Questo articolo nasce per rispondere a un editoriale di Raffaele Alberto Ventura in cui descrive come «sorprendente» la trasformazione di Jovanotti a icona della destra. Alla luce di una serie di elementi che lo stesso RAV cita, in realtà, appare abbastanza evidente come questa svolta non è solo tutto al di fuori che sorprendente. ma perfino preannunciato. Rincarando la dose, si potrebbe dire che non si può più nascondere che Jovanotti è il migliore rappresentante del concetto di locura.
Il concetto di locura è stato reso noto dal cantante Willie Peyote ma nasce nella serie televisiva Boris, dove in un monologo diventato iconico si definisce così:
«La pazzia, cerveza, la tradizione, o merda ma con una bella spruzzata di pazzia. Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore di paillettes. […] Sono cattolico, ma sono giovane e vitale perché mi divertono le minchiate il sabato sera».
Il monologo porta come esempio Michelle Platinette ed è certamente l’esempio più immediato della locura, per la vistosità e controversia del personaggio le cui posizioni spesso conservatrici non sono un mistero. Tuttavia, pensandoci bene, è Jovanotti il miglior rappresentante.
Il Jova Beach Party e la locura
A spostare a destra Jovanotti come simbolo è la discussione intorno al Jova Beach Party: l’idea è di fare un tour nelle spiagge italiane, in luoghi più o meno incontaminati, dove tenere un enorme concerto-festa. Nella sua prima edizione, nel 2019, diverse associazioni ambientaliste e figure della comunità scientifica si sono scagliate contro gli eventi a causa delle ripercussioni ambientali. Questo non ha impedito a Jovanotti di riproporre l’idea con una seconda edizione, questa volta patrocinata dal Wwf e condita con alcuni momenti dei concerti in cui l’artista dà consigli per la salvaguardia del pianeta.
Questa mossa ha generato un dibattitto ancora più forte, essendo vista come una forma di greenwashing. Di fronte alle contestazioni che hanno portato dati oggettivi sull’impatto negativo del tour dal punto di vista ambientale, Jovanotti ha bollato ogni critico come «eco-nazista» in un evidente caso di dissonanza cognitiva. Grazie a queste dichiarazioni, l’artista è entrato nelle grazie dei politici come Salvini, che hanno iniziato a sostenerlo, principalmente in quanto oppositori della sinistra.
Io penso cattocomunista
RAV cita Penso positivo come uno dei simboli della filosofia politica di Jovanotti, nonché uno dei primi momenti in cui si è esposto politicamente. Se, secondo Ventura, questo può essere il simbolo di ciò che la destra che odia i buonisti e i radical chic accusano alla sinistra che si pone con spocchia morale, la canzone, secondo chi scrive, è l’inno stesso della locura. Il pensare positivo è proposto come un’azione in qualche modo progressista e trasgressiva, in opposizione a un qualcosa e un qualcuno non meglio specificato.
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Infatti, per quanto la canzone lasci intendere un certo anti-clericalismo (ma mai esplicitato), il pensiero positivo si vende come qualcosa di inerentemente legato al cristianesimo, sfociando a tratti in quel bizzarro fenomeno che è il cattocomunismo. In sostanza, Jovanotti qui si vende come trasgressivo ma moderatamente, senza mai dare il sospetto di essere vagamente radicale, non sia mai che si scontenti qualcuno. In sostanza, è una canzone che accompagna a un motivetto coinvolgente un testo piuttosto privo di contenuti e con dei messaggi abbastanza semplicistici e banali con cui è difficile per praticamente chiunque essere in disaccordo, destra o sinistra che sia.
Jovanotti, la world music…
Un altro elemento marcatamente di sinistra e odiato dalla destra che Ventura sottolinea in Jovanotti è la contaminazione con la world music. Anche questo in realtà è un punto a sfavore della sua tesi. La world music, infatti, sebbene nasca dalle attività di ricerca di alcuni ambienti notoriamente di sinistra che si accompagnavano a un nuovo approccio dell’antropologia non più paternalistico ma relativistico, è in realtà diventato un capo saldo della destra liberale.
Come genere musicale, infatti, svolge un’attività ipocrita e predatoria: si appropria delle sonorità e delle tradizioni di quello che all’epoca era chiamato terzo mondo e le rivende in una versione edulcorata, spesso facendo un minestrone di culture e vendendo un tribalismo come qualcosa di autentico e genuino, non senza paternalismo. Per quanto questo genere musicale venda un immaginario “primitivo” come fenomeno positivo di critica alle storture del mondo avanzato e capitalista degli anni Novanta, è proprio di quel sistema che si nutre per poter esistere e vendersi. Un sistema legato a una destra, progressista ma pur sempre destra. In più, in questa operazione, le comunità da cui sono state prese le sonorità e tradizioni di partenza sono state sistematicamente tagliate fuori da ogni profitto e discorso sull’argomento dalla world music e i suoi artisti. È proprio da questo fenomeno musicale e commerciale che Jovanotti si fa influenzare.
