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Spettacolo

House of the Dragon, una guerra combattuta sul corpo delle donne

Published by
Giulia Zennaro

Dopo una lunghissima attesa e, soprattutto, in barba alla scomoda e ingombrante eredità di Game of Thrones, è arrivata House of the Dragon, lo spin off della serie HBO. Il primo episodio, The Heirs of the Dragon, ci presenta i personaggi che, si spera, impareremo ad amare dopo aver quasi idolatrato quelli della serie “madre”. Chiariamo subito una cosa: House of the Dragon non è Game of Thrones. Per fortuna. Scordiamoci la solennità, l’atmosfera cupa e la sceneggiatura filosofeggiante delle prime stagioni del capolavoro HBO.

Grazie a un cambio ai vertici creativi della serie (David Benioff e D.B. Weiss sostituiti da Ryan Condal), House of the Dragon va subito al sodo e si distingue per un’atmosfera meno opprimente e più ariosa, addirittura luminosa. Per forza, ci sono i draghi. Si vola. Si sente il vento sfiorare le guance di Rhaenyra Targaryen, figlia di Viserys I, mentre cerca la libertà sul dorso del suo drago. Quasi duecento anni prima degli eventi raccontati in Game of Thrones, i problemi della società sono gli stessi: si litiga per la successione e le donne sono indegne di sedere al tavolo del consiglio del re, intorno al quale Rhaenyra si aggira febbrilmente per servire da bere.

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Foto: Optimagazine.

Il tema di questa puntata (e, immaginiamo, di questa stagione) di House of the Dragon è subito chiaro. Il potere, in qualsiasi tempo e cultura, è una guerra il cui campo di battaglia è il corpo delle donne. Lo chiarisce la regina madre, Aemma, quando consiglia alla figlia Rhaenyra di accantonare i sogni di gloria perché «il parto è il nostro campo di battaglia». Lo intuiamo quando Alicent Hightower, figlia del Primo cavaliere del re, viene mandata da quest’ultimo a “consolare” il sovrano afflitto, qualunque cosa voglia dire (vuole dire proprio quella).

Ci viene sbattuto in faccia, infine, con tutta la crudeltà e la crudezza di cui sappiamo essere capace un prodotto uscito dalla mente geniale di George R.R. Martin, quando assistiamo alla sconvolgente scena del parto della regina Aemma. Era dai tempi della prima stagione di The Handmaid’s Tale che non assistevamo a una scena in cui il corpo di una donna veniva profanato con così tanta ferocia. Il desiderio di Viserys di un erede maschio diventa un tarlo che lo acceca al punto da fargli sacrificare la vita della moglie. Nelle sue viscere le mani dei maestri tagliano, frugano, cercano febbrilmente ciò che riscatterà la donna da una vita di “fallimenti”: un bimbo maschio.

A fare da spettacolare contraltare a questa scena, il combattimento tra cavalieri nel torneo che, ironia della sorte, il re ha organizzato in anticipo per festeggiare la nascita del tanto agognato erede. Un combattimento che, nonostante il sangue e la morte, resta pur sempre una finzione, come rimarca Rhaenys Velarion, “la regina che non fu”.

Questi sono ragazzi con le palle piene di seme che non sanno cosa sia la guerra.

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Foto: Asiatica Film Mediale.

Che sia sventrato da un parto cesareo coatto, sacrificato alle voglie di un re in lutto o automortificato (com’è attuale quella Alicent Hightower che si tormenta le mani durante il duello!), il corpo delle donne in House of the Dragon non appartiene a loro, ma agli uomini che le possiedono.

Se gli uomini simulano la guerra e perdono la vita in un gioco crudele e insensato, le donne combattono e muoiono nel campo di battaglia che non la biologia, ma la società ha assegnato loro. E non viene nemmeno concesso loro di scegliere, cosa fare di quel corpo: Rhaenyra verrà scelta dal padre come erede solamente perché considerata il male minore rispetto a suo zio, lo squilibrato Daemon Targaryen.

Se Daenerys, in Game of Thrones, compiva un viaggio nella follia culminato con l’insensato sterminio di massa della gente di Approdo del Re, Rhaenyra sembra farci ricredere sulla rinomata follia dei Targaryen. Riuscirà a ribaltare quella proverbiale moneta, che gli dei lanciano ogni volta che un Targaryen viene al mondo, mostrando il genio della sua stirpe, l’altra faccia della follia?

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Foto: Moviestruckers

House of the Dragon ha un problema di eredità interno ed esterno alla serie. Se è chiaro fin dal pilot che il cardine di questa stagione sarà la guerra di successione intestina (lo showrunner ha definito la serie «una Succession con i draghi»), la lotta per emanciparsi da Game of Thrones è ancora ardua. Nonostante un inizio dinamico, pieno di idee e che ripropone alcune soluzioni della serie originaria con un approccio nuovo, non riusciamo ancora a toglierci di dosso l’impressione di vedere «degli impostori con le parrucche» (cit.).

Come Rhaenyra dovrà dimostrare di essere la persona giusta per guidare i Sette Regni, anche House of the Dragon ha ancora molto da dimostrare. Per ora, le premesse fanno ben sperare. Un cast che mescola attori consumati (un Matt Smith/Daemon Targaryen che gigioneggia in parrucca bianca, ormai a suo agio nel ruolo del principe dopo The Crown) con esordienti (una Millie Alcock/Rhaenyra Targaryen passata da lavare i piatti in un ristorante a cavalcare i draghi). Un reparto scenico ormai familiare ma che ci fa sperare di vedere sempre più draghi, sangue, simbolismo (quanto è sinistro e imponente il Trono di Spade, sul quale re Viserys continua a tagliarsi?).

Soprattutto, una sceneggiatura che non fa il verso all’ingombrante serie madre ma sceglie di mostrare, di far toccare con mano allo spettatore il dolore e la rabbia delle donne.

Aspettiamo con ansia il secondo episodio, The Rogue Prince, disponibile in Italia lunedì 29 agosto su Sky e Now Tv. Dracarys!

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Giulia Zennaro

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