Wan Kenobi. Sebbene per gli amanti della saga di Star Wars si tratti di una serie ricca di emozioni, è anche uno dei prodotti con la regia più altalenante dell’intero franchise.
Com’è giusto che sia, tutto in questa serie gira intorno al personaggio di Obi-Wan, compresi i numerosi e validi comprimari. Alcuni di questi viene una gran voglia di conoscerli meglio: pensiamo a un personaggio secondario (per non dire terziario) come l’Haja di Kumail Nanjani, un briccone che si finge jedi per fare la cresta sui poveracci in fuga dall’impero (ma li porta in salvo per davvero e si assicura che poi stiano bene). Per certi versi ricorda l’archetipo della tenera canaglia, già ben presente nel franchise (pensiamo a Han Solo e Lando Calrissian).
Reva, Tala, Roken, tutti hanno un minimo di background – che viene esplicitato, cosa niente affatto scontata – e ognuno ha la sua evoluzione, il suo percorso, le sue decisioni da prendere.
Tutti, comunque, sono funzionali alla storia di Obi-Wan. La gestione dei personaggi è quindi azzeccata ed è la cosa in cui la regista Deborah Chow riesce a dare il meglio di sé: le sue inquadrature sanno scavare dentro i visi degli attori, cogliendo quell’impercettibile mimica facciale che dà profondità ai personaggi. Su questo nulla da dire, brava!
Questa ossessiva – in senso buono – centralità del personaggio di Kenobi differenzia la serie dal ruolo periferico di Boba Fett in The Book Of Boba Fett, prodotto in cui il protagonista non appare per interi episodi lasciando il posto a Din Djarin e Grogu. In effetti, la si può definire la stagione 2.5 di The Mandalorian.
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A proposito di The Mandalorian i parallelismi con Obi-Wan Kenobi sono davvero parecchi, tanto da meritare un elenco puntato:
Anche le scene in cui Obi-Wan non appare sono comunque scritte avendo in mente il protagonista, comprese quelle su Mustafar con Darth Vader. Approfondire uno significa approfondire l’altro, lo scopo è evidente: traghettare lo spettatore da Episodio III a Episodio IV. Due film con stili molto diversi: dalla dinamica dei duelli con le spade laser all’austerità dei dialoghi fino al rapporto tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader.
A tal proposito c’è una frase pronunciata da Obi-Wan in Episodio IV che aveva un gran bisogno di un raccordo narrativo con la trilogia prequel:
«Un giovane Jedi di nome Darth Vader, che è stato un mio allievo fino a quando non si è rivolto al male, ha aiutato l’Impero a cacciare e distruggere i Cavalieri Jedi. Ha tradito e ucciso tuo padre. Ora i Jedi sono quasi estinti. Vader è stato sedotto dal lato oscuro della Forza.»
Questo scambio tra Kenobi e Luke ora assume tutt’altro significato, e appare molto meno falso di prima.
Anche usare la piccola Leia come espediente per mettere in moto la trama va poi a chiarire come mai in episodio IV lei chieda aiuto proprio a Obi-Wan Kenobi, segno che lo conosceva da tempo e si fidava di lui, come abbiamo scoperto. Si spiega anche la grande formalità con cui Leia si rivolge a Kenobi nel messaggio registrato da R2, facendo riferimento alla conoscenza tra lui e Bail Organa piuttosto che con la stessa Leia: stava agendo come Obi-Wan le aveva insegnato, senza fare riferimenti al loro legame, cosa molto pericolosa se il messaggio fosse finito nelle mani sbagliate.
Per l’analisi dei primi tre capitoli si rimanda all’articolo qui sotto, nel quale è presente anche un’approfonidmento sullo stile di combattimento di Obi-Wan Kenobi (lettura consigliatissima).
Leggi anche: Obi-Wan Kenobi, le considerazioni di metà stagione – WiSerial
Le considerazioni fatte nell’articolo di metà stagione sono, nel bene e ne male, confermate.
La regista Deborah Chow è tanto brava nel costruire i personaggi quanto in evidente difficoltà quando si tratta delle scene d’azione. Non appena l’adrenalina sale la regia si fa confusionaria e sconnessa, con l’onnipresente macchina da presa tremolante che vorrebbe dare più realismo ma finisce solo per risultare fastidiosa.
Così se il quarto capitolo è stato per vari aspetti godibile (epica la scena dei jedi imbalsamati), dall’altra cade nella più ridicola fanfaronata di tutta la serie: il cappotto nascondi-Leia. Dopo l’imbarazzante inseguimento nei boschi di Alderaan del primo episodio (nell’articolo di metà stagione se ne parla a dovere) si poteva pensare che più in basso di così non era impossibile andare quanto a sciatteria registica.