… e il Partito Democratico
L’articolo di RAV fa un ulteriore passo avanti citando la storia del sodalizio tra Lorenzo Cherubini e il Partito Democratico, inquadrandolo quindi come l’intellettuale per eccellenza per rappresentare il partito e dunque la sinistra tutta. Nel fare ciò, cita l’appoggio a Renzi, che pur operando dall’interno del Pd, quando ne è stato capo, ha varato misure palesemente di destra, tradendo lo stesso elettorato che gli aveva permesso, sotto la campagna elettorale di Bersani, di operare come capo di partito di maggioranza. Lo stesso Renzi, una volta uscito dal Pd ha cercato di rivendersi come centrista e uno degli araldi del terzo polo, quando di fatto ideologicamente si colloca perfettamente in quella destra liberale che Berlusconi ha sempre promesso ma mai realizzato concretamente.
Jovanotti è un intellettuale?
Ventura, poi, si lancia in un’altra tematica a lui cara, la crisi del concetto di intellettuale (e delle élite in generale): vede in Jovanotti un intellettuale per eccellenza della sinistra, una sinistra che privata della sua componente di ideologia economica si ritrova a poggiarsi esclusivamente sul buonismo. Qui ci sono due errori. Il primo è ignorare tutta quella parte di sinistra più radicale, quella dei centri sociali, che negli anni Novanta e primi Duemila, ovvero il periodo di massima esposizione politica di Jovanotti, è rimasta come polo contro-culturale abbastanza forte e attiva. Se pensiamo a momenti di scontro ideologico e non solo, come gli avvenimenti del G8 di Genova, li associamo a questa sinistra radicale, non di certo al multi-culturalismo (e non interculturalismo) del Lorenzo nazionale.
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Il secondo errore sta alla base, ed è quello di considerare Jovanotti un intellettuale. Per quanto gli si possa applaudire una certa poliedricità e una prolificità degna di nota, non si può di certo dire che l’attività artistica di Lorenzo Cherubini si distingua per il tenore intellettuale dei suoi contenuti, senza nulla togliere agli altri pregi di molti lavori certamente ben riusciti.
L’impegno politico di Jovanotti, infatti, si inserisce in un periodo in cui era particolarmente apprezzato (e di moda) che gli esponenti del mondo dello spettacolo si esponessero politicamente. Allora i vip erano influencer ante litteram, e non era raro che fosse lo status di vip a elevarli automaticamente a intellettuali, per lo meno agli occhi del grande pubblico. In più, la svolta politica di Lorenzo Cherubini si ha in un’Italia dove la sinistra è scottata sia dal crollo dell’Urss che dalle condanne a esponenti del Psi nel processo Mani Pulite. In un contesto del genere, dove nasce la locura, era ovvio che non fosse possibile essere contemporaneamente nazional-popolare e di sinistra.
In più, se vogliamo metterlo al pari di artisti politicamente impegnati, nella copia di un fenomeno americano, si fa fatica a paragonarlo alla sequela di cantanti di sinistra, più o meno titolati, che hanno accompagnato all’impegno politico svariate dimostrazioni di avere una concreta consapevolezza e competenza sui temi trattati. Jovanotti, al contrario, ha basato l’interezza della sua poetica su messaggi semplici, o meglio semplicistici, al limite dello slogan. Di fronte a messaggi del calibro di “le ingiustizie sono brutte”, “la guerra è brutta” o canzoni patinate da un irrealistico ottimismo è difficile prendere le distanze, e al contrario, è estremamente facile appropriarsene, almeno di facciata, all’occorrenza.
In tutto ciò, non è lo scopo di queste parole dubitare della fede di Lorenzo, né bollarlo automaticamente del peggiore reazionarismo che sta caratterizzando buona parte della destra contemporanea. Tuttavia, alla luce di quanto detto, non appare minimamente sorprendente come le sue canzoni possano essere versatilmente sfruttate tanto da sinistra quanto da destra senza scomodare discorsi generazionali o l’ottusità alla base del rifiuto delle critiche del Jova Beach Party. Si è trattato solo di un evidente limite intellettuale nell’incapacità di analizzare la complessità di questioni come quella ambientale, dove le migliori intenzioni, se non accompagnate dal massimo scrupolo, si traducono in azioni dannose. La locura è anche questo.