Un giovane uomo e una giovane donna sono innamorati. Faticano a confessarlo, ma dopo sguardi languidi e dialoghi commoventi arrivano al matrimonio, e al loro primo bambino: la conclusione perfetta di ogni racconto d’amore.
Nel Roman de Silence, attribuito a tale Heldris di Cornovaglia [il nome risulta essere uno degli pseudonimi di Artù, N.d.R.], è solo il principio della nostra storia: perché il bambino può chiamarsi Silencius, ma anche Silencia; perché sul suo viso si congiungono «il giglio e la rosa», e poi non più, e poi sì, di nuovo.
Quello di Silence è il più antico personaggio della letteratura romanza ad aver dato origine a una dovuta discussione sull’identità fluida. Un’identità transgenere in senso proprio, ancorata alla sua cultura di riferimento, giustificata narrativamente; il tutto nel XIII secolo, in ottosillabi a rima baciata. Oggi una lettura del romanzo distruggerebbe le certezze di metà Twitter: pare quindi un argomento di discussione pregnante.
La scintilla narrativa nasce da una lotta fra conti per l’eredità delle rispettive mogli, sorelle; dopo un duello che porta alla morte di entrambi, il re d’Inghilterra decide di vietare che l’eredità delle famiglie passi per mano delle figlie femmine, per evitare un ripetersi della tragedia.
Cador ed Eufemie, i giovani innamorati di cui sopra, si trovano quindi di fronte al dilemma: che fare per assicurare il proprio patrimonio, nel caso il nascituro fosse una nascitura?
Cador convince la moglie a camuffare l’eventuale bambina come maschietto, a crescerla come tale, e a tornare sui propri passi laddove successivamente nascesse loro un bambino.
Silence, con un nome che dovrebbe omaggiare «Santa Pazienza», cresce quindi nella casetta nascosta di un siniscalco, con una dama amica dei genitori come nutrice, lontano da sguardi indiscreti; scopre la verità sulla propria nascita sin da quando è in grado di comprenderla, e accetta la necessità dell’inganno.
L’inghippo: a dodici anni Silence riceve visita dalle dame Nature e Norreture (Natura ed Educazione), che appaiono in un alterco su quale delle due sia da seguire. Dama Nature vorrebbe una Silencia che si oppone alla decisione dei genitori e torna alla propria natura biologica; Dama Norreture risponde che ormai Silence è «snaturato/a», e maschio deve rimanere.
Assistiamo alla svolta in una storia che fino ad ora era stata un travestitismo tra sessi come ce ne sono tanti, nella tradizione – basti pensare all’esilarante fabliau [racconto breve in versi di natura dilettevole, tipico della letteratura antico francese, N.d.R] De Berangier au lonc cul, in cui la moglie si traveste da uomo per smascherare il marito vanaglorioso: Silence, anche di fronte alla possibilità di scegliere, continua la propria vita come maschio.
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Il grande interesse del Roman de Silence sta nell’ambiguità del protagonista: inizialmente la mascolinità di Silence sembra essere solo un camuffamento, composto da vestiti e da educazione maschile. Scopriamo però che il ragazzo, vaslet-giovanotto e non meschine-fanciulla, eccelle nelle attività maschili e nei discorsi sul sé si considera un giovane uomo, lamentando e temendo la mancanza dei genitali appropriati sotto i suoi vestiti, che gli impediscono di soddisfare la malefica donna che di lui si innamorerà, la regina Eufeme.
Ciò che per chi scrive ha la maggiore rilevanza è però il momento dello svelamento: dopo peripezie e avventure disgraziate provocate dalla regina, offesa perché rifiutata da Silence – per lealtà al re e per impotenza fisiologica – il protagonista viene costretto a catturare Merlino [che da tradizione è un uomo allontanatosi dalla civiltà, chiaroveggente ma selvaggio, spesso folle, N.d.R]. Se fallirà, verrà esiliato.
La profezia di Merlino stesso dice che potrà essere catturato solo «con astuzia di donna»; e il racconto ci dice che nessuno lo sa, ma Silence è una donna. Difatti avrà successo, e sarà proprio il mago veggente, fra grasse risate, a svelare tutta la verità. La regina adultera viene squartata e bruciata insieme all’amante, che aveva travestito da monaca; e il re d’Inghilterra, quello dell’eredità femminile, riempie di elogi Silence, che vorrebbe come nuova moglie.
L’intento di Heldris di Cornovaglia è stato dimostrare che Nature è superiore a Norreture. Lo ha dimostrato nei toni dei dialoghi fra le due, nell’impiego di verbi e aggettivi privativi per descrivere la mascolinità di Silence, e lo dimostra ora nel finale: Dama Nature abbraccia «sua figlia» e ricongiunge sul suo volto il giglio e la rosa, facendola riapparire come donna, Silencia, pronta per diventare regina.
Heldris tuttavia, nella sua battaglia inclemente, ci regala informazioni che forse contrastano la sua intenzione: in primis, è da osservare che quando un autore sente il bisogno di affermare la superiorità della natura biologica rispetto alla forza educativa e culturale, sta probabilmente rispondendo a un conflitto che nella sua società è presente.
L’affermazione è doppiamente politica, perché a quest’altezza temporale resiste la convinzione (ma la si sta mettendo in dubbio) che la nobiltà sia questione biologica; e che quando, talvolta, compare un povero con un grande cuore, sia un’eccezione di Natura, che ha lasciato mescolarsi un poco i materiali con cui forgia ogni persona.
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Discutere di queer e gender studies in area medievale e rinascimentale è sempre terreno accidentatissimo e ostilissimo, ovunque si guardi. Si potrebbe ridurre il Roman de Silence a uno strano puntiglio di stranezza nel grande mare dell’antico francese e della cavalleria; il che sarebbe, però, falso.
Silence si inquadra in un contesto, come dimostra la posizione dell’autore, che sicuramente non approva la sua esistenza; ma che d’altra parte molto apprezza il carnevalesco dei rovesciamenti e dei travestimenti, tra uomo e donna, tra ricco e povero, tra nobile e villano.
Nella narrazione, come di regola, il finale riporta all’ordine il regime sociale che era stato sconvolto dagli avvenimenti iniziali: Silence è regina, grazie alla sua lealtà alle donne è di nuovo permesso ereditare patrimoni, non c’è più alcun dubbio sulla biologia di nessuno.
Ciò che accende la spia della ricerca è la rarissima scoperta di un’opera attualizzabile in modo discriminato: Silence pone, oltre la volontà autoriale, delle coordinate bizzarre e proprio per questo degne di nota al topos del travestimento prolungato.
Non è travestimento, è lotta tra educazione, cultura, interiorità e biologia; non è travestimento, ma interiorità divisa tra un essere e un dover essere, tra il naturale e lo snaturato. Un conflitto in termini ontologici, che in panorami di goliardici o fiabeschi travestimenti risulta quantomeno sorprendente; forse, quasi rivoluzionario.
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