Con la scena del cappotto Chow ha dimostrato che si può sempre stupire in peggio. Per fortuna si tratta di pochi episodi isolati in mezzo a una serie che tutto sommato scorre bene. Rimane il fatto che sono talmente evidenti da rimanere impressi nelle retine, abbassando di molto il giudizio sulla regia.
Apprezzabili i rimandi ai film della saga, in particolare l’interrogatorio di Leia che richiama Episodio IV, l’immersione con il respiratore che richiama alla discesa di Obi-Wan e Qui-Gon Jinn nella città dei Gungan in Episodio I e la tattica di lasciare scappare i prigionieri piazzando loro addosso un tracciatore, espediente che Vader copierà dalla Terza Sorella. Citazioni pop anche per i droidi cercatori, a metà strada tra l’occhio di Terminator e quello di HAL 9000.
Quanto al quinto capitolo, molto bello lo scambio tra Obi-Wan e Reva al portone della base ribelle: una battaglia argomentativa interessante, che scava a fondo nella terza sorella. Peccato che, di nuovo, Chow dimostri di cavarsela benissimo nelle interazioni dei personaggi tanto quanto è imbarazzante quando si tratta di creare azione: bella la scena di Reva che taglia la sbarra del portone come un miracle blade trancia una lattina, ma perché diavolo non l’ha fatto prima? Mistero.
Come molti avevano previsto, Reva si rivela essere la youngling che abbiamo visto nel prologo della serie. Una scelta narrativa curiosa: se da un lato fornisce un valido background al personaggio, dall’altro lo rende alquanto ipocrita. Ci sta che voglia vendicare i suoi compagni, ma a che prezzo? Quanto sangue innocente ha versato per riuscire a entrare nell’inquisitorium?
Davvero bello invece il parallelismo con il flashback dello sparring tra Obi-Wan e Anakin su Coruscant. Tra l’altro, vediamo un Hayden Christensen molto più espressivo ora di quanto non lo fosse al tempo (non che ci volesse molto).
Il sesto capitolo è uno tsunami di emozioni. Se Ewan McGregor negli altri capitoli aveva dimostrato una profondità pazzesca, qui va fuori scala. Ogni frase, ogni sguardo, ogni movimento comunicano direttamente al cuore dello spettatore. Quel «te lo prometto» rivolto a Leia è da pelle d’oca.
Quando veniamo al combattimento tra Obi-Wan e Vader partono gridolini da fangirl come non ci fosse un domani: la tipica posizione di guardia iniziale di Obi-Wan con le due dita puntate sull’avversario, l’elmo squarciato di Vader esattamente come farà Ahsoka qualche anno dopo (ma sul lato opposto del viso), Obi-Wan che finalmente ritrova il suo pieno legame con la Forza e tira su quintalate di pietra come fosse niente. Wow.
Si spiega anche un’altro dubbio dei fan: come mai Vader non ha più cercato Obi-Wan con la stessa smania dopo questo incontro? Al di là della raccomandazione/ordine dell’imperatore di mettere da parte l’ossessione per il suo vecchio maestro, si tratta con ogni probabilità di paura: che Vader lo ammetta o no, anche se la voglia di vendetta è grande lui ha una fifa tremenda di Obi-Wan, l’unico e il solo jedi che l’abbia umiliato in combattimento non una, bensì due volte. Paura che porta all’ira, l’ira all’odio e bla bla bla, in pieno stile sith.
Anche qui però – tocca ripeterlo per l’ennesima volta – Chow manda in vacca la regia. Al di là della solita pessima cinepresa tremolina, il problema vero è che cerca di emulsionare il combattimento tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader con la caccia di Reva a Luke. Non funziona, è una maionese impazzita.
No, la ricerca del parallelismo vorrebbe essere una soluzione elegante (che le riesce nel capitolo precedente) ma qui smonta il pathos di entrambe le scene: vorresti vedere il combattimento e non te lo lascia fare, così quando la regia passa su Tatooine non ti godi nemmeno quello perché non vedi l’ora di tornare al combattimento.
A questo si aggiunge un altro fattore che è presente un po’ in tutta la serie ma qui è davvero evidente: la colonna sonora mediocre. Vorrebbe imitare le classiche sonorità di Williams, ma non ci riesce, si sente che manca qualcosa. Molto meglio la scelta fatta con l’approccio innovativo di Ludwig Göransson in The Mandalorian.
