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Spettacolo

Persuasione, l’adattamento di Netflix con Dakota Johnson: un’occasione mancata

Published by
Giulia Rocchetti

È verità universalmente riconosciuta che non sia mai abbastanza la quantità di adattamenti cinematografici tratti dai romanzi di Jane Austen. Questo incontrovertibile dato di fatto dà spesso luogo a risultati discutibili, come nel caso del nuovo adattamento di Persuasione, un prodotto targato Netflix, che è uscito sulla piattaforma il 15 luglio.

Riassumendo brevemente la trama del romanzo si può dire che la protagonista Anne Elliot, qui interpretata da Dakota Johnson, si strugge da otto anni per aver commesso l’errore che le ha rovinato la vita, ovvero lasciarsi persuadere dalla famiglia a non sposare l’uomo che amava, perché era un semplice ufficiale di marina – e, in quanto tale, non abbastanza in alto nella scala sociale. Otto anni dopo Anne incontra di nuovo Frederick Wentworth, che, dopo le guerre napoleoniche, è diventato Capitano, guadagnando denaro e un rango sociale degno di rispetto. Da queste premesse si svolge la storia dei due innamorati che, dopo tutte le peripezie che si possono trovare in ogni romanzo di Jane Austen – sebbene declinate in maniere diverse – si conclude con l’immancabile lieto fine.

Veniamo adesso al film, un adattamento che aveva creato un certo hype, soprattutto tra i fan di Dakota Johnson, che erano curiosi di vedere come se la sarebbe cavata nel ruolo della protagonista. Per chi non l’ha visto, c’è il primo spoiler: male.

Persuasione: un cast poco credibile

I primi problemi di questo film sorgono proprio nella scelta del cast, perché nessuno degli attori è credibile – con la parziale eccezione di Richard E. Grant nel ruolo di Sir Walter Elliot e di Mia McKenna-Bruce, convincente nell’interpretazione di Mary Elliot, la sorella minore di Anne. C’è da dire però che sono personaggi secondari e, soprattutto, facenti parte di quella galleria di “mostri” di creazione austeniana, che spesso sono specchi che riflettono i vizi della società contemporanea all’autrice – e talvolta anche della nostra. Nel caso di Sir Walter, il padre di Anne, si tratta della macchietta di un uomo superficiale e vanesio, mentre Mary è una donna egocentrica e ipocondriaca. Entrambi sono personaggi scritti appositamente per risultare ridicoli. Insomma, non abbastanza per far dimenticare che a non convincere è proprio la coppia dei protagonisti.

Foto: Flickr.

Peggio della scelta di Dakota Johnson, è stata quella di Cosmo Jarvis per interpretare il Capitano Wentworth.Jarvis – le cui capacità di recitazione già apparivano dubbie – non è in grado di far percepire allo spettatore il graduale cambiamento dell’atteggiamento di Frederick nei confronti di Anne. Non esprime né la collera iniziale e il rancore per le scelte passate di Anne, né tantomeno l’addolcirsi lento ma costante dei suoi atteggiamenti verso di lei. D’altro canto, neanche Dakota Johnson è in grado di rendere giustizia alle sfaccettature del personaggio che interpreta. Anne Elliot è probabilmente la più timida e introversa delle protagoniste austeniane, un personaggio il cui carattere viene fuori a poco a poco nel corso della storia.

Ora, è ovvio che la durata di un film non lasci lo spazio all’approfondimento che caratterizza il tempo – più lento e dilatato – di un libro. È inevitabile che sia così, lo spettatore ne è consapevole e accetta che il cambiamento e le trasformazioni dei personaggi – così come lo svolgimento della trama – siano accelerati in un film. La differenza dei due mezzi di comunicazione non giustifica però il fatto che fin dall’inizio Anne compia dei gesti che sono del tutto out of character, lontani anni luce da qualcosa che il personaggio avrebbe fatto o detto.

Poca chimica e troppa incongruenza

Un altro aspetto che toglie molto al film è la scarsa – se non del tutto assente – chimica tra i due attori protagonisti. Non c’è tensione nei loro dialoghi, non c’è il detto e non detto che caratterizza invece il percorso di Anne e Frederick fino alla fine, non si percepisce minimamente l’interesse che dovrebbero mostrare. Inoltre, la libertà e la confidenza con cui si parlano sin dall’inizio smonta completamente quello che dovrebbe essere il loro viaggio per arrivare – di nuovo, dopo anni – a un punto d’incontro. Questo fa sì che molti dialoghi, che nel libro – come negli altri adattamenti di Persuasione, rispettivamente usciti nel 1995 e nel 2007 – sono tappe significative di questo loro lento riconciliamento, nel film perdano di senso.

Leggi anche: Chiamatemi Anna: la terza stagione della serie Netflix.

L’incongruenza tra il carattere dei protagonisti e le loro azioni sulla scena è spiazzante, ma non in senso buono. Le interazioni tra Anne e Frederick sono del tutto irrealistiche, così come lo sono molte di quelle che avvengono tra gli altri personaggi. Quelli che hanno apprezzato il film hanno tacciato chi non l’ha gradito di essere conservatore, ponendo l’accento su come il nuovo adattamento possa essere considerato un modo innovativo di portare sullo schermo Persuasione in una versione moderna, in cui i personaggi agiscono e parlano come se anziché nel 1816 si trovassero nel 2016.

Foto: Flickr.

Questa modernizzazione della storia non sarebbe stata molto più credibile se la vicenda fosse stata spostata due secoli più avanti? Non sarebbe la prima volta che un romanzo di Jane Austen ispira un film ambientato nell’era moderna – basti pensare a Clueless, che è una versione contemporanea del romanzo Emma, ma ambientata a Beverly Hills nel 1995; come anche Bridget Jones’s Diary, ispirato a Orgoglio e Pregiudizio, ma il cui setting è nella Londra di fine anni Novanta. Sarebbe forse bastato ambientare la storia nell’Inghilterra del XXI secolo – e magari scegliere un altro attore per ricoprire il ruolo di Wentworth – per rendere quest’adattamento una buona rivisitazione moderna di Persuasione.

La regia di Persuasione

Per quanto riguarda le modalità con cui il film è stato girato, non ci sono particolari obiezioni da muovere: la fotografia è buona e il budget era abbastanza alto da permettere la realizzazione di un ottimo prodotto in questo senso. L’unico aspetto disturbante è la quasi costante rottura della quarta parete, una tecnica decisamente abusata all’interno del film. Dakota Johnson passa la maggior parte del suo tempo a parlare allo spettatore o ad ammiccare alla camera, e forse sarebbe stato meglio investire quel minutaggio sprecato per approfondire i legami tra lei e gli altri personaggi.
Peccato, un’occasione sprecata, perché l’impressione che si ha mentre scorrono i titoli di coda è di aver appena visto un film realizzato da qualcuno che non ha letto il romanzo o che, quantomeno, non ne ha capito lo spirito.

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Giulia Rocchetti

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