Boris Johnson ha annunciato formalmente le sue dimissioni da leader del Partito Conservatore britannico, forza di maggioranza in Parlamento, in un discorso tenuto alla nazione questo giovedì.
La posizione dell’ormai ex premier traballava già da molto tempo. Johnson alla fine è rimasto travolto dai colpi segnati dagli ultimi scandali e da una raffica di dimissioni in seno alla sua compagine di fedelissimi. Johnson intende comunque restare capo del governo fino all’elezione di un successore alla guida dei Tories prevista per ottobre.
La delicata fase della successione
Spetta ora ai deputati conservatori il compito di individuare un nuovo leader, secondo un processo caratterizzato prima da votazioni interne fra i parlamentari Tory, poi da una consultazione generale che coinvolgerà tutta la base del partito. Il vincitore diventerà anche premier di fatto, con la facoltà di indire nuove elezioni. Tra i favoriti nella corsa ai vertici si avanzano le ipotesi dell’ex cancelliere Rishi Sunak e della ministra della Politica Commerciale Penny Mordaunt. La ministra degli Esteri Liz Truss ha lanciato un appello «alla calma e all’unità» che fa pensare a una sua possibile candidatura alla successione al premier dimissionario.
Inoltre, tra i possibili candidati alla successione dell’ormai ex premier è sbucata l’ipotesi che porta il nome di Ben Wallace, il ministro della Difesa attualmente in carica. Wallace viene definito come un “falco” in politica estera: nei mesi scorsi aveva messo in guardia dal «tanfo di Monaco», ossia di una possibile scesa a patti con la dittatura, che aleggiava nelle capitali europee troppo ansiose di raggiungere un accordo di pace con Mosca.
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La resistenza di BoJo
Boris Johnson fino alla fine aveva cercato di tenere il polso fermo, non svolendo smuoversi dalla propria posizione: fino alle prime ore della mattinata del 7 luglio, si era mostrato ostile a qualsiasi ipotesi di dimissioni. «Non mi dimetterò», aveva dichiarato a una commissione parlamentare, ribadendo più volte di non aver intenzione di cedere alle pressioni del suo partito e a quelle dell’opposizione laburista.
Lo stesso Johnson aveva anche licenziato un suo fedelissimo come Michael Gove, colpevole di averlo invitato – indirettamente – alle dimissioni con alcune dichiarazioni rilasciate ai media.
… e ancora dimissioni!
Un po’ come l’effetto domino si sono susseguite numerose dimissioni. Oltre cinquanta tra ministri e altri membri del governo hanno rassegnato le proprie dimissioni nell’arco di quarantotto ore, ritirando il sostegno al loro leader, affermando che egli non fosse più degno del suo ruolo a Downing Street dopo gli scandali che ne hanno danneggiato reputazione e leadership interna ai Tories.
La fuga dal governo era iniziata il 5 luglio, con l’addio di due ministri: il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak e il ministro della Sanità Sajid Javid. Da lì è scattata una spirale di dimissioni che ha isolato sempre di più lo stesso Johnson, già uscito malconcio da un voto di fiducia che ben mostrava i malumori all’interno del suo partito: il 41 per cento dei deputati conservatori si era espresso contro di lui.
Insomma, con l’uscita di scena di Johnson viene meno una figura molto controversa sia sul piano interno, sia sul piano internazionale. Un uomo che aveva generato più di qualche discussione intorno alle sue decisioni e alle sue posizioni, che lascia in eredità un Regno Unito radicalmente diverso (ricordiamo la Brexit formalizzata sotto il suo mandato) ai suoi successori.
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