In compenso il gioco di voci tra Hayden Christensen e James Earl Jones quando Vader parla col casco squarciato è qualcosa di sublime, una rappresentazione magistrale della dualità di Anakin Skywalker, nonché un’assoluzione definitiva nei confronti di Kenobi, che può finalmente voltare pagina e superare i suoi traumi. Magistrale.
Ma Obi-Wan rimane pur sempre Obi-Wan, ossia il benchmark: di fronte a un avversario/amico ridotto all’impotenza non può infierire, cosa che lo innalza sopra agli altri jedi. Sarà questa sua purezza d’animo che, trasmessa al suo allievo nonostante lui stesso la ritenga un errore, salverà Luke Skywalker in Episodio VI. Li, quando di fronte all’imperatore avrà l’occasione di eliminare un Vader sconfitto, come Obi-Wan sceglierà di non ucciderlo.
Cosa che, invece, suo padre Anakin non seppe fare quando si trovò nella stessa situazione e decapitò il conte Dooku, di fronte a un soddisfatto Palpatine. Palpatine che da lì in poi lo ebbe in pugno, tanto che poco dopo non replicò il gesto contro lo stesso sconfitto Darth Sidious quando a ordinarglielo era Mace Windu (il più “oscuro” di tutti i jedi non a caso).
Nel finale, oltre al già citato «hello there», assistiamo anche al telefonatissimo ritorno di Qui-Gon Jinn sotto forma di fantasma di Forza: Obi-Wan è tornato in sé ed è finalmente pronto a proseguire l’addestramento con il suo storico maestro. Una degna conclusione per il processo di guarigione di Obi-Wan.
Deborah Chow in linea di massima è una valida professionista ma in questa serie mostra il fianco a parecchie critiche. Il suo punto di forza è la caratterizzazione dei personaggi, che sa rendere umani e a cui sa dare un arco narrativo sensato, anche a quelli secondari.
Rappresenta benissimo un Obi-Wan depresso e chiuso alla Forza nei primi episodi, che poco alla volta si apre, guarisce, torna in sé in un crescendo ben fatto, plausibile e scorrevole.
Ci sono però due grossi problemi.
Il primo – e più evidente – sono le scene d’azione. Ha una fissa per le riprese a mano libera, che vorrebbero dare una versione più POV della scena e invece finiscono per renderla scomoda da vedere. Anche lato montaggio ci sono criticità. Il parallelismo tra lo scontro finale e la caccia di Reva a Luke, per esempio, non funziona. I combattimenti in generale tendono ad avere o inquadrature troppo strette e confusionarie o campi lunghissimi che fanno capire a malapena cosa sta succedendo.
Il secondo problema è la resa imbarazzante di alcuni passaggi, due su tutti l’inseguimento su Alderaan e la fuga di Leia sotto il cappotto di Obi-Wan.
Aveva lavorato molto meglio su The Mandalorian, forse grazie alla supervisione di Jon Favreau.
Alti e bassi.
Voto: 6,5
Una scrittura con due anime. La trama orizzontale è valida, i personaggi ben delineati, gli archi narrativi coerenti. Meravigliosa la caratterizzazione di Obi-Wan: la serie si prende un (lunghissimo) primo episodio per far immedesimare lo spettatore nella vita alienante di un Kenobi affetto da stress post traumatico e sull’orlo della depressione, per poi fargli toccare il fondo nel primo scontro con Vader.
Li vediamo un Kenobi a pezzi dentro e per questo a pezzi fuori, impaurito e quindi non più davvero un jedi. Vader, deluso da uno scontro sotto le aspettative, lo capisce e dopo averlo torturato lo lascia andare: lui vuole sconfiggere il Kenobi che lo aveva umiliato, non questo guscio vuoto. Da lì in poi vediamo Obi-Wan crescere pian piano fino al ricongiungimento con la Forza nel finale, nel quale ritorna in sé e dà di nuovo una sonora lezione al suo ex allievo.
Il problema sta nelle trame verticali dei singoli capitoli, ripetitive e scontate, talvolta noiose: Obi-Wan e Leia scappano dagli inquisitori, ci riescono, li ritrovano e si ricomincia.
Molti hanno criticato la scrittura del personaggio di Reva, ritenendolo superfluo. Non hanno tutti i torti, la trama sarebbe stata in piedi anche senza di lei, ma non è inutile: funge da valido termine di paragone per Darth Vader e Obi-Wan e mostra per la prima volta in live action (in ordine cronologico degli eventi, non di uscita dei film) che dal lato oscuro ci si può redimere.
