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Master of puppets: Putin e la destra italiana

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Giacomo Stiffan

Quando si parla della destra italiana e dei suoi rapporti con Putin la mente corre a Villa Certosa, a un Berlusconi in tenuta vacanziera con sottobraccio il suo amicone un po’ pallido venuto dall’est.

Sebbene chiunque avesse un minimo di conoscenza della Russia sapesse benissimo già allora chi era Putin e cos’era in grado di combinare, quelle immagini fissavano nella memoria degli italiani la sensazione di godere di un rapporto privilegiato con quell’algido ma amichevole Presidente, e con la grande potenza straniera che rappresentava.

Peccato che non si trattava di un rapporto davvero privilegiato, quanto di un cappio chiamato metano che ci siamo legati al collo da soli.

E, a ben vedere, la “potenza” poi tanto grande non era: sono passati ben cinque mesi dall’inizio della guerra e nessuno ha sventrato l’Ucraina, con buona pace di Orsini.

Leggi anche: Conflitto Russia-Ucraina, Orsini l’aveva predetto?

Diamo il giusto nome alle cose

Prima di tutto, però, un piccolo inciso.

Arriva un momento nel quale si deve prendere atto che gli equilibri a cui siamo abituati sono venuti meno: è dal 2018 che tra i partiti di destra i rapporti di forza si sono invertiti. Se un tempo Berlusconi rappresentava di gran lunga la locomotiva della coalizione, oggi ne è il fanalino di coda. Un fanalino davvero piccolo, per giunta.

L’alleanza tra Berlusconi, Salvini e Meloni di centro non ha più niente ed è ora di smetterla col definirla “centrodestra”. Diamo il giusto nome alle cose: sono la “destra”. Punto.

Lega

Quando si parla della destra italiana e di Vladimir Putin nessuno è privo di scheletri nell’armadio, ma se c’è qualcuno che nel guardaroba ha più ossa che mutande questo è Matteo Salvini.

Che la Lega sia legata a doppio filo con Russia Unita (il partito di Vladimir Putin) è alla luce del sole. Al di là delle indagini sui presunti intrallazzi di Savoini, dei vari e reiterati incontri sottobanco con esponenti del governo e dei servizi segreti russi, dei sospetti di influenze russe nella scelta di staccare la spina a Draghi e dei numerosissimi e spassionati apprezzamenti nei confronti del Cremlino, oltre a tutto questo Lega e Russia Unita hanno un accordo di collaborazione e “scambio di informazioni” ufficiale in essere da vari anni, il cui rinnovo è automatico.

Anche nel 2022: in piena guerra in Ucraina la dirigenza leghista ha pensato bene di non rescindere l’accordo, che pertanto è tutt’ora in vigore. Più ufficiale di così si muore.

Forza Italia

Sul versante forzista è risaputa la profonda amicizia personale che lega Berlusconi a Putin. Qualche giorno fa La Repubblica riportava che il Cavaliere avrebbe parlato con l’ambasciatore russo facendosi raccontare la “verità” sulla guerra in Ucraina. Il Cavaliere ha smentito, ma fa poi tutta questa differenza?

Berlusconi ha sostenuto Putin anche nei momenti più bui, anche quando assassinava dissidenti in giro per l’Europa. Allo scoppio della guerra in Ucraina è rimasto in silenzio stampa per giorni e in seguito la sua posizione è sempre stata troppo morbida per un partito che vuole definirsi atlantista ed europeista.

Poi, ciliegina sulla torta, il siluramento di Mario Draghi in combutta con Salvini. Un colpo talmente basso che sta polverizzando Forza Italia e mentre la barca affonda i più furbi hanno già inforcato le scialuppe di salvataggio.

Carfagna, Brunetta, Gelmini, il fior fiore della dirigenza moderata ha abbandonato un Cavaliere ormai scollato dalle istanze atlantiste della base più moderata. Chi rimane nel partito si adegua alla nuova linea, più vicina a Salvini che mai: ormai che differenza c’è votare uno o l’altro?

Fratelli d’Italia

Con Fratelli d’Italia bisogna grattare bene la superficie per capire cosa sta succedendo. Molti esponenti del partito – a tutti i livelli – non hanno mai nascosto la propria simpatia per gli autocrati, da Orban a (ovviamente) Putin. Basta una veloce ricerca su Google per chiarirsi le idee: la svolta atlantista di Giorgia Meloni è più recente di quel che si pensa e sconnessa dagli apparati del partito.

Apparati le cui radici più profonde non si possono ignorare: il percorso che portò al post-fascismo, all’MSI e poi ad Alleanza Nazionale. Origine di tutto – non nascondiamoci dietro a un dito –fu ciò che rimase dei fascisti nel dopoguerra e quando si parla di fascismo emerge la sua natura pragmatica e contraddittoria, capace di dire una cosa e fare l’opposto, incoerenza che Mussolini giustificava con la sua ideologia legata all’azione, prima che al pensiero. Non certo un esempio di onestà intellettuale.

Il westwashing

Alla luce di questo fa specie constatare quanto l’operazione di westwashing portata avanti da Fratelli d’Italia sia efficace. Molti italiani sono così ingenui da credere che un voto a Fratelli d’Italia sia un voto atlantista ma il buon senso e la prudenza suggeriscono il contrario. C’è la concreta possibilità che si tratti di un riposizionamento di facciata, effettuato al solo scopo di differenziarsi dagli altri componenti della coalizione a fini elettorali. Non solo, l’operazione è utile per rendere il nome della Meloni più digeribile agli alleati occidentali e all’elettorato di destra moderata.

In altre parole è un’operazione di maquillage per certi versi simile a quella operata da Marine Le Pen in Francia, che gradualmente ha portato il suo Rassemblement Nationale a mostrare una maschera molto più moderata di un tempo (ma nel suo caso non altrettanto atlantista). Basta però grattare la vernice e spunta la ruggine: sebbene la frontwoman si mostri meno estrema sotto sotto la base del partito è sempre quella, ci sono sempre gli stessi personaggi di prima e sempre nelle stesse posizioni.

Né più né meno di quanto accade in Italia con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

Ragioniamo per assurdo

Supponiamo però per un momento che la redenzione di Giorgia Meloni sia sincera e si sia scoperta da un giorno all’altro una paladina dei valori liberali dell’Unione Europea e del meraviglioso capitalismo americano (sembra assurdo, perché lo è).

Se anche prendesse più voti dei suoi alleati messi insieme, con loro dovrà comunque costruirci un governo. Sono loro a dovergli dare la fiducia, sono loro a tenerla per i proverbiali testicoli e saranno loro a esprimere vari ministeri chiave: si troverebbe comunque a barattare la sua leadership con le istanze filorusse degli alleati. Che Fratelli d’Italia sia quindi genuinamente atlantista o meno non fa differenza e Putin avrà comunque la sua testa di ponte nel governo italiano. Non che non ce l’avesse anche in questa legislatura (c’era l’imbarazzo della scelta a riguardo, e non solo a destra) ma sarebbe anche ora di pretendere per l’Italia un governo indipendente, europeista e atlantista sul serio.

Teniamolo bene a mente per il 25 settembre. A prescindere da qualsiasi sfumatura tra uno e l’altro, il voto ai partiti di destra ci allontana dall’Occidente e ci avvicina alla Russia.

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Giacomo Stiffan

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