Piuttosto, è più sciatta la scrittura del Grande Inquisitore.
Bene (ma non benissimo).
Voto: 8
Non ci siamo. Si cerca di ricreare le atmosfere della trilogia originale scritta da quel genio di Williams, fallendo. Certo, presa singolarmente non affatto male ma comparata all’originale non c’è storia. A quel punto, perché non usare quella?
A tal proposito basta sovrapporre il combattimento finale con la musica della Battle Of The Heroes per capire quanto questo sia vero.
Meglio, no?
Voto: 6
Discorso delicato: senza i marchi Star Wars e Disney sarebbero degli ottimi, davvero eccellenti, effetti speciali. Ma, considerando quanto fatto negli altri prodotti, ci si aspettava di meglio.
Il discorso è ancor più valido quando si parla di trucco. Molti si sono lamentati del look del Grande Inquisitore, e a ragione. Rispetto a come è stata resa la sua razza negli altri prodotti di Star Wars (soprattutto nella trilogia prequel), la resa è imbarazzante.
Nì.
Voto: 7,5
Ewan McGregor
Già di suo è un attore di un talento smisurato ma nei panni di Obi-Wan Kenobi è pazzesco. Recita molto con il viso e meno con la voce. L’intensità dei suoi sguardi viene esaltata dalla regia (sulle scene intimiste non si può criticare Chow) e McGregor tira fuori un’interpretazione meravigliosa.
Bravissimo.
Voto: 9,5
Hayden Christensen
Difficile dare un voto, lo si vede gran poco (spesso è sostituito da controfigure). La voce comunque è la sua, modificata attraverso un software che ne converte i suoni in quelli di James Earl Jones, il doppiatore originale di Darth Vader. Se ci fate caso si sente una marzialità diversa nella cadenza.
A ogni modo porta a casa la pagnotta e rende un’interpretazione credibile.
Meglio dei prequel.
Voto: 7,5
Moses Ingram
A molti non è piaciuta, soprattutto nei primi capitoli. L’effetto era forse voluto. Il personaggio nel tempo si sviluppa e Ingram interpreta bene i suoi conflitti interiori.
In gamba.
Voto:8,5
Vivien Lyra Blair
Wow! Rendere l’intelligenza, l’impertinenza e la cazzimma di Carrie Fisher non era semplice, soprattutto dovendo riportare queste qualità su una bimba di dieci anni. Lei ci riesce.
Bella scoperta.
Voto: 9
Indira Varma
Fiera e bellicosa, nonostante il minutaggio riesce a rendere la complessità del personaggio. Viene sacrificata nel giro di un paio di episodi ed è un peccato, sarebbe stato bello rivederla in Andor.
Sul pezzo.
Voto: 8
Rupert Friend
Lui di suo è un bravo attore, ma si vede che non è abituato a recitare con un pesante trucco addosso, che è probabile sia stato semplificato anche per questo problema. Il suo Grande Inquisitore è piatto, rigido, posticcio.
Non ci siamo.
Voto: 5
Kumail Nanjiani
Attore di talento che nasce comico, in questa serie lo possiamo apprezzare per la sua espressività anche nelle parti drammatiche. Scommetto una birra che lo rivedremo in Andor.
Nel suo risicato minutaggio buca comunque lo schermo e alleggerisce l’atmosfera.
A presto.
Voto: 8
Jimmy Smits e Simone Kessell
I genitori perfetti: premurosi, comprensivi, amorevoli. Smits e Kessell (con questo cognome non potevano non prenderla) regalano un’interpretazione calda e convincente, profonda e sentita.
Bravissimi.
Voto: 8,5
Joel Edgerton e Bonnie Piesse
Guai a rompere le palle a zio Owen e zia Beru. E chi l’avrebbe detto? Come due pionieri del far west tirano fuori lo schioppo a trombone e via a sculacciare l’intruso.
Sorprendono in positivo: Piesse convince per il suo approccio materno che ricalca la zia Beru di Episodio IV, mentre Edgerton regala un Owen sì burbero ma arricchito da un profondo istinto di protezione. Chow sa cogliere i loro sguardi, la loro intesa, i detti e non detti.
Come due lupi in un mondo pieno di pericoli difendono il loro cucciolo con le unghie e con i denti, anche da quella tigre di Reva. Ogni riferimento a Il libro della giungla è voluto.
Il loro destino in Episodio IV adesso fa ancora più male.
Molto bene.
Voto: 8,5
Voto al cast (ponderato in base al minutaggio): 9-
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